UNA SCHEDA NEL VUOTO di Paolo Bagnoli
27-03-2024 - EDITORIALE
A giugno voteremo per il rinnovo del Parlamento Europeo, ma sarà come deporre una scheda nel vuoto. L'Europa, infatti, ritenuta soggetto essenziale della politica mondiale e criticata perché non lo è, paradossalmente non batte un colpo nemmeno nella campagna elettorale che la riguarda. In Italia è così; di cosa succede in altri Paesi dell'Unione non sappiamo. Sarebbe legittimo conoscere, se l'Europa così com'è non va bene, quale essa dovrebbe essere. Tutto, invece, si gioca in chiave interna. Rimaniamo stupiti e pure indignati che la destra non colga l'importanza centrale del problema visto che in Italia abbiamo un governo di destra, insofferente dell'Europa, arcinazionalista con presenze apertamente simpatizzanti per Putin che dell'Europa è il primo nemico; un governo il quale, con il proprio comportamento, mette continuamente a rischio, tra l'altro, le varie opportunità che l'Unione pone a disposizione.
Di quanto riguarda l'Europa in relazione al rinnovo del suo Parlamento nessuno parla. Ciò di cui si discute sono le probabili candidature, di come queste si posizionano nel gioco delle correnti interne alle varie forze e così via condendo naturalmente il tutto con il fatto che l'Europa sarà a fianco dell'Ucraina. Ma a essa, in questa fase, non solo non riesce a mandare armi e munizioni e, fin dall'inizio del conflitto, nemmeno una possibile proposta di pace che prenda atto della realtà. In tale mancanza si fa gruppo sotto l'ombrello della Nato confidando nell'America la quale, a sua volta, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, si dibatte in una crisi politico-istituzionale piuttosto aspra.
Che l'Europa debba sostenere l'Ucraina è fuori discussione. Lo è anche il fatto che l'Ucraina non è più nelle condizioni di reggere nello stato di cose attuali per cui non solo non esiste la possibilità che Putin venga battuto, ma anche la questione posta da Macron è tutt'altro che provocatoria. Infatti, se Putin decide di schierare la presenza militare lungo tutta la linea dei confini dei paesi oggi atlantici a partire dalla Finlandia l'Ucraina, che pure è con la Nato pur non facendone parte, non ha le forze per presidiare il settore di sua competenza. Così Putin si trova una porta aperta a meno che non vengano date all'Ucraina le truppe che necessita. Il problema investe subito l'Europa e la Nato. Concordiamo che sarebbe un errore, ma i fatti sono più forti dei no di Crosetto e, in mancanza di un piano di pace su cui lavorare, tutto può succedere: la paura di un allargamento del conflitto non è poi così tanto irreale. Dire solo no non è una risposta al problema che Macron pone e che è un problema reale.
La presidente del consiglio fin dai primi giorni a Palazzo Chigi non ha nascosto che le elezioni europee rappresentano un banco di prova decisivo. Ella vuole vincere per rendere più forte il proprio potere personale in Italia e ridisegnare i rapporti con gli alleati, soprattutto con Salvini che, quasi fosse una componente del partito di Putin, marcia in direzione opposta a quella dei suoi alleati virando sempre più a destra; ogni giorno di più e senza nessun scampolo di ragionamento e di comportamento politico democratico.
Per la tenuta di una coalizione la politica estera è fondamentale. Essa rappresenta l'unico insuperabile e mediabile elemento se si vuole stare al governo insieme; su ogni altro aspetto si possono trovare accordi veri o stiracchiati, ma quando non c'è accordo sulla politica estera le coalizioni saltano. In un Paese normale, per questo motivo, il nostro governo dovrebbe essere già caduto. Le elezioni europee, con le scelte che ne conseguiranno per la presidenza della Commissione, del Consiglio e della Presidenza del Parlamento finiranno per evidenziare contraddizioni non facilmente superabili e per tutti sarà difficile saltare la propria ombra.
A giugno ci sarà una resa dei conti. Di fronte a problemi, quali quelli sopra elencati, non ci sembra facile che Giorgia Meloni sappia mantenere l'equilibrio precario che fino a oggi è riuscita a garantire considerata anche la pochezza della dimensione internazionale dell'Italia la quale registra una regressione sul piano europeo come dimostra che, all'Italia, Germania e Francia hanno preferito la Polonia. Oggi noi scontiamo sul piano internazionale una solitudine che nessun altro Paese europeo sconta. Le televisioni si affannano a dichiarare che con la Meloni siamo tornati al centro nei vari scenari internazionali; siamo al centro come lo è una persona sola in una stanza deserta!
Ci sembra si stia scherzando con il fuoco. L'Ucraina, Gaza e il Mar Rosso ci dicono quanto l'Italia deve rimanere legata alla linea occidentale dell'Europa; ma non solo, ci dicono anche che in Europa l' Italia dovrebbe svolgere un ruolo attivo per mediare la pace e non essere solo in sub-ordine della Nato e degli Usa.
In Italia, Salvini è solo la punta dell'iceberg di un autoritarismo presente un po' in tutti i Paesi alimentato da un illiberalismo paradossalmente prodotto da una pandemia di impropria concezione della libertà affermatasi con Reagan e la Thatcher. E' chiaro che tali movimenti non stanno in piedi per grazia di Dio, ma che esistono forze che li sostengono; la Meloni si è appiattita sull'atlantismo, ma non ha mai preso e distanze dalle destre retrive e antidemocratiche.
