SENZA LEADER L’EUROPA (MA NON SOLO) NON VA AVANTIdi Andrea Becherucci
21-10-2024 - CRONACHE SOCIALISTE
Se la storia è fatta dagli uomini l'Europa e gli Stati Uniti non sono messi benissimo in questo momento e le ultime vicende sembrano darne testimonianza. Le leadership sono deboli e le idee – come recita un vecchio adagio – sono poche ma confuse.
Autorità politiche senza nerbo o irrimediabilmente compromesse stimolano gli appetiti di autocrati e politici senza scrupoli (ogni riferimento a Putin, Xi-JinPing e Netanyahu è fortemente voluto).
Vediamo come si presenta il quadro cominciando dall'Europa. I due paesi da sempre chiave di volta degli apparati dell'Unione europea, Francia e Germania, hanno alla loro guida leadership che mostrano la corda. In Francia, Macron ha voluto rovesciare il tavolo dopo l'esito delle europee e ora si trova alle prese con un parlamento ingovernabile che ha partorito un governo il cui primo ministro è espressione della forza che più ha sofferto il risultato delle elezioni. Novello apprendista stregone ha letteralmente manipolato – pur se in modo perfettamente legale – l'esito delle consultazioni. Prima richiama gli elettori al classico barrage républicain per sbarrare la strada al Rassemblement national, poi, ottenuto il risultato desiderato sceglie di non nominare la candidata proposta dalla sinistra uscita vincitrice dalle urne ma, dopo un lungo tira e molla, indica come premier Michel Barnier, un vecchio arnese di area gollista con l'aria di chi ha scelto il salvatore della patria. Il risultato è che il nuovo governo che dovrà presentare una legge di bilancio “lacrime e sangue” si regge sulla benevolenza di Marine Le Pen e del suo partito.
In Germania Olaf Scholz rischia di passare alla storia come il cancelliere più incolore e meno amato della storia della Germania. Il suo partito passa da una sconfitta all'altra mentre le destre prendono pericolosamente piede e non solo nei Länder dell'ex-DDR. In politica estera, come le previsioni meteorologiche d'antan, possiamo dire “non pervenuto”.
Giorgia Meloni sembra, in apparenza la più solida di questi leader finché non si notano le crepe, anche significative, che attraversano la sua coalizione. I distinguo, in particolare, sulla politica estera proposti dalla Lega in ossequio alla sua linea filorussa, si ripetono sempre più frequenti. Sul piano interno, poi, la sua azione è fortemente condizionata dalla necessità di riduzione del debito pubblico dopo la fine della sospensione del Patto di stabilità.
Ma è sul piano della politica europea che queste situazioni di debolezza vanno a incidere pesantemente. La seconda Commissione von der Leyen non è ancora partita e già si avvertono degli scricchiolii sinistri. Il rapporto Draghi sulla competitività, lodato a gran voce da governanti ed esperti, rischia di trasformarsi in un libro dei sogni o, come qualche commentatore ha argutamente eccepito in un “rapporto Draghi à la carte” da cui scegliere le proposte più inoffensive o quelle che potrebbero dare un favorevole ritorno d'immagine a chi se le volesse intestare.
Questo breve excursus non sarebbe completo se non si concludesse con un riferimento alla situazione degli Stati Uniti in cui, fino a gennaio 2025, sarà in carica un Joe Biden in condizioni molto lontane da quelle in cui dovrebbe trovarsi il leader della prima potenza mondiale per essere in grado di incutere un po' di sano timore a Putin in Ucraina o a Xi-Jinping nei confronti di Taiwan o a un alleato riottoso come il primo ministro israeliano Netanyahu che approfitta di questo intervallo di debolezza nella gestione del potere americano per conservare il proprio potere mettendo a rischio la pace nell'intero quadrante mediorientale.
Autorità politiche senza nerbo o irrimediabilmente compromesse stimolano gli appetiti di autocrati e politici senza scrupoli (ogni riferimento a Putin, Xi-JinPing e Netanyahu è fortemente voluto).
Vediamo come si presenta il quadro cominciando dall'Europa. I due paesi da sempre chiave di volta degli apparati dell'Unione europea, Francia e Germania, hanno alla loro guida leadership che mostrano la corda. In Francia, Macron ha voluto rovesciare il tavolo dopo l'esito delle europee e ora si trova alle prese con un parlamento ingovernabile che ha partorito un governo il cui primo ministro è espressione della forza che più ha sofferto il risultato delle elezioni. Novello apprendista stregone ha letteralmente manipolato – pur se in modo perfettamente legale – l'esito delle consultazioni. Prima richiama gli elettori al classico barrage républicain per sbarrare la strada al Rassemblement national, poi, ottenuto il risultato desiderato sceglie di non nominare la candidata proposta dalla sinistra uscita vincitrice dalle urne ma, dopo un lungo tira e molla, indica come premier Michel Barnier, un vecchio arnese di area gollista con l'aria di chi ha scelto il salvatore della patria. Il risultato è che il nuovo governo che dovrà presentare una legge di bilancio “lacrime e sangue” si regge sulla benevolenza di Marine Le Pen e del suo partito.
In Germania Olaf Scholz rischia di passare alla storia come il cancelliere più incolore e meno amato della storia della Germania. Il suo partito passa da una sconfitta all'altra mentre le destre prendono pericolosamente piede e non solo nei Länder dell'ex-DDR. In politica estera, come le previsioni meteorologiche d'antan, possiamo dire “non pervenuto”.
Giorgia Meloni sembra, in apparenza la più solida di questi leader finché non si notano le crepe, anche significative, che attraversano la sua coalizione. I distinguo, in particolare, sulla politica estera proposti dalla Lega in ossequio alla sua linea filorussa, si ripetono sempre più frequenti. Sul piano interno, poi, la sua azione è fortemente condizionata dalla necessità di riduzione del debito pubblico dopo la fine della sospensione del Patto di stabilità.
Ma è sul piano della politica europea che queste situazioni di debolezza vanno a incidere pesantemente. La seconda Commissione von der Leyen non è ancora partita e già si avvertono degli scricchiolii sinistri. Il rapporto Draghi sulla competitività, lodato a gran voce da governanti ed esperti, rischia di trasformarsi in un libro dei sogni o, come qualche commentatore ha argutamente eccepito in un “rapporto Draghi à la carte” da cui scegliere le proposte più inoffensive o quelle che potrebbero dare un favorevole ritorno d'immagine a chi se le volesse intestare.
Questo breve excursus non sarebbe completo se non si concludesse con un riferimento alla situazione degli Stati Uniti in cui, fino a gennaio 2025, sarà in carica un Joe Biden in condizioni molto lontane da quelle in cui dovrebbe trovarsi il leader della prima potenza mondiale per essere in grado di incutere un po' di sano timore a Putin in Ucraina o a Xi-Jinping nei confronti di Taiwan o a un alleato riottoso come il primo ministro israeliano Netanyahu che approfitta di questo intervallo di debolezza nella gestione del potere americano per conservare il proprio potere mettendo a rischio la pace nell'intero quadrante mediorientale.
Fonte: di Andrea Becherucci