ROVESCIAMENTO DELLE ALLEANZE? di Giuseppe Butta'
di Giuseppe Butta'
25-03-2025 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
A 60 giorni dall'inizio del secondo mandato di Donald Trump, ci dobbiamo porre una domanda quasi esistenziale: il nuovo padrone della Casa Bianca sta rinunciando al ruolo che l'America ha avuto finora nel mondo?
L'Ucraina – calpestata da tre anni dalle armate russe che, invece della falce e martello come ai tempi di Budapest e di Praga, portano come contrassegno la Z che minaccia di morte il presidente Zelensky – ha ora subìto per mano del duo americano Trump-Vance l'umiliazione che fu riservata al Papa ottocento anni fa ad Anagni e che fu il preludio della cattività avignonese: un'imboscata in cui è stato anche permesso che un giornalista – zotico ma, evidentemente, elegantone come sanno essere gli americani – chiedesse conto a Zelensky del suo abbigliamento, della sua maglietta militare che egli indossa da tre anni in ogni occasione, anche quando è andato dal Papa, per rappresentare simbolicamente la resistenza ucraina contro quei benefattori dell'umanità che Putin ha mandato in Ucraina. Un'umiliazione che, tre giorni dopo, è culminata nella sospensione degli aiuti militari americani all'Ucraina: un omicidio-suicidio.
Mai ci saremmo aspettati che un Presidente degli Stati Uniti potesse trattare con tale violenza un suo ospite che, per quanto rappresenti una piccola e stremata nazione, ha diritto ai privilegi della civile ospitalità.
Se a Trump dobbiamo riconoscere il merito di avere dato una svolta in direzione della trattativa per l'Ucraina, pure dobbiamo dire che non ci saremmo mai aspettato che questa svolta aprisse uno scenario da ‘rovesciamento delle alleanze' degno di altri tempi e così repentino, così suicida. Stati Uniti e Ucraina, finora alleati, hanno dovuto incontrarsi in territorio neutrale, in Arabia Saudita, perché evidentemente il governo americano non riceverà Zelensky fino a quando non avrà adeguato il suo abbigliamento allo ‘stile' della Casa Bianca. Ma, comunque ciò sia, i negoziatori americani e ucraini, avevano raggiunto l'accordo – che, oltre alla tregua, prevede la concessione agli USA dello sfruttamento delle ‘terre rare' e la revoca immediata della sospensione degli aiuti militari all'Ucraina da parte americana – sulla proposta di una tregua d'armi come premessa di una possibile trattativa di pace.
Tutti si aspettavano che da Mosca venisse un segnale di apertura ma, fino a questo momento, i segnali sono venuti solo dai lampi dei missili e droni russi nei cieli d'Ucraina. Infatti, abbiamo visto che la reprimenda trumpiana a Zelensky e la minaccia di rottura con l'Europa hanno sortito un effetto del tutto opposto a quello atteso da Trump: il 7 marzo – cioè dopo che Trump aveva appena sospeso l'invio di aiuti militari e finanziari all'Ucraina – Putin, che è un abile trecartista, ha trovato che quello fosse il momento più adatto per bombardare pesantemente tutta l'Ucraina.
Sia pure ‘obtorto collo', Trump ha dovuto allora assumere una posizione apparentemente più dura nei confronti della Russia dichiarando che, '«in considerazione del fatto che la Russia sta duramente 'picchiando' l'Ucraina sul campo di battaglia proprio ora, sto considerando risolutamente di applicarle sanzioni bancarie su larga scala e le tariffe daziarie fino a quando non sarà raggiunto un cessate il fuoco e un accordo finale sulla pace». Egli si è anche spinto fino a chiedere a Putin di «risparmiare i soldati ucraini in ritirata nel Kursk»; gli è stato risposto: «depongano le armi e si arrendano».
È chiaro che Trump non può ottenere facilmente la tregua né, tanto meno, la pace, ma non basti che egli minacci alla Russia ‘sanzioni terribili' e gli stessi dazi che minaccia ai suoi alleati, a partire dal Canada; forse egli avrebbe dovuto e dovrebbe far capire a Putin di essere disposto a soccorrere in ogni modo l'impavido esercito ucraino!
