"POLONIA - IL RITORNO DELLA DEMOCRAZIA"
23-10-2023 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Quarant'anni fa Jaroslaw Kaczynski e Donald Tusk aderirono a Solidarnosc, un'associazione di dieci milioni di lavoratori e intellettuali polacchi che divenne il più grande movimento politico d' Europa. Nell'arco di nove anni, il sindacato riuscì ad aprire un buco nella cortina di ferro e a spazzar via il regime comunista, con l'intento di trasformare la Polonia in una democrazia liberale ricollegata all'Occidente. Il 15 ottobre il Paese si è recato alle urne. E Tusk e Kaczynski si sono ritrovati, ma in schieramenti opposti: Kaczynski, in qualità di leader del partito populista Legge e Giustizia (PiS), al governo; Donald Tusk, quale presidente di Piattaforma Civica, all'opposizione. Il partito di Kaczynsky, al potere dal 2015, contava di vincere un terzo mandato e di continuare a promuovere l'agenda socialmente conservatrice che ha portato alla spaccatura tra Varsavia e Bruxelles. Durante questi otto anni, la Polonia governata dal Kaczynsky è diventata un esempio di politica illiberale. Ha trasformato la televisione pubblica in un braccio di propaganda del governo, ha limitato il diritto all'aborto e demonizzato gli LGBTQ, i migranti e i rifugiati. Ha minato l'indipendenza della magistratura e dei media. E'entrata in rotta di collisione con Bruxelles per questioni legate allo stato di diritto, il che ha portato al congelamento di 36 miliardi di euro di finanziamenti europei. Insieme all'Ungheria di Viktor Orbán, ha trattato i valori e le norme dell'Unione europea con disprezzo e si è opposta alla cooperazione su questioni come la crisi migratoria. Ciononostante, nei sondaggi il PiS era dato in vantaggio. Aveva il controllo totale sui media pubblici. Poteva contare, dopo anni di sussidi assistenziali, su una forte base elettorale nelle aree provinciali e rurali e tra le persone meno istruite. Poco prima delle elezioni, ha scontato il prezzo della benzina, ha promesso assegni familiari extra e nelle circoscrizioni elettorali dov'era più forte ha offerto un bonus per favorire l'affluenza alle urne. Non solo. Nel corso di una feroce campagna elettorale, ha criminalizzato l'avversario, Donald Tusk, accusandolo di essere un tirapiedi della Germania, di Bruxelles e della Russia. Ma Donald Tusk, 66 anni, non è un debole. Vanta decenni di esperienza, dal sindacato anticomunista Solidarnosc ai vertici della politica polacca: dal 2007 al 2014 primo ministro, poi presidente del Consiglio europeo fino al 2019. Il suo ritorno, dopo otto anni, ha messo in allarme il partito di governo. Perché si è dichiarato pronto a modernizzare il Paese, deciso a riportare la Polonia su un percorso pro-UE, a ripristinare l'indipendenza della magistratura e a varare una legge sull'aborto meno restrittiva.
Quando il 15 ottobre il Paese si è recato alle urne, nessuno si aspettava un'affluenza record: il 74,3%, più alta di quella delle elezioni del 1989, che innescarono il collasso del sistema comunista sostenuto dai sovietici e aprirono le porte alla democrazia in Polonia. I risultati non lasciano adito a dubbi: la vittoria della coalizione dei partiti dell'opposizione è incontestabile. Sebbene il PiS sia emerso ancora una volta come la più grande forza elettorale del Paese, ha perso la maggioranza e non ha la possibilità di costruirne una nuova per mancanza di un alleato di coalizione. Il che per la Polonia e per il resto d'Europa costituisce un risultato di enorme importanza. Il partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS), con il 35,4% dei voti, è arrivato primo. Il partito della Coalizione Civica (KO) di Tusk al 30,7% dei voti, insieme con gli altri due partiti moderati e di sinistra: la Terza al 14,4%, e la Nuova sinistra all'8,6%, incassano il 54% delle preferenze. Tradotto in seggi nella Camera bassa, sono 248 seggi su 460. La maggioranza assoluta. Il partito PiS al potere ha perduto nonostante il controllo sui media pubblici e l'introduzione di un referendum lo stesso giorno delle elezioni sulla migrazione, reso nullo per insufficiente numero di voti. A minare il sostegno al PiS hanno contribuito vari concause: le dimissioni dei principali generali dell'esercito in un momento di crescente minaccia da parte della Russia, i litigi con l'Ucraina sulle importazioni agricole, le accuse di clientelismo e la distribuzione di migliaia di posti di lavoro e contratti in aziende statali ai lealisti del partito. Quanto all'opposizione, perché ha vinto? Perché molti elettori si sono stancati del governo corrotto, retrogrado e oscurantista del partito guidato dal 74enne Jarosław Kaczyński. Altri, allarmati dalla linea anti-Bruxelles del PiS, hanno temuto una Polexit. Da non sottovalutare l'aumento del voto giovanile, il fatto che per la prima volta in queste elezioni hanno votato più donne che uomini, motivate fra l'altro dai vincoli imposti dalla legge anti-aborto.
