"USA"
25-11-2020 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Si può esser contenti del pericolo scampato per la vittoria del democratico Joe Biden: la vittoria del 46esimo presidente degli Usa ha, secondo il New York Times, interrotto, posto fine ai “quattro anni dominati dalle minacce e spavalderie nazionaliste” di Donald Trump, emulo del Grande dittatore ideato da Charlie Chaplin e affetto da una visione assolutistica del potere.
Convinto che gli Stati Uniti siano uno dei suoi mega alberghi dove assume e licenzia il personale a seconda dei suoi volubili umori, il Grande dittatore ha eretto attorno alla Casa Bianca un muro senza mattoni e filo spinato, un po' quello che voleva costruire ai confini con il Messico, per bloccare il legittimo passaggio delle consegne alla nuova amministrazione: rifiuta di accettare non solo il verdetto delle urne ma le sentenze dei tribunali che escludono i brogli elettorali sollevati dai suoi ricorsi.
Intanto insieme alla sua vice Kamala Harris, la vera grande novità delle elezioni americane, quanto meno Biden il liberal-socialista, cattolico ed irlandese d’origine, dovrebbe avviare una nuova era più indirizzata, volta alla tessitura di accordi e ricostruzione delle alleanze, alla tutela del clima e dell’ambiente, alla salute e alla decisa azione di contrasto della pandemia da Covid 19, al lavoro e alla lotta alle diseguaglianze, alla giustizia sociale e al multietnicissimo, ponendo fine all’America First perseguita da Trump.
Un’impresa davvero titanica questa di recuperare e rigenerare una società sfiancata, sfibrata e messa in ginocchio certamente dal Covid 19 ma ancor di più dalla estrema superficialità con cui il Grande dittatore l’ha trattata e gestita: pandemia che ha evidenziato non solo negli Usa le gravi, pesanti e deleterie conseguenze delle politiche neoliberiste, delle pessime, scellerate privatizzazioni di un settore fondamentale per la tutela della vita e del benessere delle persone come la sanità e la salute.
“Biden ha un compito difficile, arduo, non impossibile: quello di arginare l’ondata populista di Trump che è stata ed è ancora forte, recuperare quel vasto ceto operaio, working class, unitamente ai disoccupati e alle fasce deboli, conquistate dalle roboanti promesse di Trump”, dice il politologo e storico Giorgio Galli.
Compito difficile, arduo, certamente non impossibile: “la carta da giocare per Biden è – aggiunge Galli - il coinvolgimento a pieno titolo di Sanders (che dovrebbe essere nominato ministro del Lavoro) e del movimento socialdemocratico americano. Operazione che vale negli Usa ma anche in Europa ed in Italia: il centro-sinistra che abbiamo visto e conosciuto non basta, non è sufficiente per contrastare lo strapotere delle grandi multinazionali”.
Un primo positivo, interessante effetto Oltreoceano la vittoria dell’inedito tandem Biden Harris lo ha, tra le forze progressiste ed in particolare nel Labour Party di Weir Rodney Starmer e nel Pd di Nicola Zingaretti, avuto e determinato: la messa a punto di “un summit fra le democrazie”, da fare dopo l’insediamento di Biden alla Casa Bianca (20 gennaio 2021), per rilanciare nuove politiche progressiste ‘The New Progressive Way’.
Un ‘summit fra le democrazie’ per aprire dunque una nuova era allo scopo chiarissimo di contrastare più decisamente il sovranismo e il populismo, in particolare di destra, al cui sviluppo il Grande dittatore statunitense ha, con i suoi adepti e collaboratori, come Steve Bannon, contribuito assai: è in atto la delicatissima partita dell’egemonia culturale e politica.
“Vedremo quali risultati si avranno da questo summit di per sé importante nel raffreddare un clima surriscaldato da eventi concomitanti come la crisi economica e redistributiva da una parte e la pandemia dall’altra”, afferma Galli e così conclude: “bisogna essere audaci e coraggiosi nell’affrontare i grandi problemi sul tappeto e non sottovalutare il peso del capitalismo e sua capacità di cambiare pelle: non si tratta di perseguire la sua fine ma di renderlo più umano, ben temperato. Ad esempio, prevedendo l’elezione diretta e democratica dei membri del Cda delle grandi multinazionali”.
Fonte: di CARLO PATRIGNANI