"PER L'ITALIA NON C'E' TEMPO DA PERDERE" di Andrea Becherucci
26-07-2022 - EDITORIALE
Il governo presieduto da Mario Draghi è caduto, preceduto da una serie di fibrillazioni che hanno mostrato quanto ormai si fosse sfilacciata la trama delle forze che ne reggevano le sorti via via che si avvicinava la scadenza naturale di fine legislatura. Si è già aperta, come d’uso, la gara a distribuire le colpe per un evento drammatico – data la situazione in cui viene a cadere – ma tutt’altro che inaspettato. Non approfondiremo in questa sede le responsabilità politiche degli uni e degli altri ma non possiamo fare a meno di notare quali reazioni, in campo internazionale, esse abbiano suscitato.
I giornali americani e britannici hanno sottolineato l’aumento dello spread e i timori degli investitori ma hanno anche evidenziato anche le ricadute negative che le dimissioni di Draghi, arrivate dopo la defenestrazione di Boris Johnson, avranno sulla compattezza della coalizione antirussa. Le testate francesi, tedesche e spagnole hanno sottolineato che nella situazione odierna, l’Italia potrebbe rappresentare, ancora una volta, l’anello debole dei paesi che hanno adottato l’Euro.
L’altro profilo di rischio concerne i fondi facenti parte del PNRR. Ora, se è vero che questi non sono messi in pericolo dalla sostituzione di Draghi, è pur vero, anche, che l’Italia è osservata speciale in relazione al suo altissimo debito pubblico il che significa che la stretta osservanza della road map stabilita a suo tempo con le istituzioni europee resterà un punto fermo anche per i prossimi mesi a prescindere da chi si troverà a guidare il governo.
Al di là di quanto avvenuto nel nostro paese, nel mese appena trascorso sono state prese dagli attori presenti sulla scena internazionale alcune decisioni destinate a segnare in profondità la politica estera dei prossimi anni.
Durante il vertice tenuto a Madrid dal 28 al 30 giugno, è stata accolta la richiesta, avanzata da Svezia e Finlandia, di aderire alla NATO. La domanda è stata accettata grazie all’accordo raggiunto dai due paesi con la Turchia che, in un primo momento, aveva manifestato le sue riserve per la politica svedese in materia di immigrazione riguardo alla presenza nel paese scandinavo di attivisti curdi considerati in Turchia dei terroristi e in ragione della quale il presidente Recep Tayyp Erdogan aveva annunciato, inizialmente il voto contrario del suo paese.
Allo stesso tempo, a Madrid è stato illustrato dal segretario generale della NATO Jens Stoltenberg il nuovo modello dell’organizzazione per gli anni a venire, alla luce, soprattutto, di quanto sta avvenendo in Ucraina. Si è imposto, così, un carattere composito e flessibile della risposta dell’alleanza destinato ad operare, oltre che nei settori propri di ogni conflitto (aria, mare e terra) anche nello spazio e nel cyberuniverso. Naturalmente questo sviluppo implicherà forti investimenti da parte di tutti i paesi membri.
Il documento finale approvato nella capitale spagnola parla della NATO come «the foundation of our collective defence and the essential forum for security consultations and decisions among Allies» e cita, tra le minacce per l’alleanza – oltre alla Russia – anche la Cina per ciò che questa rappresenta in quanto continua sfida alle democrazie liberali attraverso attacchi informatici rivolti contro gli interessi, i valori e la sicurezza dei paesi membri.
Oltre a questa novità si è previsto lo schieramento in Europa di una forza di reazione rapida di 300.000 unità.
Qual è il punto debole di questo riposizionamento? Molto probabilmente il fatto che dietro questa nuova configurazione manca un disegno strategico complessivo; in una parola, esso fa pensare, semplicemente, che si sia voluti tornare indietro ai tempi della ‘guerra fredda’ aggiornando soltanto gli strumenti di contrasto a disposizione.
In realtà, emerge, però, qualcosa di completamente nuovo ed è il ruolo che hanno assunto, nella gestione della crisi ucraina ma anche nella nuova dottrina operativa della NATO i paesi dell’Europa orientale che, sempre di più, sembrano determinare gli sviluppi delle politiche della NATO e dell’UE tanto che sembra improbabile, allo stato dei fatti, che possa essere nuovamente evocato, almeno in tempi brevi, il fantasma di un esercito europeo come, al contrario, pareva possibile solo qualche mese fa dopo l’attivismo dimostrato in questo senso dal presidente francese Macron che nel 2019 aveva parlato di ‘morte cerebrale’ della NATO (in questo frangente non rileva notare che l’eventuale esercito europeo che si sarebbe venuto a creare avrebbe avuto, comunque, un chiaro imprinting francese e per la superiorità delle sue forze armate e per il possesso dell’arma atomica).
Si collega a quanto scritto finora l’altro grande elemento di novità che è intervenuto negli scorsi giorni, ossia l’accettazione da parte dell’Unione europea della domanda di adesione presentata dal governo ucraino. Lo status di paese candidato è stato riconosciuto all’Ucraina e alla Moldavia con l’approvazione del Consiglio europeo il 23 giugno 2022. Chiediamoci ora quali scenari potrà aprire per l’UE questa decisione. È molto probabile che l’adesione dell’Ucraina all’UE (il cui processo sarà comunque lungo) vada a corroborare ancora una volta la linea dell’allargamento a scapito di quella dell’approfondimento il che porterà ancora, inevitabilmente, a tensioni fra i paesi membri, in particolare tra i paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale. Aveva già segnalato questo dato, alcune settimane fa, Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore facendo notare che una controspinta a questa deriva sarebbe potuta venire solo da una ‘integrazione differenziata’ utile a ridefinire le priorità in ambito UE.
