OMBRE NERE SULL’EUROPA di Andrea Becherucci
di Andrea Becherucci
22-09-2024 - EDITORIALE
Di recente si è votato in due importanti regioni dell'ex-Germania est, Sassonia e Turingia mentre in Francia si è appena conclusa la gestazione più lunga e difficoltosa per la costruzione di un governo della Quinta repubblica. Entrambi questi passaggi sono stati fortemente segnati dall'affermazione delle destre populiste e xenofobe.
Riguardo alla Germania, i neonazisti della AfD sono arrivati al 30,6% in Sassonia, ma partivano già da un alto livello di consenso elettorale mentre in Turingia si trovavano già al primo posto. I punti percentuali guadagnati in Turingia sono stati sottratti in larga parte alla sinistra della Linke che guidava il Land ma che ha subito un vero e proprio tracollo passando dal 31% al 13%. La Linke è nata nel 2007 dopo che Oskar Lafontaine ha abbandonato la SPD nel 2005 e dato origine a una piccola formazione di sinistra che si è unita con gli eredi del Partito socialista unificato (SED) della DDR. Lo stesso Lafontaine è il compagno di quella Sahra Wagenknecht che ha fondato all'inizio del 2024 una forza politica di sinistra su posizioni filoputiniane fuoruscita dalla Linke, la Bündnis Sahra Wagenknecht. Come si può vedere la frammentazione del quadro a sinistra ha lasciato spazio a destra. La CDU ha, bene o male, tenuto. Le altre forze politiche, i liberali e i verdi hanno raccolto percentuali di consenso da prefisso telefonico.
In Sassonia la situazione è di poco differente. Qui la CDU mantiene il primato tallonata da vicino da AfD. I partiti della coalizione di governo (socialdemocratici, verdi e liberali) hanno messo insieme qualcosa pari a meno della metà dei consensi di AfD. La SPD non riesce a mettere solide radici nella ex-Germania est e i problemi che si vedono all'orizzonte sembrano ben lungi dall'essere risolti. Il Partito socialdemocratico viene visto con diffidenza. Dopo l'euforia della riunificazione le forze di sinistra non hanno trovato la forza per opporsi ai processi innescati dal procedere impetuoso della globalizzazione. Ristrutturazione dell'apparato industriale, licenziamenti, disoccupazione e deindustrializzazione non hanno trovato un argine che potesse contenerle quando la sinistra tradizionale si è rivelata impotente. Probabilmente vi sono anche ragioni di carattere culturale che spiegano la crescita delle formazioni di destra nell'ex-Germania est. Sergio Fabbrini sul «Sole 24 Ore» ha evidenziato che la permanenza per quarant'anni di un regime autoritario in quelle regioni ha modellato la mentalità dei suoi abitanti sull'idealtipo dell'uomo forte col risultato che ancora oggi tale modello fa premio sugli altri.
D'altra parte il risultato di quest'elezione parla chiaro: mancanza di fiducia nelle forze politiche tradizionali a vantaggio di “esperimenti” potenzialmente pericolosi. La responsabilità va addebitata ugualmente alle forze che sono state al governo a Berlino come ai rappresentanti dell'opposizione. Se da una parte i cristiano-democratici hanno ostinatamente perseguito una politica di austerità che ha penalizzato fortemente gli investimenti, la sinistra è ormai avvertita da larghe fasce del paese come una forza sempre più lontana dalle esigenze dei ceti più deboli trasformatasi ormai, come nel nostro paese, in un partito radicale di massa dedito a coltivare gli interessi di minoranze più o meno significative. In Germania si parla anche di rivedere in senso restrittivo le politiche di asilo per togliere argomenti alla propaganda della destra. D'altra parte l'argomento è tornato d'attualità dopo il recente attentato di Solingen e la sparatoria davanti al consolato d'Israele a Monaco di Baviera.
La forma tradizionale di partito è in crisi ovunque e la Germania non fa eccezione. Le grandi narrazioni condivise che hanno fatto la storia del XX secolo sembrano non fare più presa sull'elettorato.
Vediamo ora la situazione che si venuta a creare in Francia. Le elezioni legislative anticipate fortemente volute dal presidente Macron hanno visto uscire dalle urne un parlamento balcanizzato in cui nessuna delle coalizioni ha la maggioranza per governare. Al di là di questo, però, l'elettorato si era espresso indicando chiaramente la sua volontà di cambiamento anche attraverso l'impennata della partecipazione al voto distribuendo il suo consenso fra la destra del Rassemblement national, comunque ridimensionata rispetto al primo turno, e la sinistra raccolta nel Nouveau Front Populaire, nuova versione dell'usuale front républicain. Sembrava necessario cercare una soluzione di compromesso che garantisse la scelta degli elettori senza che questa potesse compromettere la tenuta del quadro politico nazionale ed europeo. Il NFP legittimato dal voto popolare aveva trovato l'accordo sul nome di Lucie Castets ma Macron sembrava intenzionato a puntare su un nome capace di attirare maggiormente l'area moderata. Il presidente della repubblica ha ignorato il nome del socialista Bernard Cazeneuve e sorprendendo tutti ha invece indicato un vecchio arnese del gollismo come Michel Barnier che nella sua vita ha ricoperto ogni incarico tranne quelli di sindaco e di inquilino dell'Eliseo.
