"ORBÀN. L’ALIBI PERFETTO"
20-06-2022 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
A fine maggio scorso, i vari organi dell’UE – Commissione, Consiglio dei ministri , etc. – ci hanno offerto il migliore esempio di come, dietro i virtuosismi dei veti di Orbàn, i paesi europei possano nascondere i propri interessi nonché i deficit di potere e di unità dell’Unione.
Il magiaro non ha fatto altro che proteggere quelli che egli ritiene i propri interessi – politici ed economici – con modalità, diritti e poteri che gli consentono i trattati. Ma, usandone, Orbàn ha permesso al resto dei Paesi (Germania, Francia e Italia in testa) di coprirsi delle vesti di ‘veri europeisti’, pronti a tutto ma impediti, dai malvagi ungheresi, a fare qualunque cosa possa avere un effetto immediato sulle proprie tasche: come per il carbone, i paesi dell’UE rinunceranno al petrolio russo solo a febbraio del 2023, cioè a scoppio ritardato, quando l’augurabile fine della guerra sarà stata raggiunta e quando, allora, si comincerà a discutere anche della fine delle sanzioni se non saranno state ritirate prima dietro i ricatti, già in atto, che la Russia ci pone subordinando al loro ritiro il suo consenso all’esportazione del grano ucraino. Del cappio del ‘gas russo’ non se ne parla nemmeno.
Perché, in realtà, non è la regola dell’unanimità a impedire le scelte necessarie. Chi pensa che l’errore sia stato accogliere nell’UE paesi che, come quelli ex-comunisti dell’Europa orientale non erano stati partecipi dello slancio europeista dei primi anni ’50 né delle regole della democrazia, non tiene conto del fatto che la regola dell’unanimità non l’ha inventata l’Ungheria e che, nel 2005, la pletorica e farraginosa costituzione (448 articoli + 36 protocolli) fu bocciata – io dico per fortuna – dalla Francia e dall’Olanda, due dei fondatori dell’Unione.
La politica estera e quella della difesa non rientrano in atto tra le materie comunitarie se non di striscio, tanto è vero che paesi neutrali e non appartenenti alla NATO sono membri dell’Unione e che, legittimamente, alcuni paesi dell’UE non partecipano alla fornitura di armi all’Ucraina (leggi Ungheria di Orbàn che, fra l’altro, non consente il transito di queste armi sul proprio territorio). Non si vede quindi come si possa avere una politica estera e di difesa comune.
Nulla quindi impesce ai singoli paesi membri di assumere quei comportamenti, quelle sanzioni, quelle decisioni che ritenessero necessarie e utili in tali materie, a cominciare dalla visione politica che ciascuno ha dell’Unione: per l’ingresso dell’Ucraina nell’UE la generosa Francia repubblicana del Macròn sovranista westfaliano prospetta addirittura un percorso di qualche decina di anni.
Macron, Scholz e Draghi sono andati insieme a Kiev per una missione politica riguardo alle questioni della guerra e della pace in Ucraina e dell’adesione di questo paese all’UE. Bene; ce ne rallegriamo.
Ma dobbiamo notare che, da un punto di vista comunitario, il viaggio è avvenuto prima del Consiglio dei ministri europei del 24 giugno prossimo: quindi è fuori luogo affermare, come fanno gli ‘europeisti’ entusiasti, che i tre hanno parlato a nome dell’Europa; per poterlo fare, sarebbe stato meglio che prima avessero ricevuto un mandato dal Consiglio soprattutto riguardo alle possibili proposte avanzate dai tre al governo ucraino riguardo all’adesione all’UE e ai negoziati con Mosca : pare che il ministro degli esteri polacco sia stato costretto ad avvertire la troika di non fare, a nome dell’UE, proposte non concordate (Scholz e Macron, i più indiziati di inclinazione ai giri di valzer, alla fine della visita a Kiev, hanno dovuto fare la promessa di non trattare con Mosca alle spalle dell’Ucraina).
