03 Dicembre 2024

PAOLO BAGNOLI: “IL LUNGO FILO NERO DEL POPULISMO“.
Romano Paolo Coppini

30-05-2024 - LA REDAZIONE
La serie di articoli che Paolo Bagnoli ha ritenuto opportuno raccogliere in questo volume sono un chiaro segno del suo impegno civile e politico, con cui, anche in questo buio periodo, ha voluto essere presente e stigmatizzare i pericoli per la nostra Costituzione dall'arrivo della Destra, erede di Almirante, a Palazzo Chigi.
Se la nuova legge elettorale, voluta da Renzi e da Berlusconi, per un loro governo di coalizione, ha dato la vittoria ad una realtà che ha fugato il loro sogno, con la vittoria al Movimento 5 Stelle “dalle idee confuse”, capace di “superare la democrazia della rappresentanza” con motivi “anti e post ideologici”. Mentre l'opposizione fa scelte ambigue, se si vuole “consolidare la democrazia costituzionale” occorre una rinascita di veri partiti “se non vogliamo che la sciolta destra diventi irreversibile” (p. 19). Purtroppo ce ne sono tutte le premesse: si è assistito al successo della Lega salviniana, per un momento andata al di là di ogni previsione; nel quadro europeo, allontanatasi la Merkel, anche il Presidente Macron non è andato così bene di fronte a Le Pen. Il Presidente francese, che “all'inizio del suo mandato si è proposto come paladino dell'Europa” non ha capito il mutamento rispetto al tempo di Mitterand e di Kohl.
Ormai la Seconda Repubblica ha comportato l'esplosione e l'affermazione “del sovranismo, del populismo, della demonizzazione della classe politica, del disconoscimento di ciò che rappresenta il Parlamento, di un antieuropeismo fondato su un nazionalismo fascisteggiante”, cui fa corona il razzismo come ideologia contro l'accoglienza. Si è aperta, in tal modo, la strada ad un antieuropeismo irrazionale, e “soprattutto – osserva ancora Bagnoli – in un momento in cui la nostra dipendenza del sistema europeo è molto stretta”, tale da impedire all'Italia di avere una voce nell'assetto comunitario” (p. 30).
La difficile rielezione di Mattarella “segn(ò) il punto di arrivo di una lunga crisi della Repubblica” (p. 39) e nacque dal vuoto politico in cui si trovava il Paese. La presenza simultanea del governo di Mario Draghi e la presidenza di Mattarella ha permesso all'Italia di stare in piedi, come scrive Bagnoli “nel congelamento dovuto a questo equilibrio: una specie di doppio commissariamento benedetto dall'Europa” (p. 39).
Ma l'effetto, l'autorevolezza di Draghi, con le garanzie fornite da Mattarella, “l'europeismo sparso a quattro mani”, denunciano che ai mali endemici di cui soffrivano si sono aggiunti “quelli dovuti alla sublimazione dell'antipolitica e della mancanza di una classe politica”. Infatti la crisi degli anni '90 ha visto sorgere un populismo antisistema: Antonio Di Pietro e Beppe Grillo sono stati la necessaria premessa del berlusconismo, mentre la Sinistra si suicidava destrutturando le stesse “modalità democratiche e l'idea stessa di partito” divenendo “strumento di incubazione di un populismo post-berlusconiano ben interpretata da Matteo Renzi”. Tutto ciò ha permesso a Renzi di archiviare lo Statuto dei lavoratori, e soprattutto ha consentito, in luoghi simbolo della presenza operaia, l'affermazione della Lega di Savini. Si è assistito all'annullamento di quei soggetti attivi e propulsivi delle istituzioni e della società, rappresentati dai partiti, senza i quali la Repubblica non avrà solidità morale.
Purtroppo il cambio genetico è avvenuto con l'avvento di Berlusconi, “istrionico incantatore dei poteri statuali e di larghe masse sociali”. Divenuto il dominus della ribalta politica “sono seguite le leggi che tornavano utili alla sua persona ed ai suoi interessi, mercato di parlamentari, barzellette, corna in riunioni di politica estera, i bunga bunga”, e soprattutto il “riposizionamento posturale della Rai in modo tale da non nuocere a Mediaset”. In tal modo è riuscito ad aprire una falla, che passando attraverso i governi tecnici e la colpevole passività di chi avrebbe avuto il dovere di opporvisi, ha condotto ad una destrutturazione dello Stato, genesi del populismo. Si è assistito ai successi dei Cinque Stelle e della Lega, e infine alla nascita di un sovranismo “che fa tutt'uno con la diffidenza nei confronti