La nomina del prossimo primo ministro spetta a uno stretto alleato del PiS, il presidente Andrzej Duda, che rimarrà in carica fino al 2025. Ha già detto che si sarebbe rivolto innanzitutto al partito che ha ottenuto il maggior numero di seggi parlamentari, il che ritarderà la formazione di un nuovo governo di settimane o addirittura mesi. Quanto a Donald Tusk non avrà un compito facile. Dovrà gestire la politica interna sullo sfondo di un deficit di bilancio in aumento, gonfiato dalle erogazioni di welfare. Dovrà ripristinare l'indipendenza della magistratura e le relazioni con Bruxelles sbloccando così i 36 miliardi di euro di finanziamenti. Trasformare i media statali in veri e propri media di servizio pubblico. Ridisegnare i confini elettorali in modo che riflettano i cambiamenti demografici. Tutto questo mentre Duda ha ancora ampi poteri di veto.
La riconquista della democrazia non sarà pertanto un'impresa facile. Ma è incontestabile che il PiS abbia perduto il controllo di entrambe le camere del parlamento polacco. E in un momento in cui populismo e nazionalismo sono in aumento in altre parti d'Europa, la vittoria di Tusk riveste un'importanza cruciale non solo per la Polonia, ma per l'Unione Europea. È nell'interesse della Polonia e dell'Europa che la Polonia, uno dei sei grandi Stati europei, si affermi come baluardo della democrazia liberale.
Quando il 15 ottobre il Paese si è recato alle urne, nessuno si aspettava un'affluenza record: il 74,3%, più alta di quella delle elezioni del 1989, che innescarono il collasso del sistema comunista sostenuto dai sovietici e aprirono le porte alla democrazia in Polonia. I risultati non lasciano adito a dubbi: la vittoria della coalizione dei partiti dell'opposizione è incontestabile. Sebbene il PiS sia emerso ancora una volta come la più grande forza elettorale del Paese, ha perso la maggioranza e non ha la possibilità di costruirne una nuova per mancanza di un alleato di coalizione. Il che per la Polonia e per il resto d'Europa costituisce un risultato di enorme importanza. Il partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS), con il 35,4% dei voti, è arrivato primo. Il partito della Coalizione Civica (KO) di Tusk al 30,7% dei voti, insieme con gli altri due partiti moderati e di sinistra: la Terza al 14,4%, e la Nuova sinistra all'8,6%, incassano il 54% delle preferenze. Tradotto in seggi nella Camera bassa, sono 248 seggi su 460. La maggioranza assoluta. Il partito PiS al potere ha perduto nonostante il controllo sui media pubblici e l'introduzione di un referendum lo stesso giorno delle elezioni sulla migrazione, reso nullo per insufficiente numero di voti. A minare il sostegno al PiS hanno contribuito vari concause: le dimissioni dei principali generali dell'esercito in un momento di crescente minaccia da parte della Russia, i litigi con l'Ucraina sulle importazioni agricole, le accuse di clientelismo e la distribuzione di migliaia di posti di lavoro e contratti in aziende statali ai lealisti del partito. Quanto all'opposizione, perché ha vinto? Perché molti elettori si sono stancati del governo corrotto, retrogrado e oscurantista del partito guidato dal 74enne Jarosław Kaczyński. Altri, allarmati dalla linea anti-Bruxelles del PiS, hanno temuto una Polexit. Da non sottovalutare l'aumento del voto giovanile, il fatto che per la prima volta in queste elezioni hanno votato più donne che uomini, motivate fra l'altro dai vincoli imposti dalla legge anti-aborto.
La nomina del prossimo primo ministro spetta a uno stretto alleato del PiS, il presidente Andrzej Duda, che rimarrà in carica fino al 2025. Ha già detto che si sarebbe rivolto innanzitutto al partito che ha ottenuto il maggior numero di seggi parlamentari, il che ritarderà la formazione di un nuovo governo di settimane o addirittura mesi. Quanto a Donald Tusk non avrà un compito facile. Dovrà gestire la politica interna sullo sfondo di un deficit di bilancio in aumento, gonfiato dalle erogazioni di welfare. Dovrà ripristinare l'indipendenza della magistratura e le relazioni con Bruxelles sbloccando così i 36 miliardi di euro di finanziamenti. Trasformare i media statali in veri e propri media di servizio pubblico. Ridisegnare i confini elettorali in modo che riflettano i cambiamenti demografici. Tutto questo mentre Duda ha ancora ampi poteri di veto.
La riconquista della democrazia non sarà pertanto un'impresa facile. Ma è incontestabile che il PiS abbia perduto il controllo di entrambe le camere del parlamento polacco. E in un momento in cui populismo e nazionalismo sono in aumento in altre parti d'Europa, la vittoria di Tusk riveste un'importanza cruciale non solo per la Polonia, ma per l'Unione Europea. È nell'interesse della Polonia e dell'Europa che la Polonia, uno dei sei grandi Stati europei, si affermi come baluardo della democrazia liberale.
Fonte: di Giulietta Rovera