La Russia ha rispolverato i famosi ‘niet' di sovietica memoria e ha fatto finta di accettare – in pura linea di principio (cioè di propaganda), circondandola di condizioni inaccettabili non solo dagli ucraini – la tregua di 30 giorni imposta dagli americani agli ucraini a Gedda. Con il nobile intento di perseguire una pace stabile e duratura, Putin ha messo un granello di sabbia nell'ingranaggio di Trump, dicendo che si debbano risolvere le cause ‘profonde del conflitto' – cioè il raggiungimento di tutti gli obiettivi della sua ‘operazione militare speciale' – e non ricercare semplicemente una tregua d'armi.' Putin infatti vuole il 25% del territorio, la smilitarizzazione dell'Ucraina e, inoltre, che questa non entri nell'UE e, tanto meno, nella NATO, il che in sostanza significa il virtuale futuro assorbimento dell'Ucraina nella Russia.
La famosa telefonata di due ore del 18 marzo, tra Trump e Putin, ha partorito il cessate il fuoco ‘parziale' di 30 giorni, generosamente concesso da Mosca, limitato soltanto ai bombardamenti sulle infrastrutture energetiche (che, evidentemente, i russi vogliono trovare intatte e funzionanti quando se le prenderanno) e la resa incondizionata di Kiev. Trump ha ragione nel definire "produttivo" il colloquio con Putin perché, se non altro, è finalmente caduto il velo sulle pretese russe: oltre a questo, non c'è altro che la resa non solo di Kiev e, purtroppo, anche degli Stati Uniti.
Vedremo gli sviluppi ma, senza volere essere pessimisti e stando all'esperienza, non c'è da aspettarsi altro che un tira e molla come è accaduto dopo gli accordi di Minsk (2014 - 2015), il cui unico effetto mi pare sia stato quello di offrire a Putin il pretesto per lanciare la sua ‘operazione militare speciale' nel 2022 e di esibirsi ancora una volta come impareggiabile illusionista. Un accordo di questo tipo – che, tra l'altro, lascerà Trump a mani vuote anche delle ‘terre rare' ucraine – non porterebbe alcuna sicurezza.
La politica di Trump potrebbe costringere l'Ucraina a una tregua ma – se egli commetterà lo stesso errore fatto da Franklin D. Roosevelt non dando ascolto a Churchill che gli consigliava di diffidare di Stalin – è dubbio che possa nascerne la pace e, soprattutto, un ordine mondiale equilibrato tra vecchio Occidente e vecchi e nuovi potenti dell'Est: bisogna che egli si ricordi anche del desiderio di Churchill di «poter stringere la mano ai russi più ad est possibile».
La mia impressione è che Trump si sbagli pensando che l'appeasement con Mosca non abbia un prezzo altissimo: per quanto giusto possa essere questo obiettivo, bisogna che egli si chieda se, a Riad, non stia assumendo il ruolo che fu di Chamberlain a Monaco. Accettare oggi le condizioni poste dalla Russia per la tregua (figuriamoci quelle che pretenderà per porre fine alla guerra) sarebbe un segno di debolezza ancora più grave di quello dato dal disastroso ritiro dall'Afghanistan – da Trump così giustamente criticato – che aprì la strada a Putin per invadere l'Ucraina nel 2022 e che oggi aprirebbe altre strade ai disegni egemonici non solo della Russia.
Bisogna che egli si chieda quale sia la contropartita che Putin si aspetta. Essa non può essere altro che l'America gli lasci campo libero in Europa pet restaurare, possibilmente allargandola, la vecchia egemonia staliniana in Europa: dalla Bulgaria alla Lituania se non anche alla Polonia e ai tanti ‘utili idioti' putiniani sparsi per l'Europa.
Molti analisti pensano che la strategia di appeasement con la Russia seguita da Trump sarebbe quella di impedire l'unità strategica tra Russia e Cina. Può darsi che Trump ci riesca ma farebbe bene a fare i conti con l'oste, cioè con la Cina, la quale oggi cerca abilmente di incunearsi in Europa, nello spazio che Trump gli sta lasciando minacciando dazi all'UE e ritiro dalla NATO: non è un caso che Xi abbia lanciato un'opa sull'Europa offrendo i suoi soldati come forza d'interposizione in Ucraina.
