"DANIMARCA"
24-06-2019 - AGORA'
Per la seconda volta dal dopoguerra, sarà una donna a ricoprire la carica di Primo Ministro nel regno di Danimarca - un Paese grande il doppio della Lombardia ma con metà dei suoi abitanti: meno di 6 milioni. A vincere le elezioni politiche del 5 giugno con il 26% dei consensi sono stati i socialdemocratici, la cui leader, Mette Frederiksen, ha avuto la capacità di ribaltare i risultati delle europee del 26 maggio, che avevano visto il suo partito al secondo posto, dopo il partito liberale al governo.
La tattica messa in campo da Mette Frederiksen è riuscita nel doppio intento di sconfiggere i liberali e sbaragliare le destre: i populisti del Dansk Folkeparti (DF), il Partito del Popolo Danese, determinanti in quasi tutti i governi degli ultimi 15 anni, si sono infatti fermati all’8,8% - un crollo di 13 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni parlamentari.
41 anni, figlia di un tipografo e di un’insegnante, separata e con due figli a carico, Mette Frederiksen, dopo la laurea in amministrazione e scienze sociali ha lavorato presso la Confederazione dei sindacati danese. Nominata portavoce del partito socialdemocratico per la cultura, i media e l'uguaglianza di genere dopo la sua elezione al parlamento nel 2001, diventa ministro del Lavoro nel 2011, della Giustizia nel 2014 e leader del partito il 28 giugno 2015. Quale tattica ha messo in campo questa giovane donna combattiva per vincere le elezioni? Spostandosi a sinistra sull'economia, ma sottraendo l’arma che si è rivelata vincente in mano a destre, populisti e sovranisti: tolleranza zero su migranti e richiedenti asilo. Solo così, ha sostenuto Matte, potrà tutelare i diritti dei lavoratori danesi e gli strati più vulnerabili della popolazione e attuare una politica di sostegno all'istruzione, occupazione e ricerca tecnologica. In questi ultimi anni, i socialdemocratici non hanno fatto mistero dell’irrigidimento nei confronti del problema immigrazione, non negando il loro appoggio alla legge proposta dal governo di centrodestra sulla confisca dei beni (oro e contanti) ai richiedenti asilo, quella che vieta di indossare burqa e niqab e prevede il raddoppio delle pene dei reati di furti, scippi, atti di vandalismo se commessi all'interno dei ghetti di immigrati.
Il successo dei partiti di centrosinistra, fra i quali possiamo annoverare i Radicali e i Verdi del Partito socialista progressista, pro-Europa e pro-immigrazione, che hanno raddoppiato i loro voti dal 4% all’8%, è dovuto non solo all’atteggiamento di chiusura nei confronti dell’immigrazione, ma anche ai crescenti timori per l’ambiente e la situazione economica, in particolare i tagli al welfare e alla qualità dei servizi locali.
La Danimarca è uno di quei Paesi, che attraverso un cocktail di eccellente pianificazione e oculate scelte in economia si è trovata spesso al vertice degli indicatori internazionali riguardanti il benessere sociale e economico. Vanta infatti una crescita media del prodotto interno lordo del 2,2%, e una disoccupazione del 3,7%, inferiore perfino allo Stato federale più ricco della Germania: la Baviera. Non solo: insieme alla Svezia, è il Paese con la più alta densità di migranti dell'Ue. Il suo irrigidirsi a questo proposito non può cancellare il ricordo del suo atteggiamento, nel corso della seconda guerra mondiale, nei confronti delle politiche razziali naziste. Pur essendo stata invasa dalla Germania nell’aprile del ’40, fu l'unica nazione a impedire le deportazioni degli ebrei mettendoli in salvo. Dopo il voto in Svezia e Finlandia, la Danimarca è il terzo Paese nella regione nordica dove, in meno di un anno, ha vinto una forza di centrosinistra. C’è “del nuovo in Danimarca” ha scritto su Twitter l’ex primo ministro Paolo Gentiloni dopo il responso delle urne nella regione: più che una notizia, un auspicio che anche in Italia si verifichi una analoga svolta.
Fonte: di GIULIETTA ROVERA