PAOLO RICCAIL TEOLOGO DEL DIALOGO di Stefano Gagliano
21-09-2024 - CRONACHE SOCIALISTE
Sono passati 850 anni. E sempre hanno tentato di soffocarla, sopprimerla, emarginarla. Ma l'Israele delle Alpi, com'era conosciuta la Chiesa Valdese dall'internazionale protestante, non solamente è ancora viva e vitale, ma a partire dal risveglio romantico dell'Ottocento ha voluto scendere dalle valli avite per proporre una via alternativa al cristianesimo di maggioranza.
Paolo Ricca (1936-2024), di cui gran parte della stampa riporta da settimane il profilo culturale e religioso, era figlio di questa Chiesa. Nato a Torre Pellice da famiglia valdese e valligiana da generazioni, anche Ricca dovette lasciare le Valli. Ed a Firenze, dove molti suoi correligionari si erano formati alla lingua e alla cultura della vecchia e nuova Italia, trascorse parte della sua adolescenza fino alla volontà di condividere la vocazione pastorale del padre, Alberto Ricca. Il quale, già pastore valdese nelle Valli, era stato chiamato nel 1950 a ricoprire la funzione di direttore dell'Istituto Gould, che ancora oggi si occupa a Firenze dell'infanzia disagiata.
Ricca era dunque figlio della Chiesa Valdese. Ma non fu mai uomo di stretta osservanza confessionale. Si era formato nel mondo valdese. E questo è incontestabile. Ma negli anni in cui fu studente, la Facoltà Valdese di Teologia era dominata da un corpo docente di primo livello: da Valdo Vinay a Vittorio Subilia a Giovanni Miegge, militanti antifascisti, simpatizzanti del neo-protestantesimo intransigente di Giuseppe Gangale, amico fraterno di Piero Gobetti, e poi seguaci del più grande teologo protestante svizzero di fama internazionale: Karl Barth.
Grazie alla frequentazione in Facoltà del teologo luterano Oscar Cullmann, Ricca si recò anche in Svizzera, divenne egli stesso allievo di Barth, e poi conseguì il dottorato, con una tesi sull'escatologia del Vangelo di Giovanni. Successivamente fu ordinato pastore valdese, e svolse il suo ministero soprattutto a Torino e poi a Roma, dove fu professore e decano della Facoltà Valdese di Teologia, con sempre maggiore interesse per il dialogo ecumenico.
Nella Chiesa Valdese vi erano stati uomini di dialogo ecumenico. Primo fra tutti Giovanni Luzzi, biblista e professore alla Facoltà Valdese di Teologia, autore di una monumentale traduzione della Bibbia in più volumi, vicina dall'ottenere addirittura l'imprimatur da parte del Sant'Uffizio. Lo stesso Buonaiuti, scomunicato dalla Chiesa di Roma, eppure rimasto sempre cattolico, fu accolto nel mondo valdese in maniera fraterna e rispettosa.
Il dialogo ecumenico di Ricca cominciò, tuttavia, in maniera diversa e originale, rispetto a quello dei suoi predecessori. Quando ai protestanti era precluso entrare in San Pietro, senza un ruolo ufficiale o diplomatico definito, Ricca riuscì a partecipare al Concilio Vaticano II, facendosi accreditare come giornalista dell'Alleanza Riformata Mondiale. Ed in quella veste, del tutto nuova per un giovane pastore, descrisse in maniera puntuale quel momento di annunciato rinnovamento della Chiesa di Roma.
Negli anni continuò nell'intento di accorciare le distanze confessionali, come membro del Consiglio Ecumenico delle Chiese, come professore ospite al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma e nell'attività del Segretariato Attività Ecumeniche.
Egli rimase sempre un pastore valdese. E' vero. E la sua grande missione fu la predicazione e lo studio della Parola di Dio. Ma non fu mai uomo da farsi rinchiudere nelle strettoie dei vari apparati ecclesiastici. Seppe infatti parlare della Parola di Dio dentro la Chiesa e fuori dai suoi confini. Per questa ragione lo ricordano in tanti con grande commozione. Non solamente i suoi correligionari. Ma anche la grande intelligenza italiana, da Ravasi a Cacciari. Anche un comico come Roberto Benigni ha potuto approfondire con Ricca cosa siano le Dieci Parole, che Dio dette a Mosè sul Monte Sinai, e che Mosè ha consegnato a tutta quanta l'umanità.