Trump non ha solo scosso l'Ucraina. Alla zampata dello Studio ovale ha aggiunto, tre giorni dopo, la manciata di sale con il discorso sullo ‘stato dell'Unione' in cui ha rinnovato agli americani la promessa di prendersi la Groenlandia (nonché il Canada) mettendo così in discussione alcuni dei presupposti fondamentali delle relazioni transatlantiche. A Monaco di Baviera, dove nei primi giorni del febbraio scorso si stava svolgendo la Conferenza sulla sicurezza, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth e il Segretario di Stato Marco Rubio hanno avvisato che gli Stati Uniti si stanno sostanzialmente ritirando e che, come ha detto Rubio, la Cina e la Russia potrebbero avere ciò che hanno a lungo cercato: un "mondo multipolare". A ciò si è aggiunto, sempre a Monaco, un discorso del vice presidente J.D. Vance che, al netto di qualche farneticazione – a suo avviso «le vere minacce» non vengono dalla Russia o dalla Cina «ma dalla «decadente Europa di Bruxelles» – sembra l'avvio delle pratiche del divorzio con l'Europa: diciamo la verità, il divorzio potrebbe essere addebitato al ‘vecchio continente', finora refrattario ad assumersi la quota di responsabilità derivante dai benefici goduti grazie all'alleanza con l'America: è vero che gli Stati Uniti hanno avuto e hanno bisogno dell'Europa, è però ancora più vero che l'Europa ha bisogno degli Stati Uniti: pertanto, i suoi cacicchi dovrebbero smetterla di non adempiere i loro doveri verso l'alleanza o di giocare alle grandi potenze flirtando con i nemici dell'America, e nostri.
Franklin D. Roosevelt, in un famoso discorso al Congresso nel 1941, cominciò a preparare la nazione alle dure necessità che quei tempi imponevano ricordando che «coloro che rinunciano alla libertà essenziale per acquistare un po' di sicurezza temporanea, non meritano né libertà né sicurezza. Come nazione possiamo essere orgogliosi del fatto che siamo di buon cuore ma non possiamo permetterci di essere stupidi».
Dobbiamo forse pensare che Trump voglia rinunciare agli effetti della splendida resistenza degli Stati Uniti contro i vari "imperi del male" che si sono succeduti negli ultimi 80 anni? Che voglia cancellare la vittoria di Reagan?
Conviene questo agli Stati Uniti? O saranno costretti a fare, prima o poi, un nuovo sbarco in Normandia e non si sa con quale esito?
Dov'è finita la ‘Carta Atlantica'?
L'Ucraina – calpestata da tre anni dalle armate russe che, invece della falce e martello come ai tempi di Budapest e di Praga, portano come contrassegno la Z che minaccia di morte il presidente Zelensky – ha ora subìto per mano del duo americano Trump-Vance l'umiliazione che fu riservata al Papa ottocento anni fa ad Anagni e che fu il preludio della cattività avignonese: un'imboscata in cui è stato anche permesso che un giornalista – zotico ma, evidentemente, elegantone come sanno essere gli americani – chiedesse conto a Zelensky del suo abbigliamento, della sua maglietta militare che egli indossa da tre anni in ogni occasione, anche quando è andato dal Papa, per rappresentare simbolicamente la resistenza ucraina contro quei benefattori dell'umanità che Putin ha mandato in Ucraina. Un'umiliazione che, tre giorni dopo, è culminata nella sospensione degli aiuti militari americani all'Ucraina: un omicidio-suicidio.
Mai ci saremmo aspettati che un Presidente degli Stati Uniti potesse trattare con tale violenza un suo ospite che, per quanto rappresenti una piccola e stremata nazione, ha diritto ai privilegi della civile ospitalità.
Se a Trump dobbiamo riconoscere il merito di avere dato una svolta in direzione della trattativa per l'Ucraina, pure dobbiamo dire che non ci saremmo mai aspettato che questa svolta aprisse uno scenario da ‘rovesciamento delle alleanze' degno di altri tempi e così repentino, così suicida. Stati Uniti e Ucraina, finora alleati, hanno dovuto incontrarsi in territorio neutrale, in Arabia Saudita, perché evidentemente il governo americano non riceverà Zelensky fino a quando non avrà adeguato il suo abbigliamento allo ‘stile' della Casa Bianca. Ma, comunque ciò sia, i negoziatori americani e ucraini, avevano raggiunto l'accordo – che, oltre alla tregua, prevede la concessione agli USA dello sfruttamento delle ‘terre rare' e la revoca immediata della sospensione degli aiuti militari all'Ucraina da parte americana – sulla proposta di una tregua d'armi come premessa di una possibile trattativa di pace.
