"UNA SCELTA FINALMENTE SOCIALISTA"
19-11-2022 - CRONACHE SOCIALISTE
Le elezioni del 25 settembre sono state una sconfitta per l’intero campo della sinistra divisa: per PD e 5S innanzitutto, ma anche per i cosiddetti cespugli, compresa la coppia Calenda-Renzi abbastanza certa di un risultato a doppia cifra.
Immediata e opportuna la reazione del Segretario del PD con l’annuncio del suo ritiro, unica certezza, la promessa di un “congresso costituente” e un “rinnovamento profondo”: di cui, in verità, ad oggi non s’avverte traccia.
Eppure, un Congresso costituente riguarderebbe anche coloro che da quel partito sono distanti fin dalla sua nascita e che trovano oggi purtroppo vana conferma delle ragioni di quell’avversità: ma che non intendono soffermarsi ad adorare le ceneri e vorrebbero, invece, tenere vivo il fuoco.
Una delle ragioni della sconfitta del PD è la perdita di quel minimo di identità di sinistra che era riuscito a ritagliarsi; laddove, della mai dimenticata “vocazione maggioritaria” non resta neppure la memoria.
Salvo in coloro che con l’espulsione dal Parlamento ne subirono le conseguenze, allora come ora: i socialisti organizzati, ormai del tutto irrilevanti nella scena politica.
Eppure il Socialismo occupa un peso crescente nel pensiero, nella cultura politica contemporanea e nella coscienza di chiunque oggi voglia cimentarsi con risposte efficaci alla crisi della politica e, più in particolare, della sinistra: assieme ad una prospettiva, non parolaia ma concreta, intorno alle urgenti azioni per superarla.
Il cantiere al quale occorrerebbe porre mano, e quanto prima.
Dopo il 25 settembre, infatti, è sempre più frequente il richiamo accorato al Socialismo; e non solo dei socialisti di antico conio, ma anche dei militanti che sul finire del primo decennio di questo secolo, furono invano suggestionati dalle illusioni veltronian-dalemiane.
Infatti, il fascino dell’ultima grande utopia della contemporaneità, il Socialismo, resiste agli urti e sopravviverà: nonostante il fuoco amico, finanche degli stessi socialisti.
Solo che è ormai improcrastinabile sgombrare il campo dagli equivoci e intendersi sul Socialismo che vogliamo davvero, per approfondire se possa essere adottato da un soggetto politico unitario che si proponga la rivincita come orizzonte politico per governare l’Italia; purché accompagnato dall’ormai indispensabile radicalità nel realizzare il suo programma: quella che è mancata negli ultimi decenni, generando la sconfitta.
L’analisi del voto recente, infatti, spiega con chiarezza che una porzione non secondaria del mondo del lavoro ha abbandonato quello che si era proposto come unico partito della sinistra per riservare attenzioni, addirittura consenso dichiarato, a quell’altro che praticando l’opposizione al Governo era apparso l’unico in grado di tutelarne le aspettative.
E ciò mentre quel che resta dei fondatori del PD (non sono pochi, infatti, quelli che non vi riconoscono più) continuano a baloccarsi con il dilemma sul morire socialisti o democristiani.
Il problema del PD e dell’intera sinistra, dunque, non è delle alleanze ma di ritrovare, finalmente con coraggio, un’identità del tutto nuova da proporre ad un popolo che sopravvive, anche se allo stremo, che si dichiara di sinistra e tale vorrebbe/dovrebbe restare.
Alle forti spinte per una rappresentanza sociale delle categorie deboli, infatti, non può non corrispondere l’identità di un partito che se ne assuma chiaramente la responsabilità: ma di un partito che in termini più decisi e dinamici ritrovi le peculiarità dell’origine, non di un simulacro.
In pratica, ritrovare oggi il coraggio che non si ebbe allora e dichiarare la scelta socialdemocratica e riformista: sapendo che occorre coniugare la lotta ad ogni forma di disuguaglianza con la promozione della crescita, una politica d’inclusione sociale con la modernizzazione dell’economia, del sistema educativo e della pubblica amministrazione.
