"SOVRANITA' E SOVRANISMO"
25-04-2021 - CRONACHE SOCIALISTE
È un dato, al momento, incontrovertibile che le forze sovraniste stiano rinculando ovunque in Europa, basti ricordare la svolta della Lega in Italia (altro discorso è stabilire quanto di manipolatorio si possa rinvenire in questo atteggiamento) e il fatto che in Francia Marine le Pen – secondo i più recenti sondaggi - si trovi realmente a contendere al presidente Macron, pronto a ricandidarsi, la titolarità dell'Eliseo in virtù di una posizione più conciliante nei confronti dell'Unione europea. Senza dubbio questo rovesciamento di posizioni denota quanto ci fosse di strumentale anche nella precedente opposizione attraverso la volontà di prendere le distanze dall'impostazione ottusamente rigorista della politica europea legata ai dettami della cosiddetta “austerità espansiva” e di cavalcare le difficoltà che hanno tormentato il recente cammino dell'UE (crisi economiche del 2007-2008 e del 2010-2011, gestione della politica migratoria, crisi pandemica innescata dal Covid). Ora che le regole del patto di stabilità sono state sospese e che è stato deliberato a livello europeo un piano d'investimenti senza precedenti, anche i partiti delle destre antieuropee sono stati costretti ad ammorbidire i toni, come in Francia, o a farsi addirittura coprotagonisti di questa nuova pagina di storia europea con la partecipazione a un governo di responsabilità nazionale come in Italia. In altre parole, non appena l'Europa ha saputo mettere in opera i meccanismi di solidarietà che fino ad allora erano mancati, le destre si sono trovate senza argomenti e hanno dovuto, in fretta, elaborare nuove prospettive politiche.
Tutto ciò ha funzionato nei paesi dell'Europa occidentale (Brexit, nel frattempo, aveva fatto chiarezza sul lato del Regno Unito) ma non ha minimamente scalfito il consenso di cui godono i regimi di paesi quali la Polonia o l'Ungheria. Qual è, dunque, la ragione di questa situazione? Talvolta prevale una narrazione in cui risalta quasi una necessità storica da parte della CEE/UE di accompagnare la transizione dei paesi che escono da una dittatura per approdare alla democrazia fino a farli aderire – con una lettura quasi teleologica – all'UE considerata come la “casa comune” di tutti gli europei.
Questo processo ha certamente funzionato con l'Italia e la Germania occidentale, entrambe promotrici dell'originario disegno comune europeo ma anche con gli allargamenti a Grecia, Spagna e Portogallo, tutti paesi usciti da dittature di destra o da regimi autoritari e clerico fascisti. L'inserimento di questi paesi all'interno del progetto europeo ha contribuito, effettivamente, non solo alla loro ricostruzione economica, ma anche al loro processo di democratizzazione.
Perché, allora, lo stesso processo non ha dato i medesimi risultati in alcuni paesi dell'Europa orientale? La risposta non è semplice. Qui possiamo solo avanzare qualche ipotesi. La parola chiave è “sovranità”. Questi paesi hanno subito, oltre che una durissima repressione del dissenso interno, anche una vera e propria mutilazione della propria sovranità; non territoriale, certo, ma, per quarant'anni questi governi non sono stati responsabili di fronte ai propri cittadini ma lo sono stati di fronte a una potenza straniera, l'Unione Sovietica, che ne determinava, da lontano, tutte le politiche. Questi paesi, una volta entrati nell'UE (peraltro, un'UE molto diversa da quella che accolse i paesi del bacino del Mediterraneo) hanno operato una traslazione, ovviamente del tutto impropria, di questo meccanismo di espropriazione di sovranità indotto dall'adesione all'UE, assimilandolo a quello che erano stati costretti a subire dalla dominazione sovietica. In sostanza, si sono sentiti espropriati, nuovamente, del loro diritto a decidere di se stessi e della loro sovranità dopo averla riconquistata, con grande fatica, dopo molti anni. Del resto, questi sono gli stessi paesi – come scrive uno storico esperto di questi temi – che hanno perorato la costruzione, a livello europeo, di un paradigma memoriale “fondato sull'interpretazione del comunismo quale fenomeno criminale da equiparare al nazismo e da considerare, al pari di questo, perno fondamentale della memoria comune europea promossa da Bruxelles” e culminata nella risoluzione approvata dal PE nel settembre 2019.
Ovviamente, questa è una lettura “pervertita” di ciò che è accaduto con la loro (volontaria) adesione all'UE, e tuttavia questa ne è stata, collettivamente, la percezione in quei paesi. Si aspettavano vantaggi (non solo economici, quelli sono effettivamente arrivati con i soldi dei fondi di coesione) ma anche la possibilità di contare sul piano europeo quanto i paesi che ne erano entrati a far parte all'inizio degli anni Ottanta. Purtroppo, invece, al momento della loro adesione la fase espansiva dell'economia europea era alle spalle e le condizioni erano ormai cambiate. Paesi importanti nella storia europea come Polonia e Ungheria si ritrovavano a recitare la parte dei comprimari. Da qui il senso di frustrazione accompagnato da sempre più preoccupanti rivendicazioni del proprio peso nazionale. No, il problema rappresentato da questi paesi nell'Unione europea non sarà semplice da risolvere.
Fonte: di ANDREA BECHERUCCI