Di uomini così informati di amore per la Parola di Dio e per questo di amore verso il prossimo, soprattutto se diverso da noi, avremo sempre bisogno, giacché, come ha scritto lo stesso Ricca: “Non c'è nulla di più, nulla di meglio, nulla di più vero, nulla di più profondo, nulla di più cristiano e nulla di più umano che amare”.
Queste parole e questa vita siano di ispirazione e di benedizione per tutti noi.
Paolo Ricca (1936-2024), di cui gran parte della stampa riporta da settimane il profilo culturale e religioso, era figlio di questa Chiesa. Nato a Torre Pellice da famiglia valdese e valligiana da generazioni, anche Ricca dovette lasciare le Valli. Ed a Firenze, dove molti suoi correligionari si erano formati alla lingua e alla cultura della vecchia e nuova Italia, trascorse parte della sua adolescenza fino alla volontà di condividere la vocazione pastorale del padre, Alberto Ricca. Il quale, già pastore valdese nelle Valli, era stato chiamato nel 1950 a ricoprire la funzione di direttore dell'Istituto Gould, che ancora oggi si occupa a Firenze dell'infanzia disagiata.
Ricca era dunque figlio della Chiesa Valdese. Ma non fu mai uomo di stretta osservanza confessionale. Si era formato nel mondo valdese. E questo è incontestabile. Ma negli anni in cui fu studente, la Facoltà Valdese di Teologia era dominata da un corpo docente di primo livello: da Valdo Vinay a Vittorio Subilia a Giovanni Miegge, militanti antifascisti, simpatizzanti del neo-protestantesimo intransigente di Giuseppe Gangale, amico fraterno di Piero Gobetti, e poi seguaci del più grande teologo protestante svizzero di fama internazionale: Karl Barth.
Grazie alla frequentazione in Facoltà del teologo luterano Oscar Cullmann, Ricca si recò anche in Svizzera, divenne egli stesso allievo di Barth, e poi conseguì il dottorato, con una tesi sull'escatologia del Vangelo di Giovanni. Successivamente fu ordinato pastore valdese, e svolse il suo ministero soprattutto a Torino e poi a Roma, dove fu professore e decano della Facoltà Valdese di Teologia, con sempre maggiore interesse per il dialogo ecumenico.
Nella Chiesa Valdese vi erano stati uomini di dialogo ecumenico. Primo fra tutti Giovanni Luzzi, biblista e professore alla Facoltà Valdese di Teologia, autore di una monumentale traduzione della Bibbia in più volumi, vicina dall'ottenere addirittura l'imprimatur da parte del Sant'Uffizio. Lo stesso Buonaiuti, scomunicato dalla Chiesa di Roma, eppure rimasto sempre cattolico, fu accolto nel mondo valdese in maniera fraterna e rispettosa.
Il dialogo ecumenico di Ricca cominciò, tuttavia, in maniera diversa e originale, rispetto a quello dei suoi predecessori. Quando ai protestanti era precluso entrare in San Pietro, senza un ruolo ufficiale o diplomatico definito, Ricca riuscì a partecipare al Concilio Vaticano II, facendosi accreditare come giornalista dell'Alleanza Riformata Mondiale. Ed in quella veste, del tutto nuova per un giovane pastore, descrisse in maniera puntuale quel momento di annunciato rinnovamento della Chiesa di Roma.
Negli anni continuò nell'intento di accorciare le distanze confessionali, come membro del Consiglio Ecumenico delle Chiese, come professore ospite al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma e nell'attività del Segretariato Attività Ecumeniche.
Egli rimase sempre un pastore valdese. E' vero. E la sua grande missione fu la predicazione e lo studio della Parola di Dio. Ma non fu mai uomo da farsi rinchiudere nelle strettoie dei vari apparati ecclesiastici. Seppe infatti parlare della Parola di Dio dentro la Chiesa e fuori dai suoi confini. Per questa ragione lo ricordano in tanti con grande commozione. Non solamente i suoi correligionari. Ma anche la grande intelligenza italiana, da Ravasi a Cacciari. Anche un comico come Roberto Benigni ha potuto approfondire con Ricca cosa siano le Dieci Parole, che Dio dette a Mosè sul Monte Sinai, e che Mosè ha consegnato a tutta quanta l'umanità.
Di uomini così informati di amore per la Parola di Dio e per questo di amore verso il prossimo, soprattutto se diverso da noi, avremo sempre bisogno, giacché, come ha scritto lo stesso Ricca: “Non c'è nulla di più, nulla di meglio, nulla di più vero, nulla di più profondo, nulla di più cristiano e nulla di più umano che amare”.
Queste parole e questa vita siano di ispirazione e di benedizione per tutti noi.
Fonte: di Stefano Gagliano