Mi permetto di aggiungere, in chiusura, che sembra sempre più necessario stabilire una volta per tutte quali siano i confini dell’Europa. Chi può ancora ambire a far parte dell’UE?
Israele? Marocco? Turchia? la stessa Russia? Fare chiarezza su questo punto pare ormai un dovere ineludibile.
I giornali americani e britannici hanno sottolineato l’aumento dello spread e i timori degli investitori ma hanno anche evidenziato anche le ricadute negative che le dimissioni di Draghi, arrivate dopo la defenestrazione di Boris Johnson, avranno sulla compattezza della coalizione antirussa. Le testate francesi, tedesche e spagnole hanno sottolineato che nella situazione odierna, l’Italia potrebbe rappresentare, ancora una volta, l’anello debole dei paesi che hanno adottato l’Euro.
L’altro profilo di rischio concerne i fondi facenti parte del PNRR. Ora, se è vero che questi non sono messi in pericolo dalla sostituzione di Draghi, è pur vero, anche, che l’Italia è osservata speciale in relazione al suo altissimo debito pubblico il che significa che la stretta osservanza della road map stabilita a suo tempo con le istituzioni europee resterà un punto fermo anche per i prossimi mesi a prescindere da chi si troverà a guidare il governo.
Al di là di quanto avvenuto nel nostro paese, nel mese appena trascorso sono state prese dagli attori presenti sulla scena internazionale alcune decisioni destinate a segnare in profondità la politica estera dei prossimi anni.
Durante il vertice tenuto a Madrid dal 28 al 30 giugno, è stata accolta la richiesta, avanzata da Svezia e Finlandia, di aderire alla NATO. La domanda è stata accettata grazie all’accordo raggiunto dai due paesi con la Turchia che, in un primo momento, aveva manifestato le sue riserve per la politica svedese in materia di immigrazione riguardo alla presenza nel paese scandinavo di attivisti curdi considerati in Turchia dei terroristi e in ragione della quale il presidente Recep Tayyp Erdogan aveva annunciato, inizialmente il voto contrario del suo paese.
Allo stesso tempo, a Madrid è stato illustrato dal segretario generale della NATO Jens Stoltenberg il nuovo modello dell’organizzazione per gli anni a venire, alla luce, soprattutto, di quanto sta avvenendo in Ucraina. Si è imposto, così, un carattere composito e flessibile della risposta dell’alleanza destinato ad operare, oltre che nei settori propri di ogni conflitto (aria, mare e terra) anche nello spazio e nel cyberuniverso. Naturalmente questo sviluppo implicherà forti investimenti da parte di tutti i paesi membri.
Il documento finale approvato nella capitale spagnola parla della NATO come «the foundation of our collective defence and the essential forum for security consultations and decisions among Allies» e cita, tra le minacce per l’alleanza – oltre alla Russia – anche la Cina per ciò che questa rappresenta in quanto continua sfida alle democrazie liberali attraverso attacchi informatici rivolti contro gli interessi, i valori e la sicurezza dei paesi membri.
Oltre a questa novità si è previsto lo schieramento in Europa di una forza di reazione rapida di 300.000 unità.
Qual è il punto debole di questo riposizionamento? Molto probabilmente il fatto che dietro questa nuova configurazione manca un disegno strategico complessivo; in una parola, esso fa pensare, semplicemente, che si sia voluti tornare indietro ai tempi della ‘guerra fredda’ aggiornando soltanto gli strumenti di contrasto a disposizione.
In realtà, emerge, però, qualcosa di completamente nuovo ed è il ruolo che hanno assunto, nella gestione della crisi ucraina ma anche nella nuova dottrina operativa della NATO i paesi dell’Europa orientale che, sempre di più, sembrano determinare gli sviluppi delle politiche della NATO e dell’UE tanto che sembra improbabile, allo stato dei fatti, che possa essere nuovamente evocato, almeno in tempi brevi, il fantasma di un esercito europeo come, al contrario, pareva possibile solo qualche mese fa dopo l’attivismo dimostrato in questo senso dal presidente francese Macron che nel 2019 aveva parlato di ‘morte cerebrale’ della NATO (in questo frangente non rileva notare che l’eventuale esercito europeo che si sarebbe venuto a creare avrebbe avuto, comunque, un chiaro imprinting francese e per la superiorità delle sue forze armate e per il possesso dell’arma atomica).
Si collega a quanto scritto finora l’altro grande elemento di novità che è intervenuto negli scorsi giorni, ossia l’accettazione da parte dell’Unione europea della domanda di adesione presentata dal governo ucraino. Lo status di paese candidato è stato riconosciuto all’Ucraina e alla Moldavia con l’approvazione del Consiglio europeo il 23 giugno 2022. Chiediamoci ora quali scenari potrà aprire per l’UE questa decisione. È molto probabile che l’adesione dell’Ucraina all’UE (il cui processo sarà comunque lungo) vada a corroborare ancora una volta la linea dell’allargamento a scapito di quella dell’approfondimento il che porterà ancora, inevitabilmente, a tensioni fra i paesi membri, in particolare tra i paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale. Aveva già segnalato questo dato, alcune settimane fa, Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore facendo notare che una controspinta a questa deriva sarebbe potuta venire solo da una ‘integrazione differenziata’ utile a ridefinire le priorità in ambito UE.
Mi permetto di aggiungere, in chiusura, che sembra sempre più necessario stabilire una volta per tutte quali siano i confini dell’Europa. Chi può ancora ambire a far parte dell’UE?
Israele? Marocco? Turchia? la stessa Russia? Fare chiarezza su questo punto pare ormai un dovere ineludibile.