Tutti si aspettavano che da Mosca venisse un segnale di apertura ma, fino a questo momento, i segnali sono venuti solo dai lampi dei missili e droni russi nei cieli d'Ucraina. Infatti, abbiamo visto che la reprimenda trumpiana a Zelensky e la minaccia di rottura con l'Europa hanno sortito un effetto del tutto opposto a quello atteso da Trump: il 7 marzo – cioè dopo che Trump aveva appena sospeso l'invio di aiuti militari e finanziari all'Ucraina – Putin, che è un abile trecartista, ha trovato che quello fosse il momento più adatto per bombardare pesantemente tutta l'Ucraina.
Sia pure ‘obtorto collo', Trump ha dovuto allora assumere una posizione apparentemente più dura nei confronti della Russia dichiarando che, '«in considerazione del fatto che la Russia sta duramente 'picchiando' l'Ucraina sul campo di battaglia proprio ora, sto considerando risolutamente di applicarle sanzioni bancarie su larga scala e le tariffe daziarie fino a quando non sarà raggiunto un cessate il fuoco e un accordo finale sulla pace». Egli si è anche spinto fino a chiedere a Putin di «risparmiare i soldati ucraini in ritirata nel Kursk»; gli è stato risposto: «depongano le armi e si arrendano».
È chiaro che Trump non può ottenere facilmente la tregua né, tanto meno, la pace, ma non basti che egli minacci alla Russia ‘sanzioni terribili' e gli stessi dazi che minaccia ai suoi alleati, a partire dal Canada; forse egli avrebbe dovuto e dovrebbe far capire a Putin di essere disposto a soccorrere in ogni modo l'impavido esercito ucraino!
La Russia ha rispolverato i famosi ‘niet' di sovietica memoria e ha fatto finta di accettare – in pura linea di principio (cioè di propaganda), circondandola di condizioni inaccettabili non solo dagli ucraini – la tregua di 30 giorni imposta dagli americani agli ucraini a Gedda. Con il nobile intento di perseguire una pace stabile e duratura, Putin ha messo un granello di sabbia nell'ingranaggio di Trump, dicendo che si debbano risolvere le cause ‘profonde del conflitto' – cioè il raggiungimento di tutti gli obiettivi della sua ‘operazione militare speciale' – e non ricercare semplicemente una tregua d'armi.' Putin infatti vuole il 25% del territorio, la smilitarizzazione dell'Ucraina e, inoltre, che questa non entri nell'UE e, tanto meno, nella NATO, il che in sostanza significa il virtuale futuro assorbimento dell'Ucraina nella Russia.
La famosa telefonata di due ore del 18 marzo, tra Trump e Putin, ha partorito il cessate il fuoco ‘parziale' di 30 giorni, generosamente concesso da Mosca, limitato soltanto ai bombardamenti sulle infrastrutture energetiche (che, evidentemente, i russi vogliono trovare intatte e funzionanti quando se le prenderanno) e la resa incondizionata di Kiev. Trump ha ragione nel definire "produttivo" il colloquio con Putin perché, se non altro, è finalmente caduto il velo sulle pretese russe: oltre a questo, non c'è altro che la resa non solo di Kiev e, purtroppo, anche degli Stati Uniti.
Vedremo gli sviluppi ma, senza volere essere pessimisti e stando all'esperienza, non c'è da aspettarsi altro che un tira e molla come è accaduto dopo gli accordi di Minsk (2014 - 2015), il cui unico effetto mi pare sia stato quello di offrire a Putin il pretesto per lanciare la sua ‘operazione militare speciale' nel 2022 e di esibirsi ancora una volta come impareggiabile illusionista. Un accordo di questo tipo – che, tra l'altro, lascerà Trump a mani vuote anche delle ‘terre rare' ucraine – non porterebbe alcuna sicurezza.
La politica di Trump potrebbe costringere l'Ucraina a una tregua ma – se egli commetterà lo stesso errore fatto da Franklin D. Roosevelt non dando ascolto a Churchill che gli consigliava di diffidare di Stalin – è dubbio che possa nascerne la pace e, soprattutto, un ordine mondiale equilibrato tra vecchio Occidente e vecchi e nuovi potenti dell'Est: bisogna che egli si ricordi anche del desiderio di Churchill di «poter stringere la mano ai russi più ad est possibile».
