"SUPERMARIO AL LAVORO"
22-02-2021 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Finalmente l’evento più sperato o temuto degli ultimi mesi si è verificato. L’ex-presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, incaricato di formare il nuovo governo, ha ottenuto la fiducia delle Camere e si è insediato nella pienezza dei suoi poteri. Vediamo in breve cosa ci si potrà legittimamente attendere da questo nuovo esecutivo.
Non c’è alcun dubbio che la riconosciuta competenza di Draghi, sommata alla esperienza e all’autorevolezza maturate nel corso degli anni trascorsi ai vertici delle maggiori organizzazioni italiane ed europee nel settore della politica economica e monetaria abbia rappresentato, di per sé, un avanzamento rispetto alla leadership del più modesto Giuseppe Conte. Del resto stanno a testimoniarlo, ancora prima che il nuovo governo si insediasse, il calo sensibile dello spread e l’aumento fatto registrare dalla borsa di Milano – con la migliore performance europea – con il relativo apprezzamento da parte degli investitori.
La politica, da parte sua, sembra aver abbracciato – con poche eccezioni – Draghi e il suo programma. L’appello all’unità lanciato dal presidente Mattarella è stato accolto da tutte le forze in campo, anche quelle che – a prima vista – parevano incompatibili le une con le altre come la Lega e il Partito democratico. La stampa è subito accorsa in soccorso del vincitore, talvolta con eccessi di piaggeria tali da risultare imbarazzanti.
La composizione del nuovo esecutivo, dunque, raggruppa Partito democratico, Italia viva, Liberi e uguali, Lega, Forza Italia, Movimento Cinque stelle con in più l’appoggio esterno di numerose forze minori. È sembrata una gara per non restare fuori più che una scelta meditata. All’opposizione è rimasta solo Fratelli d’Italia che – in una legislatura in cui tutti hanno governato con tutti, malgrado le dichiarazioni di principio – potrà affermare di essere stata l’unica ad essere rimasta fedele a se stessa.
La maggiore novità che merita di essere registrata è l’improvvisa giravolta di Matteo Salvini e della Lega che da pochi giorni sembrano schierati (ma quanto convintamente?) a favore di un governo che ha fatto con la sua stessa esistenza un sincero atto di fede nei confronti dell’europeismo.
Tuttavia, ci sembra uno sterile esercizio retorico chiedersi se e quanto questa conversione della Lega sia sincera; Salvini non è né antieuropeo, né proeuropeo ma è fondamentalmente un opportunista pronto a cambiar bandiera alla prima occasione utile. Anche le dichiarazioni di questi giorni sulla irreversibilità o meno dell’euro, rientrano in una tattica ben sperimentata; spinto, in questo caso, verso il sostegno al governo Draghi, dal nord produttivo bacino delle PMI, Salvini non può permettersi di lasciare sguarnito il fronte antisistema del partito con il rischio di vedersi cannibalizzare da Giorgia Meloni, ormai sola a presidiare l’opposizione, da qui la necessità di inviare, quando la situazione lo consente, segnali di insoddisfazione.
Un altro chiarimento all’interno del sistema politico pare all’orizzonte, con il M5S avviato verso una scissione già evidente dopo le dichiarazioni di voto di numerosi parlamentari del partito contrari al governo Draghi.
Non è detto, però, che queste nuove circostanze possano contribuire da sole ad assicurare al governo Draghi una serena navigazione. La ragione ultima del varo di questo esecutivo, ossia l’allocazione dei 209 miliardi di euro del piano Next Generation EU in progetti sostenibili e dall’impatto strutturale sul futuro del paese, fa capire quanto sarà difficile fronteggiare le spinte particolaristiche frutto della parcellizzazione degli interessi.
C’è, infine, una leggenda da sfatare e cioè che questo sia un governo tecnico; nulla di più falso, questo è un governo eminentemente politico e i paragoni con il governo Monti non stanno in piedi. Anzitutto per il contesto storico e politico, completamente diverso da quello di oggi. Mentre nel 2011 si chiedevano al paese lacrime e sangue per rientrare nei parametri europei, oggi la situazione impone, al contrario, una visione di lungo periodo capace di guardare lontano per far fruttare nel migliore dei modi il denaro destinato dall’Europa al nostro paese. La differenza si può evincere anche dal fatto che nel governo Monti le forze politiche preferirono non entrare direttamente nell’esecutivo con i propri rappresentanti mentre oggi tutti cercano il modo di condividere i (probabili) futuri meriti di questo governo. Vi è poi un’altra differenza tra i premier: mentre Monti era veramente un tecnico prestato alla politica, Draghi non può essere, tout court, considerato un tecnico; non si arriva a ricoprire le cariche rivestite da Draghi se non si è in possesso, quantomeno, di una spiccata ‘sensibilità politica’ che si estrinseca in una non comune attitudine all’ascolto e al dialogo e che, ci auguriamo, il presidente Draghi, vorrà mettere al servizio della nazione.
Fonte: di ANDREA BECHERUCCI