Quanto al direttorio, possiamo pure compiacerci del fatto che l’Italia sia entrata a farne parte – almeno temporaneamente perché se si cambia governo, metti caso con uno a guida Meloni, ne saremmo subito cacciati – ma certo il direttorio non è l’UE, anzi ne è l’antitesi.
Fino a quando non si sarà dato un assetto federale – con i suoi ‘checks and balances’ – l’UE resterà in un limbo rissoso e continuerà a fare salti nel buio delle materie non di sua competenza come, da ultimo, la direttiva sul ‘salario minimo’ o l’altra gloriosa alzata d’ingegno del Parlamento europeo che, nella sua furia ecologista, ha decretato la cessazione, in tutti i paesi membri, della produzione di auto con motore a scoppio a partire dal 2035. Non ne discutiamo la sostanza o lo scopo, che dovrebbe essere quello di impedire lo sfruttamento del lavoro e di ridurre l’inquinamento dell’ambiente ma non nascondiamo che varrebbe la pena di discutere, oltre che della legittimità, anche dell’opportunità di tale direttiva alla luce del vecchio adagio “presto e bene raro avviene”: non siamo ‘luddisti’ e comprendiamo bene come tecnica, tecnologia e produzione possano andare d’accordo se correttamente gestiti in funzione delle esigenze politico-sociali, tuttavia pensiamo che le modalità della decisione del Parlamento siano una vera e propria auto-castrazione visto che Cina, Russia, India e resto del mondo continueranno a usare i motori a scoppio mentre noi chiuderemo tutte le nostre fabbriche e lasceremo a piedi milioni di italiani che non potranno permettersi le costosissime auto elettriche (ah no! scusate, dimenticavo che il saggio Parlamento Europeo ha disposto un’eccezione per le Ferrari, potremo così continuare a comprare auto di lusso con motore scoppio).
Il magiaro non ha fatto altro che proteggere quelli che egli ritiene i propri interessi – politici ed economici – con modalità, diritti e poteri che gli consentono i trattati. Ma, usandone, Orbàn ha permesso al resto dei Paesi (Germania, Francia e Italia in testa) di coprirsi delle vesti di ‘veri europeisti’, pronti a tutto ma impediti, dai malvagi ungheresi, a fare qualunque cosa possa avere un effetto immediato sulle proprie tasche: come per il carbone, i paesi dell’UE rinunceranno al petrolio russo solo a febbraio del 2023, cioè a scoppio ritardato, quando l’augurabile fine della guerra sarà stata raggiunta e quando, allora, si comincerà a discutere anche della fine delle sanzioni se non saranno state ritirate prima dietro i ricatti, già in atto, che la Russia ci pone subordinando al loro ritiro il suo consenso all’esportazione del grano ucraino. Del cappio del ‘gas russo’ non se ne parla nemmeno.
Perché, in realtà, non è la regola dell’unanimità a impedire le scelte necessarie. Chi pensa che l’errore sia stato accogliere nell’UE paesi che, come quelli ex-comunisti dell’Europa orientale non erano stati partecipi dello slancio europeista dei primi anni ’50 né delle regole della democrazia, non tiene conto del fatto che la regola dell’unanimità non l’ha inventata l’Ungheria e che, nel 2005, la pletorica e farraginosa costituzione (448 articoli + 36 protocolli) fu bocciata – io dico per fortuna – dalla Francia e dall’Olanda, due dei fondatori dell’Unione.
La politica estera e quella della difesa non rientrano in atto tra le materie comunitarie se non di striscio, tanto è vero che paesi neutrali e non appartenenti alla NATO sono membri dell’Unione e che, legittimamente, alcuni paesi dell’UE non partecipano alla fornitura di armi all’Ucraina (leggi Ungheria di Orbàn che, fra l’altro, non consente il transito di queste armi sul proprio territorio). Non si vede quindi come si possa avere una politica estera e di difesa comune.
