"LA NUOVA CASTA" di Paolo Bagnoli
26-04-2018 - EDITORIALE
Chissà se quei cittadini, sempre citati dai vincitori delle recenti elezioni politiche quali destinatari di profetici cambiamenti, si sono resi conto di quanto sta avvenendo; vale a dire, dell´arrivo al potere di una vera e propria casta; ossia, di una classe politica tanto più inesperta e arruffona quanto più ama presentarsi alla stregua di un ceto sacerdotale di un cambiamento che, si ripete fino alla noia, il Paese aspetta da trent´anni. Il fenomeno è il prodotto del vuoto politico nel quale siamo immersi dall´inizio degli anni Novanta; esso morde fortemente le istituzioni e, nella tragica contesa tra populisti e demagoghi, grazie a una legge elettorale malpensata, non emerge una classe politica degna di questo nome. Emergono solo dei vincitori guidati da capi politici che si atteggiano, e si muovono, come i nuovi arroganti padroni della Repubblica.
Lo Stato è il campo proprio della politica. La democrazia è il sistema che, avendo a fondamento la sovranità popolare, mette a confronto i progetti di governo inerenti tutto quanto riguarda lo Stato: sia come ordinamento che insieme sociale. La lotta politica si alimenta nel confronto di idee, ideali e proposte concrete, ma esso, presuppone, un´idea del Paese: storica, culturale, civile, economica e sociale. Di tutto ciò non abbiamo nemmeno l´ombra. Un dibattito vero latita, lo spasmo governista prevale su ogni altra cosa; il senso del padronato della cosa pubblica prevale e, impunentemente, si può sostenere tutto e il contrario di tutto al fine di arrivare, pur nella divaricazione dei programmi, a una maggioranza di governo quale prova provata che i "nuovi" sono arrivati; una volta insediati, ai cittadini non rimane altro che sperare. Ma se la speranza del nuovo - grande illusione introdotta per primo da Matteo Renzi - si basa sulla cancellazione di una classe politica e pure di un metodo e di uno stile istituzionale - questioni non secondarie relativamente all´etica repubblicana - non ci vuol molto a capire che essa è stata vana e pure truffata da una prepotenza pericolosa; infatti, su una falsa morale, manichea e autoreferenziale, viene strumentalizzato il malessere esistente al fine esclusivo di ottenere un profitto privatistico. La conclamata nuova politica - "il governo del cambiamento" come lo si vuol chiamare senza fantasia rubando l´espressione a Pier Luigi Bersani che l´aveva adottata quando ebbe l´incarico - legittima, in tal modo, un nuovo ceto che ha nella propria autoaffermazione la ragione della propria esistenza al di fuori di ogni dimensione realmente morale e progettuale. Il confronto ,ma la cosa va avanti da tempo, è sostituito dai caroselli dei vari leader tra fette di popolo cui è chiesto solo di stare passivamente a guardare poiché, fatta eccezione per l´atto del voto, il loro dovere è esclusivamente quello di affidarsi o a un capo oppure addirittura a un computer. In tal modo il distacco tra i cittadini e lo Stato, che si dice di voler recuperare, è destinato ad aumentare. Così andando le cose, il binomio populismo-demagogia condurrà inevitabilmente a una "democrazia affidataria"; un qualcosa di simile a quella "non liberale "teorizzata in Ungheria.
L´Italia è di fronte a un passaggio stretto e delicato. In gioco vi è la concezione stessa dello Stato di diritto e dei diritti; pensare che esistano soluzioni salvifiche è ingenuo in quanto ciò conduce sempre a una necessità messianica che contrasta con la concezione della democrazia, dei suoi valori e della sua capacità di coniugare quanto è "civile" con quanto è "sociale". La democrazia, cioè, non necessita di casta alcuna, ma di un ritorno deciso ed eticamente motivato alla politica se vogliamo che lo Stato democratico rimanga tale e si rafforzi ulteriormente.
I due forni? Roba vecchia: Francia o Spagna purché se magna! Pirgopolinice |