dell'Europa”, nonché all'approdo della Destra al governo del Paese, favorita da una legge costituzionale, che ha ridimensionato il numero dei parlamentari e “chiaramente incostituzionale” (p. 52). Di fronte all'assenza di una seria, vera opposizione della Sinistra si assiste all'occupazione di Palazzo Chigi da parte della Destra, di una vera Destra, insediatasi, fino ad ora, in un Paese europeo. Con l'avvento di questa Destra sembra finito il rapporto con la cultura antifascista, fondamento della Costituzione, che si sta lavorando per cambiarla a favore di “una semina populista fondata nella identificazione fra leader e popolo”, mutando gli equilibri istituzionali a favore di una Repubblica presidenziale.
Giorgia Meloni ha detto “per l'Europa è finita la pacchia” e, in effetti, i primi ad essere colpiti sono stati i diritti, i consultori, l'insegnamento agli emigrati, i diritti delle comunità omosessuali, mentre è aumentata la disaffezione alla partecipazione elettorale. Tutto ciò accade di fronte all'allontanamento delle masse dal PCI. Il caso che ha portato Elly Schlein alla segreteria del partito è emblematico, sottolinea Bagnoli. Le primarie sono un'espressione evidente di una deriva politica: il concetto gramsciano di egemonia, il rapporto con i cattolici si è dimostrato fallimentare proprio nel caso della irresistibile ascesa di Matteo Renzi. Tutti fattori che hanno “fornito benzina” al populismo della Lega e del Movimento 5 Stelle, mutilando la Costituzione, non più fondata sulla centralità del Parlamento, mentre la vittoria di Meloni ha gettato il PCI nel caos “mettendone a nudo i vuoti di pensiero e di presenza politica”, scrive Bagnoli.
La crisi del socialismo si era manifestata attraverso il personalismo del suo segretario Craxi, dopo che il socialismo aveva rappresentato la vera forza della democrazia italiana. Se si vuole ridare forza a quanto si eredita dalla lezione dei Rosselli si deve capire che il nuovo socialismo non può avere le sue radici che nel socialismo liberale. I diversi leader, Renzi e Conte, per primi, hanno portato allo sfasciamento del partito e alla crescente astensione dei suoi elettori, mentre veniva messo in un angolo anche quell'antifascismo, che era stato principio ineliminabile del partito fin dalla sua nascita. Infatti l'antifascismo appartiene a tutti gli italiani “che credono e nella libertà e nel suo valore supremo siano di sinistra, di centro o di destra” (p. 95).
Mentre Meloni affermava, in una sua “articolessa” pubblicata sul Corriere della Sera, che dovevano essere considerati “patrioti” “quelli che avevano combattuto da una parte e quelli che lo avevano fatto sull'altra”, questa affermazione è stata rivista subito da Mattarella, che andando al cuore del problema, scrive Bagnoli, sosteneva drasticamente: “la Resistenza fu anzitutto una rivolta morale di patrioti contro il fascismo per il riscatto nazionale, un moto di popolo” (p. 102).
La morte di Berlusconi ha rappresentato il peana nazionale per un uomo che aveva ammaliato il popolo italiano, facendogli trascurare le diverse falle della sua azione politica, lasciando da parte le sue più banali vicende personali.
Certamente si è così aperta la porta a quell'istinto di revisione costituzionale in senso sovranista con un Presidente del Consiglio eletto dal popolo, attraverso cui il Presidente della Repubblica sarebbe ridotto ad una figura secondaria. Contro questa impostazione, un vero e proprio attacco ai princìpi costituzionali, non si deve dimenticare “il fatto che il Presidente della Repubblica Italiana sia eletto dal Parlamento non è solo una procedura, ma la conseguenza di una scelta consapevolmente adottata”, in cui “il Parlamento diventa l'organo centrale e supremo della Repubblica” e i partiti politici, riconosciuti dalla Carta costituzionale, concorrono alla realizzazione del “programma”, che i princìpi fondanti della Repubblica devono esprimere (p. 120).
Il populismo attuale è dovuto allo “sfarinamento” progressivo della Repubblica, dovuto alla crisi dei partiti politici che avevano dato vita alla stagione della democrazia, dopo che attraverso la Resistenza avevano conquistato il mandato politico da parte del popolo italiano.




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