La mia impressione è che Trump si sbagli pensando che l'appeasement con Mosca non abbia un prezzo altissimo: per quanto giusto possa essere questo obiettivo, bisogna che egli si chieda se, a Riad, non stia assumendo il ruolo che fu di Chamberlain a Monaco. Accettare oggi le condizioni poste dalla Russia per la tregua (figuriamoci quelle che pretenderà per porre fine alla guerra) sarebbe un segno di debolezza ancora più grave di quello dato dal disastroso ritiro dall'Afghanistan – da Trump così giustamente criticato – che aprì la strada a Putin per invadere l'Ucraina nel 2022 e che oggi aprirebbe altre strade ai disegni egemonici non solo della Russia.
Bisogna che egli si chieda quale sia la contropartita che Putin si aspetta. Essa non può essere altro che l'America gli lasci campo libero in Europa pet restaurare, possibilmente allargandola, la vecchia egemonia staliniana in Europa: dalla Bulgaria alla Lituania se non anche alla Polonia e ai tanti ‘utili idioti' putiniani sparsi per l'Europa.
Molti analisti pensano che la strategia di appeasement con la Russia seguita da Trump sarebbe quella di impedire l'unità strategica tra Russia e Cina. Può darsi che Trump ci riesca ma farebbe bene a fare i conti con l'oste, cioè con la Cina, la quale oggi cerca abilmente di incunearsi in Europa, nello spazio che Trump gli sta lasciando minacciando dazi all'UE e ritiro dalla NATO: non è un caso che Xi abbia lanciato un'opa sull'Europa offrendo i suoi soldati come forza d'interposizione in Ucraina.
Trump non ha solo scosso l'Ucraina. Alla zampata dello Studio ovale ha aggiunto, tre giorni dopo, la manciata di sale con il discorso sullo ‘stato dell'Unione' in cui ha rinnovato agli americani la promessa di prendersi la Groenlandia (nonché il Canada) mettendo così in discussione alcuni dei presupposti fondamentali delle relazioni transatlantiche. A Monaco di Baviera, dove nei primi giorni del febbraio scorso si stava svolgendo la Conferenza sulla sicurezza, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth e il Segretario di Stato Marco Rubio hanno avvisato che gli Stati Uniti si stanno sostanzialmente ritirando e che, come ha detto Rubio, la Cina e la Russia potrebbero avere ciò che hanno a lungo cercato: un "mondo multipolare". A ciò si è aggiunto, sempre a Monaco, un discorso del vice presidente J.D. Vance che, al netto di qualche farneticazione – a suo avviso «le vere minacce» non vengono dalla Russia o dalla Cina «ma dalla «decadente Europa di Bruxelles» – sembra l'avvio delle pratiche del divorzio con l'Europa: diciamo la verità, il divorzio potrebbe essere addebitato al ‘vecchio continente', finora refrattario ad assumersi la quota di responsabilità derivante dai benefici goduti grazie all'alleanza con l'America: è vero che gli Stati Uniti hanno avuto e hanno bisogno dell'Europa, è però ancora più vero che l'Europa ha bisogno degli Stati Uniti: pertanto, i suoi cacicchi dovrebbero smetterla di non adempiere i loro doveri verso l'alleanza o di giocare alle grandi potenze flirtando con i nemici dell'America, e nostri.
Franklin D. Roosevelt, in un famoso discorso al Congresso nel 1941, cominciò a preparare la nazione alle dure necessità che quei tempi imponevano ricordando che «coloro che rinunciano alla libertà essenziale per acquistare un po' di sicurezza temporanea, non meritano né libertà né sicurezza. Come nazione possiamo essere orgogliosi del fatto che siamo di buon cuore ma non possiamo permetterci di essere stupidi».
Dobbiamo forse pensare che Trump voglia rinunciare agli effetti della splendida resistenza degli Stati Uniti contro i vari "imperi del male" che si sono succeduti negli ultimi 80 anni? Che voglia cancellare la vittoria di Reagan?
Conviene questo agli Stati Uniti? O saranno costretti a fare, prima o poi, un nuovo sbarco in Normandia e non si sa con quale esito?
Dov'è finita la ‘Carta Atlantica'?
Fonte: di Giuseppe Butta'