Nulla quindi impesce ai singoli paesi membri di assumere quei comportamenti, quelle sanzioni, quelle decisioni che ritenessero necessarie e utili in tali materie, a cominciare dalla visione politica che ciascuno ha dell’Unione: per l’ingresso dell’Ucraina nell’UE la generosa Francia repubblicana del Macròn sovranista westfaliano prospetta addirittura un percorso di qualche decina di anni.
Macron, Scholz e Draghi sono andati insieme a Kiev per una missione politica riguardo alle questioni della guerra e della pace in Ucraina e dell’adesione di questo paese all’UE. Bene; ce ne rallegriamo.
Ma dobbiamo notare che, da un punto di vista comunitario, il viaggio è avvenuto prima del Consiglio dei ministri europei del 24 giugno prossimo: quindi è fuori luogo affermare, come fanno gli ‘europeisti’ entusiasti, che i tre hanno parlato a nome dell’Europa; per poterlo fare, sarebbe stato meglio che prima avessero ricevuto un mandato dal Consiglio soprattutto riguardo alle possibili proposte avanzate dai tre al governo ucraino riguardo all’adesione all’UE e ai negoziati con Mosca : pare che il ministro degli esteri polacco sia stato costretto ad avvertire la troika di non fare, a nome dell’UE, proposte non concordate (Scholz e Macron, i più indiziati di inclinazione ai giri di valzer, alla fine della visita a Kiev, hanno dovuto fare la promessa di non trattare con Mosca alle spalle dell’Ucraina).
Quanto al direttorio, possiamo pure compiacerci del fatto che l’Italia sia entrata a farne parte – almeno temporaneamente perché se si cambia governo, metti caso con uno a guida Meloni, ne saremmo subito cacciati – ma certo il direttorio non è l’UE, anzi ne è l’antitesi.
Fino a quando non si sarà dato un assetto federale – con i suoi ‘checks and balances’ – l’UE resterà in un limbo rissoso e continuerà a fare salti nel buio delle materie non di sua competenza come, da ultimo, la direttiva sul ‘salario minimo’ o l’altra gloriosa alzata d’ingegno del Parlamento europeo che, nella sua furia ecologista, ha decretato la cessazione, in tutti i paesi membri, della produzione di auto con motore a scoppio a partire dal 2035. Non ne discutiamo la sostanza o lo scopo, che dovrebbe essere quello di impedire lo sfruttamento del lavoro e di ridurre l’inquinamento dell’ambiente ma non nascondiamo che varrebbe la pena di discutere, oltre che della legittimità, anche dell’opportunità di tale direttiva alla luce del vecchio adagio “presto e bene raro avviene”: non siamo ‘luddisti’ e comprendiamo bene come tecnica, tecnologia e produzione possano andare d’accordo se correttamente gestiti in funzione delle esigenze politico-sociali, tuttavia pensiamo che le modalità della decisione del Parlamento siano una vera e propria auto-castrazione visto che Cina, Russia, India e resto del mondo continueranno a usare i motori a scoppio mentre noi chiuderemo tutte le nostre fabbriche e lasceremo a piedi milioni di italiani che non potranno permettersi le costosissime auto elettriche (ah no! scusate, dimenticavo che il saggio Parlamento Europeo ha disposto un’eccezione per le Ferrari, potremo così continuare a comprare auto di lusso con motore scoppio).
Non resta che sperare sul veto di uno qualsiasi degli stati membri per salvare non solo l’economia europea ma anche l’anima degli eco-ideologi, dei disinquinatori-inquinanti (che cosa ne sarà delle batterie delle auto elettriche da smaltire?) i quali, con le direttive approvate, si sono messi bensì dalla parte del progresso e della giustizia ma, in fondo, contano sempre sull’alibi del ‘veto’ di Orbàn.
Fonte: di Giuseppe Butta'