Il tutto all’interno non di un riformismo generico ma cercando di scavare al fondo del pensiero socialista per rielaborare un riformismo moderno, inclusivo e “non mediocre”: quel “riformismo rivoluzionario” per l’oggi, ma che già quarant’anni fa piaceva a Riccardo Lombardi.
Immediata e opportuna la reazione del Segretario del PD con l’annuncio del suo ritiro, unica certezza, la promessa di un “congresso costituente” e un “rinnovamento profondo”: di cui, in verità, ad oggi non s’avverte traccia.
Eppure, un Congresso costituente riguarderebbe anche coloro che da quel partito sono distanti fin dalla sua nascita e che trovano oggi purtroppo vana conferma delle ragioni di quell’avversità: ma che non intendono soffermarsi ad adorare le ceneri e vorrebbero, invece, tenere vivo il fuoco.
Una delle ragioni della sconfitta del PD è la perdita di quel minimo di identità di sinistra che era riuscito a ritagliarsi; laddove, della mai dimenticata “vocazione maggioritaria” non resta neppure la memoria.
Salvo in coloro che con l’espulsione dal Parlamento ne subirono le conseguenze, allora come ora: i socialisti organizzati, ormai del tutto irrilevanti nella scena politica.
Eppure il Socialismo occupa un peso crescente nel pensiero, nella cultura politica contemporanea e nella coscienza di chiunque oggi voglia cimentarsi con risposte efficaci alla crisi della politica e, più in particolare, della sinistra: assieme ad una prospettiva, non parolaia ma concreta, intorno alle urgenti azioni per superarla.
Il cantiere al quale occorrerebbe porre mano, e quanto prima.
Dopo il 25 settembre, infatti, è sempre più frequente il richiamo accorato al Socialismo; e non solo dei socialisti di antico conio, ma anche dei militanti che sul finire del primo decennio di questo secolo, furono invano suggestionati dalle illusioni veltronian-dalemiane.
Infatti, il fascino dell’ultima grande utopia della contemporaneità, il Socialismo, resiste agli urti e sopravviverà: nonostante il fuoco amico, finanche degli stessi socialisti.
Solo che è ormai improcrastinabile sgombrare il campo dagli equivoci e intendersi sul Socialismo che vogliamo davvero, per approfondire se possa essere adottato da un soggetto politico unitario che si proponga la rivincita come orizzonte politico per governare l’Italia; purché accompagnato dall’ormai indispensabile radicalità nel realizzare il suo programma: quella che è mancata negli ultimi decenni, generando la sconfitta.
L’analisi del voto recente, infatti, spiega con chiarezza che una porzione non secondaria del mondo del lavoro ha abbandonato quello che si era proposto come unico partito della sinistra per riservare attenzioni, addirittura consenso dichiarato, a quell’altro che praticando l’opposizione al Governo era apparso l’unico in grado di tutelarne le aspettative.
E ciò mentre quel che resta dei fondatori del PD (non sono pochi, infatti, quelli che non vi riconoscono più) continuano a baloccarsi con il dilemma sul morire socialisti o democristiani.
Il problema del PD e dell’intera sinistra, dunque, non è delle alleanze ma di ritrovare, finalmente con coraggio, un’identità del tutto nuova da proporre ad un popolo che sopravvive, anche se allo stremo, che si dichiara di sinistra e tale vorrebbe/dovrebbe restare.
Alle forti spinte per una rappresentanza sociale delle categorie deboli, infatti, non può non corrispondere l’identità di un partito che se ne assuma chiaramente la responsabilità: ma di un partito che in termini più decisi e dinamici ritrovi le peculiarità dell’origine, non di un simulacro.
In pratica, ritrovare oggi il coraggio che non si ebbe allora e dichiarare la scelta socialdemocratica e riformista: sapendo che occorre coniugare la lotta ad ogni forma di disuguaglianza con la promozione della crescita, una politica d’inclusione sociale con la modernizzazione dell’economia, del sistema educativo e della pubblica amministrazione.
Il tutto all’interno non di un riformismo generico ma cercando di scavare al fondo del pensiero socialista per rielaborare un riformismo moderno, inclusivo e “non mediocre”: quel “riformismo rivoluzionario” per l’oggi, ma che già quarant’anni fa piaceva a Riccardo Lombardi.
Fonte: di Gianvito Mastroleo