"SOCIALISMO LIBERALE O BARBARIE"
24-04-2022 - LA NECESSITA' DEL SOCIALISMO
Marco Cianca, nel suo articolo del marzo 2022, ci richiama ad una riflessione sul momento che stiamo vivendo. La pandemia, l’invasione della Ucraina da parte della Federazione Russa stanno provocando nel mondo una ulteriore divaricazione fra i ricchi e poveri. Non solo, ma l’Europa, come organizzazione politica sopranazionale, ha mostrato la sua endemica debolezza in fatto di capacità iniziativa autonoma a livello mondiale, accodandosi, senza una proposta condivisa da tutti i paesi membri, al volere degli Stati Uniti.
Un primo punto riguarda la parola socialismo che molti ritengono un termine da non utilizzare. L’ultimo esempio è quello di Michele Salvati, che nel suo libro (M. Salvati N. Dilmore, Liberalismo inclusivo. Un futuro possibile per il nostro angolo di mondo, Milano Feltrinelli 2021) pur aprendo con una citazione, parziale e fuorviante, di Carlo Rosselli si guarda bene dal citare il socialismo come fattore di sviluppo. Ne è passato del tempo dalla fondazione dei “Quaderni piacentini”!
Personalmente penso che dobbiamo riprendere il filo di un discorso smarrito durante i trenta anni successivi alla Seconda guerra mondiale e anestetizzato da una politica distributiva che ha fatto sì che si sia pensato al capitalismo come una bestia addomesticabile.
In Italia abbiamo avuto una sinistra egemonizzata dal PCI, subalterno a Mosca, che ci ha proposto un marxismo imbalsamato, funzionale agli interessi egemonici dell’URSS. La sinistra non è riuscita a proporre idee alternative sia al pensiero sovietico che a quello capitalistico di matrice anglosassone.
Con la crisi petrolifera del 1974 si fa, convenzionalmente, terminare il periodo di espansione ordinata dell’occidente, in realtà essa è il detonatore che segna una inversione di tendenza di un processo che appare incamminarsi verso una diminuzione delle differenze sociali.
Già da molto prima negli Stati Uniti, i circoli conservatori, spinti dal clima creato dal Senatore Joseph McCarthy, (si arriva a considerare comunista anche l’allora Presidente repubblicano Dwight David Eisenhower) rialzano la testa ed agli inizi degli anni Cinquanta cominciano a finanziare centri studi che devono instillare nella comunità scientifica, prima, e nell’opinione pubblica poi i “sacri” principi della concorrenza, in realtà della sopraffazione economica. Lo spostamento da un’economia di “produzione” ad una economia “finanziaria” determina nel corso degli anni un aumento degli squilibri sociali e una diminuzione del tasso di “democraticità”. Cambiano i termini semantici, la parola “mercato” perde l’originario significato, cioè di un sistema di regole e di consuetudini che servono a scambiare le merci, e assume sempre più il significato di concorrenza, cioè di lotta quotidiana. Non solo, ma si è impostata la teoria economica dentro una serie di ipotesi che scarsamente hanno riscontro con la realtà, un esempio per tutti la scelta dell’homo œconomicus come paradigmatico di ogni comportamento, cioè di un uomo perfettamente razionale che compie le proprie scelte quotidiane solo in base ai propri interessi.
L’altro aspetto introdotto da questi centri per dimostrare che l’economia è una scienza esatta è l’uso della matematica come strumento di analisi. Senza entrare in dettagli basta citare un esempio di come viene valutato il Pil: non si considera che la spesa pubblica abbia effetti economici. Insomma, se un cittadino ricorre al Sistema sanitario nazionale non produce nessun effetto economico o se si è magnanimi viene calcolato al costo dei fattori. Se la stessa prestazione viene effettuata dal sistema privato si ha un incremento del PIL. Sembra logico?
In realtà l’economia è stata ed è una scienza sociale. Adam Smith è un filosofo, non un matematico.
Quindi uno degli elementi della nostra riflessione non può non prescindere dall’obbiettivo che ciascun che si definisca socialista può ignorare: tendere all’eguaglianza economica attraverso una riduzione dello spread fra i più ricchi e i più poveri. Questo è essenziale perché ogni democrazia possa funzionare correttamente, altrimenti il sopravvento de “The robber barons” è assicurato e di conseguenza lo stravolgimento delle regole a favore dei più ricchi.
Questa considerazione ne introduce un’altra: la proprietà dei mezzi di produzione. Qui il discorso rischia di diventare troppo lungo. Su questo aspetto mi limito a citare i “Chiarimenti al programma” di Giustizia e Libertà del 1932: “La soluzione nostra che combina il criterio della socializzazione con quello della gestione privata corretta e integrata dal controllo della collettività e dei lavoratori.” Questa considerazione va integrata con il pensiero di Riccardo Lombardi circa la “irreversibilità” delle riforme.