La scelta di Barnier è da addebitarsi interamente al presidente Macron non essendo credibile che il suo nome sia uscito durante le consultazioni, quel rito tutto italiano che per la prima volta un governo della Quinta repubblica ha conosciuto. Dunque, tutto fuorché il frutto del cambiamento tanto invocato, un uomo rappresentante di un partito che è uscito con le ossa rotte dalle elezioni. Il voto degli elettori è stato tradito e Macron dovrà sostenere il peso di questa responsabilità. Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise ha chiamato gli elettori di sinistra alla mobilitazione, affermando che il risultato elettorale è stato rubato e che a Matignon andrà l'esponente del partito che ha preso meno voti di tutti. Il Rassemblement National, al contrario, ha aperto a Barnier com'era prevedibile visto che il partito di Marine Le Pen è da tempo in cerca di legittimazione democratica col paradosso che per bloccare l'avanzata della destra le si chiedono adesso i voti sottobanco per governare. Nessun colpo di mano, beninteso, da parte di Macron. Le sue prerogative glielo consentono ma quale sarà il prezzo che la democrazia dovrà pagare domani per consentire oggi alla Francia di sostenere la sua credibilità sui mercati finanziari internazionali?
Riguardo alla Germania, i neonazisti della AfD sono arrivati al 30,6% in Sassonia, ma partivano già da un alto livello di consenso elettorale mentre in Turingia si trovavano già al primo posto. I punti percentuali guadagnati in Turingia sono stati sottratti in larga parte alla sinistra della Linke che guidava il Land ma che ha subito un vero e proprio tracollo passando dal 31% al 13%. La Linke è nata nel 2007 dopo che Oskar Lafontaine ha abbandonato la SPD nel 2005 e dato origine a una piccola formazione di sinistra che si è unita con gli eredi del Partito socialista unificato (SED) della DDR. Lo stesso Lafontaine è il compagno di quella Sahra Wagenknecht che ha fondato all'inizio del 2024 una forza politica di sinistra su posizioni filoputiniane fuoruscita dalla Linke, la Bündnis Sahra Wagenknecht. Come si può vedere la frammentazione del quadro a sinistra ha lasciato spazio a destra. La CDU ha, bene o male, tenuto. Le altre forze politiche, i liberali e i verdi hanno raccolto percentuali di consenso da prefisso telefonico.
In Sassonia la situazione è di poco differente. Qui la CDU mantiene il primato tallonata da vicino da AfD. I partiti della coalizione di governo (socialdemocratici, verdi e liberali) hanno messo insieme qualcosa pari a meno della metà dei consensi di AfD. La SPD non riesce a mettere solide radici nella ex-Germania est e i problemi che si vedono all'orizzonte sembrano ben lungi dall'essere risolti. Il Partito socialdemocratico viene visto con diffidenza. Dopo l'euforia della riunificazione le forze di sinistra non hanno trovato la forza per opporsi ai processi innescati dal procedere impetuoso della globalizzazione. Ristrutturazione dell'apparato industriale, licenziamenti, disoccupazione e deindustrializzazione non hanno trovato un argine che potesse contenerle quando la sinistra tradizionale si è rivelata impotente. Probabilmente vi sono anche ragioni di carattere culturale che spiegano la crescita delle formazioni di destra nell'ex-Germania est. Sergio Fabbrini sul «Sole 24 Ore» ha evidenziato che la permanenza per quarant'anni di un regime autoritario in quelle regioni ha modellato la mentalità dei suoi abitanti sull'idealtipo dell'uomo forte col risultato che ancora oggi tale modello fa premio sugli altri.
D'altra parte il risultato di quest'elezione parla chiaro: mancanza di fiducia nelle forze politiche tradizionali a vantaggio di “esperimenti” potenzialmente pericolosi. La responsabilità va addebitata ugualmente alle forze che sono state al governo a Berlino come ai rappresentanti dell'opposizione. Se da una parte i cristiano-democratici hanno ostinatamente perseguito una politica di austerità che ha penalizzato fortemente gli investimenti, la sinistra è ormai avvertita da larghe fasce del paese come una forza sempre più lontana dalle esigenze dei ceti più deboli trasformatasi ormai, come nel nostro paese, in un partito radicale di massa dedito a coltivare gli interessi di minoranze più o meno significative. In Germania si parla anche di rivedere in senso restrittivo le politiche di asilo per togliere argomenti alla propaganda della destra. D'altra parte l'argomento è tornato d'attualità dopo il recente attentato di Solingen e la sparatoria davanti al consolato d'Israele a Monaco di Baviera.