Ora, poiché al pari di un tarlo queste destre erodono la democrazia dall'interno – prima di Salvini, non dimentichiamolo, abbiamo avuto Berlusconi e Grillo – ci saremmo aspettati che le forze di opposizione, invece di fare la corsa sul posto, avessero posto la questione dell'Europa in termini di politica democratica che costituisce una questione fondamentale per ridisegnare gli organismi europei al fine di dare ruolo incisivo all'Unione. Così non è. Il rischio, che in fondo è però anche il male minore, è che le cose rimangano più o meno come sono e che dalle urne esca uno schieramento maggioritario rispetto alla destra, ma ciò non cambia, ahimé!,lo scenario di fondo. Ecco perché getteremo la scheda nel vuoto dell'immobilismo, dell'incertezza e del governismo.
Di quanto riguarda l'Europa in relazione al rinnovo del suo Parlamento nessuno parla. Ciò di cui si discute sono le probabili candidature, di come queste si posizionano nel gioco delle correnti interne alle varie forze e così via condendo naturalmente il tutto con il fatto che l'Europa sarà a fianco dell'Ucraina. Ma a essa, in questa fase, non solo non riesce a mandare armi e munizioni e, fin dall'inizio del conflitto, nemmeno una possibile proposta di pace che prenda atto della realtà. In tale mancanza si fa gruppo sotto l'ombrello della Nato confidando nell'America la quale, a sua volta, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, si dibatte in una crisi politico-istituzionale piuttosto aspra.
Che l'Europa debba sostenere l'Ucraina è fuori discussione. Lo è anche il fatto che l'Ucraina non è più nelle condizioni di reggere nello stato di cose attuali per cui non solo non esiste la possibilità che Putin venga battuto, ma anche la questione posta da Macron è tutt'altro che provocatoria. Infatti, se Putin decide di schierare la presenza militare lungo tutta la linea dei confini dei paesi oggi atlantici a partire dalla Finlandia l'Ucraina, che pure è con la Nato pur non facendone parte, non ha le forze per presidiare il settore di sua competenza. Così Putin si trova una porta aperta a meno che non vengano date all'Ucraina le truppe che necessita. Il problema investe subito l'Europa e la Nato. Concordiamo che sarebbe un errore, ma i fatti sono più forti dei no di Crosetto e, in mancanza di un piano di pace su cui lavorare, tutto può succedere: la paura di un allargamento del conflitto non è poi così tanto irreale. Dire solo no non è una risposta al problema che Macron pone e che è un problema reale.
La presidente del consiglio fin dai primi giorni a Palazzo Chigi non ha nascosto che le elezioni europee rappresentano un banco di prova decisivo. Ella vuole vincere per rendere più forte il proprio potere personale in Italia e ridisegnare i rapporti con gli alleati, soprattutto con Salvini che, quasi fosse una componente del partito di Putin, marcia in direzione opposta a quella dei suoi alleati virando sempre più a destra; ogni giorno di più e senza nessun scampolo di ragionamento e di comportamento politico democratico.
Per la tenuta di una coalizione la politica estera è fondamentale. Essa rappresenta l'unico insuperabile e mediabile elemento se si vuole stare al governo insieme; su ogni altro aspetto si possono trovare accordi veri o stiracchiati, ma quando non c'è accordo sulla politica estera le coalizioni saltano. In un Paese normale, per questo motivo, il nostro governo dovrebbe essere già caduto. Le elezioni europee, con le scelte che ne conseguiranno per la presidenza della Commissione, del Consiglio e della Presidenza del Parlamento finiranno per evidenziare contraddizioni non facilmente superabili e per tutti sarà difficile saltare la propria ombra.
A giugno ci sarà una resa dei conti. Di fronte a problemi, quali quelli sopra elencati, non ci sembra facile che Giorgia Meloni sappia mantenere l'equilibrio precario che fino a oggi è riuscita a garantire considerata anche la pochezza della dimensione internazionale dell'Italia la quale registra una regressione sul piano europeo come dimostra che, all'Italia, Germania e Francia hanno preferito la Polonia. Oggi noi scontiamo sul piano internazionale una solitudine che nessun altro Paese europeo sconta. Le televisioni si affannano a dichiarare che con la Meloni siamo tornati al centro nei vari scenari internazionali; siamo al centro come lo è una persona sola in una stanza deserta!
Ci sembra si stia scherzando con il fuoco. L'Ucraina, Gaza e il Mar Rosso ci dicono quanto l'Italia deve rimanere legata alla linea occidentale dell'Europa; ma non solo, ci dicono anche che in Europa l' Italia dovrebbe svolgere un ruolo attivo per mediare la pace e non essere solo in sub-ordine della Nato e degli Usa.
In Italia, Salvini è solo la punta dell'iceberg di un autoritarismo presente un po' in tutti i Paesi alimentato da un illiberalismo paradossalmente prodotto da una pandemia di impropria concezione della libertà affermatasi con Reagan e la Thatcher. E' chiaro che tali movimenti non stanno in piedi per grazia di Dio, ma che esistono forze che li sostengono; la Meloni si è appiattita sull'atlantismo, ma non ha mai preso e distanze dalle destre retrive e antidemocratiche.
Ora, poiché al pari di un tarlo queste destre erodono la democrazia dall'interno – prima di Salvini, non dimentichiamolo, abbiamo avuto Berlusconi e Grillo – ci saremmo aspettati che le forze di opposizione, invece di fare la corsa sul posto, avessero posto la questione dell'Europa in termini di politica democratica che costituisce una questione fondamentale per ridisegnare gli organismi europei al fine di dare ruolo incisivo all'Unione. Così non è. Il rischio, che in fondo è però anche il male minore, è che le cose rimangano più o meno come sono e che dalle urne esca uno schieramento maggioritario rispetto alla destra, ma ciò non cambia, ahimé!,lo scenario di fondo. Ecco perché getteremo la scheda nel vuoto dell'immobilismo, dell'incertezza e del governismo.