Credo, a questo punto, che Marco Cianca abbia ragione è inutile rivangare il passato, dobbiamo “seminare” idee per un futuro migliore.
Un primo punto riguarda la parola socialismo che molti ritengono un termine da non utilizzare. L’ultimo esempio è quello di Michele Salvati, che nel suo libro (M. Salvati N. Dilmore, Liberalismo inclusivo. Un futuro possibile per il nostro angolo di mondo, Milano Feltrinelli 2021) pur aprendo con una citazione, parziale e fuorviante, di Carlo Rosselli si guarda bene dal citare il socialismo come fattore di sviluppo. Ne è passato del tempo dalla fondazione dei “Quaderni piacentini”!
Personalmente penso che dobbiamo riprendere il filo di un discorso smarrito durante i trenta anni successivi alla Seconda guerra mondiale e anestetizzato da una politica distributiva che ha fatto sì che si sia pensato al capitalismo come una bestia addomesticabile.
In Italia abbiamo avuto una sinistra egemonizzata dal PCI, subalterno a Mosca, che ci ha proposto un marxismo imbalsamato, funzionale agli interessi egemonici dell’URSS. La sinistra non è riuscita a proporre idee alternative sia al pensiero sovietico che a quello capitalistico di matrice anglosassone.
Con la crisi petrolifera del 1974 si fa, convenzionalmente, terminare il periodo di espansione ordinata dell’occidente, in realtà essa è il detonatore che segna una inversione di tendenza di un processo che appare incamminarsi verso una diminuzione delle differenze sociali.
Già da molto prima negli Stati Uniti, i circoli conservatori, spinti dal clima creato dal Senatore Joseph McCarthy, (si arriva a considerare comunista anche l’allora Presidente repubblicano Dwight David Eisenhower) rialzano la testa ed agli inizi degli anni Cinquanta cominciano a finanziare centri studi che devono instillare nella comunità scientifica, prima, e nell’opinione pubblica poi i “sacri” principi della concorrenza, in realtà della sopraffazione economica. Lo spostamento da un’economia di “produzione” ad una economia “finanziaria” determina nel corso degli anni un aumento degli squilibri sociali e una diminuzione del tasso di “democraticità”. Cambiano i termini semantici, la parola “mercato” perde l’originario significato, cioè di un sistema di regole e di consuetudini che servono a scambiare le merci, e assume sempre più il significato di concorrenza, cioè di lotta quotidiana. Non solo, ma si è impostata la teoria economica dentro una serie di ipotesi che scarsamente hanno riscontro con la realtà, un esempio per tutti la scelta dell’homo œconomicus come paradigmatico di ogni comportamento, cioè di un uomo perfettamente razionale che compie le proprie scelte quotidiane solo in base ai propri interessi.
L’altro aspetto introdotto da questi centri per dimostrare che l’economia è una scienza esatta è l’uso della matematica come strumento di analisi. Senza entrare in dettagli basta citare un esempio di come viene valutato il Pil: non si considera che la spesa pubblica abbia effetti economici. Insomma, se un cittadino ricorre al Sistema sanitario nazionale non produce nessun effetto economico o se si è magnanimi viene calcolato al costo dei fattori. Se la stessa prestazione viene effettuata dal sistema privato si ha un incremento del PIL. Sembra logico?
In realtà l’economia è stata ed è una scienza sociale. Adam Smith è un filosofo, non un matematico.
Quindi uno degli elementi della nostra riflessione non può non prescindere dall’obbiettivo che ciascun che si definisca socialista può ignorare: tendere all’eguaglianza economica attraverso una riduzione dello spread fra i più ricchi e i più poveri. Questo è essenziale perché ogni democrazia possa funzionare correttamente, altrimenti il sopravvento de “The robber barons” è assicurato e di conseguenza lo stravolgimento delle regole a favore dei più ricchi.
Questa considerazione ne introduce un’altra: la proprietà dei mezzi di produzione. Qui il discorso rischia di diventare troppo lungo. Su questo aspetto mi limito a citare i “Chiarimenti al programma” di Giustizia e Libertà del 1932: “La soluzione nostra che combina il criterio della socializzazione con quello della gestione privata corretta e integrata dal controllo della collettività e dei lavoratori.” Questa considerazione va integrata con il pensiero di Riccardo Lombardi circa la “irreversibilità” delle riforme.
Credo, a questo punto, che Marco Cianca abbia ragione è inutile rivangare il passato, dobbiamo “seminare” idee per un futuro migliore.
Fonte: di Enno Ghiandelli