"DOV’E' IL SOCIALISMO?" di Paolo Bagnoli
23-03-2020 - EDITORIALE
I tempi sono di grande immensa paura. Un nemico mortale ha attaccato l'umanità dilagando in tutto il mondo. L'Italia sta pagando un prezzo altissimo. Tutti si sono dimostrati impreparati ad affrontare l'emergenza; il mondo, di fronte alla prima vera prova del male globale, ha dimostrato quanto sia fragile e come l'architettura politica e sociale su cui si fonda sia debole. Essa scricchiola in un affannato correre ai ripari. Ci consoliamo e ci facciamo forza, com'è naturale che sia, ripetendoci che ce la faremo e che tutto andrà bene. Siamo sicuri - la storia lo dimostra - che le mortali epidemie non uccidono l'umanità per cui tutto andrà bene; alla fine, però, la vita avrà pagato a se stessa un prezzo altissimo. E' su ciò che bisognerà riflettere. C'è da dubitare che avverrà in maniera adeguata.
Ogni giorno che passa è segnato dalla statistica del male e inflazionato dalle notizie che riguardano il decorso del fenomeno esiziale, ma anche da un profluvio di riflessioni letterarie, filosofiche, sociologiche, politiche cui è veramente difficile stare dietro. Eppure, sono necessarie. Di riflettere, infatti, c'è bisogno; domani ce ne sarà ancora di più. Interrogandoci sul futuro ci consoliamo col fatto che esso naturalmente ci sarà. Intanto si comincia a mettere sul tavolo le tante cose che non vanno e che, invece, potrebbero andare se vi fosse la consapevolezza dei limiti cui è giunto il mondo dalla globalizzazione glorificata, della produzione sproporzionata del superfluo, della corsa ai profitti, dell'agire asociale dei mercati finanziari. Di riflettere sull'indebolimento della democrazia oramai rimasti sospesi in un vuoto di remissione, rimpiangendo una realtà che non c'è più; accettando un contesto mondiale che sembra aver smarrito il valore primario della civiltà: vale a dire, l'uomo, la concretezza del suo essere e della vita.
L'attacco massiccio da parte di un virus potentissimo ha portato alla ribalta la perdita del senso morale nell'affermarsi di un caos. Si ha la sensazione che i canoni tradizionali della politica non siano più nella democrazia e nella condizione di governare le sorti dei popoli; cosa tanto più necessaria quanto più l'affermarsi della globalizzazione ha fatto saltare le legittimità vere del potere. Al contrario, occorrerebbe una loro ridefinizione nel segno dell'interesse collettivo; ossia, del sempre maggior numero di persone che hanno necessità di assistenza e tendono a essere emarginate; che sono condannate a stare sotto per posizione sociale, patiscono le incertezze del lavoro in società che si pensa di governare con la comunicazione, ricorso alle app, con le supposte ricette di una falsa modernizzazione dietro la quale si nascondono solo ritardi, insufficienze, egoismi, negligenze istituzionali e violazione dei diritti primari.
Non vogliamo, anche noi, aggiungerci a coloro che la sanno lunga; anzi, siamo scettici che la lezione vera che ne deriva venga elaborata. Una cosa, però, vogliamo dirla; forse ingenua, ma siamo sinceri. La storia ci ha dimostrato che i vari virus che via via hanno preso la scena riducendola a un immenso cimitero, sono stati sconfitti, ma non annientati per sempre. Una volta battuti questi virus hanno preso la via del ritorno nei loro accampamenti e lì sono rimasti, ma poiché sono entità sempre viventi, non essendo scomparsi, fino a che non sono stati – diciamo così – disturbati, hanno seguito il loro corso con le modificazioni del caso senza creare danno alcuno. Quando, poi, il loro habitat segreto è stato devastato, allora hanno ripreso il loro attacco; hanno ripreso a fare il loro lavoro poiché, infettare, è il lavoro che la natura assegna ai virus. Hanno ripreso a girare dentro gli uomini una volta che hanno sentito minacciato il loro ambiente. Non abbiamo naturalmente prove di quello che diciamo, ma crediamo che l'epidemia sia legata allo stravolgimento dell'ambiente dovuto, a sua volta, allo sfruttamento che di esso viene fatto per esigenze produttive; per cui, chiudendo l'equazione progettista, crediamo che il grande problema dei tempi moderni, quelli segnati da una globalizzazione senza regole, riguardi in primis, la questione della produzione. Quanto da ciò ricada sulle condizioni sociali dell'umanità non è difficile capire; basta farci mente locale per un solo attimo. Questione della produzione che produce sfruttamento degli uomini e dell'ambiente, corsa sfrenata e senza regole a conseguire supremazie costi quel che costi, finanziarizzazione di tutto ciò che crea ricchezza, travolgimento di tutto quanto vi si può opporre. Non importa con quali conseguenze; ma se il nostro ragionamento ha una qualche oggettività, ecco che si è arrivati alla conseguenza ultima: la sopravvivenza dell'umanità, che certo non muore del tutto, ma lascia sul terreno centinaia di migliaia di vite umane. L'avidità che uccide l'uomo uccide la civiltà e se il futuro vorrà avere un senso occorrerà che l'uomo prenda tutte le sue difese perché non sia egli stesso l'artefice della propria caduta.
Crediamo che occorra una riprogettazione della convivenza globalizzata. Se non altro perché sia i singoli Stati, sia le strutture sovranazionali, usciranno dalla prova a pezzi; l'Europa comunitaria per prima e pensare di continuare così è puro masochismo. Certo non è un problema di esperti, ma di élites politiche e culturali consapevoli ovunque esse siano. Ora, ammesso che tale consapevolezza sia avvertita, sarà un processo lungo qualora dovesse, anche se non sappiamo come, mettersi in moto. In fondo, a pensarci bene, dopo un conflitto, per quanto bestiale esso sia stato, le strade per rialzarsi non sono poi così difficili da intraprendere.
Ognuno è chiamato a fare la sua parte. Noi auspicheremmo che anche il socialismo assumesse la sua parte per gli ideali di solidarietà, democrazia, giustizia sociale e libertà che gli sono propri da sempre. Già, ma dov'è il socialismo?