La forma tradizionale di partito è in crisi ovunque e la Germania non fa eccezione. Le grandi narrazioni condivise che hanno fatto la storia del XX secolo sembrano non fare più presa sull'elettorato.
Vediamo ora la situazione che si venuta a creare in Francia. Le elezioni legislative anticipate fortemente volute dal presidente Macron hanno visto uscire dalle urne un parlamento balcanizzato in cui nessuna delle coalizioni ha la maggioranza per governare. Al di là di questo, però, l'elettorato si era espresso indicando chiaramente la sua volontà di cambiamento anche attraverso l'impennata della partecipazione al voto distribuendo il suo consenso fra la destra del Rassemblement national, comunque ridimensionata rispetto al primo turno, e la sinistra raccolta nel Nouveau Front Populaire, nuova versione dell'usuale front républicain. Sembrava necessario cercare una soluzione di compromesso che garantisse la scelta degli elettori senza che questa potesse compromettere la tenuta del quadro politico nazionale ed europeo. Il NFP legittimato dal voto popolare aveva trovato l'accordo sul nome di Lucie Castets ma Macron sembrava intenzionato a puntare su un nome capace di attirare maggiormente l'area moderata. Il presidente della repubblica ha ignorato il nome del socialista Bernard Cazeneuve e sorprendendo tutti ha invece indicato un vecchio arnese del gollismo come Michel Barnier che nella sua vita ha ricoperto ogni incarico tranne quelli di sindaco e di inquilino dell'Eliseo.
La scelta di Barnier è da addebitarsi interamente al presidente Macron non essendo credibile che il suo nome sia uscito durante le consultazioni, quel rito tutto italiano che per la prima volta un governo della Quinta repubblica ha conosciuto. Dunque, tutto fuorché il frutto del cambiamento tanto invocato, un uomo rappresentante di un partito che è uscito con le ossa rotte dalle elezioni. Il voto degli elettori è stato tradito e Macron dovrà sostenere il peso di questa responsabilità. Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise ha chiamato gli elettori di sinistra alla mobilitazione, affermando che il risultato elettorale è stato rubato e che a Matignon andrà l'esponente del partito che ha preso meno voti di tutti. Il Rassemblement National, al contrario, ha aperto a Barnier com'era prevedibile visto che il partito di Marine Le Pen è da tempo in cerca di legittimazione democratica col paradosso che per bloccare l'avanzata della destra le si chiedono adesso i voti sottobanco per governare. Nessun colpo di mano, beninteso, da parte di Macron. Le sue prerogative glielo consentono ma quale sarà il prezzo che la democrazia dovrà pagare domani per consentire oggi alla Francia di sostenere la sua credibilità sui mercati finanziari internazionali?
P.S. Gli ultimi sviluppi ci costringono a qualche aggiornamento. La presentazione dei rapporti di Enrico Letta sul mercato unico (Much more than a Market) e quello preparato da Mario Draghi (The future of European competitiveness) sulla competitività richiedono qualche riflessione aggiuntiva. Soprattutto il secondo era atteso con trepidazione dalle élites europee. Draghi ha indicato i problemi che affliggono l'UE: il divario tecnologico da colmare con USA e Cina, la necessità di mettere in comune le risorse per l'energia e la difesa e di proseguire sulla strada della decarbonizzazione. L'interconnessione fra i mercati dei vari partner europei dovrà essere accompagnata dalla volontà di un sempre maggiore sviluppo e della sua utilizzazione come vettore per trasferire i risultati della ricerca di base al piano dello sviluppo tecnologico. Ora la parola passa alla politica che dovrà fare tesoro di questi suggerimenti ma i primi passi non lasciano ben sperare. La presidenza ungherese dell'UE ha, nella sostanza, avuto l'effetto di “congelare” molti dossier di primaria importanza mentre le dimissioni del commissario Thierry Breton e la sua sostituzione con Stéphane Séjourné lasciano molti dubbi sulla governance della nuova Commissione in cui già s'intravede una minore influenza di Francia e Germania e delle leadership di Macron e Scholz usciti pesantemente ridimensionati dalle recenti prove elettorali. C'è da augurarsi che la nuova Commissione prenda sul serio il lavoro cui è chiamata.
Fonte: di Andrea Becherucci