"CALMA E GESSO" di Paolo Bagnoli
28-07-2020 - EDITORIALE
La delegazione italiana è tornata dalla trattativa di Bruxelles con un ottimo risultato e subito è scoppiata la solita italica retorica. Al di là delle chiacchiere delle quali siamo stati inondati in questi mesi – il ministro Guatieri, nel suo compassato porsi, è apparso in televisione a parlare di soldi, tanti soldi, che si pensava non vedesse l'ora di distribuire, ma erano solo chiacchiere perché i soldi non c'erano; parole propagate, peraltro, attraverso un modesto modo di comunicare – ora che i soldi si intravedono il Paese è all'onere della prova: essa riguarda l'elaborazione di proposte precise di impiego dei soldi medesimi. L'impresa non è facile e la confusione non aiuta ; almeno per una volta, il “salvo intese” di Conte non potrà essere usato.
Per ricapitolare: all'Italia dei 750 miliardi totali ne spettano 208:127 di prestiti su 360 e 81 di aiuti a fondo perduto su 390. Una cifra considerevole per rimettere in piedi un Paese al di là dei danni del coronavirus. Tale massa di denaro dovrà essere investita nell'economia Green, nelle Infrastrutture, nel digitale, nella sanità e nella competitività. Di questi cinque punti tutti si riempiono la bocca. Ma è solo una faccia della medaglia; quasi nessuno, infatti, accenna alle riforme che dovranno accompagnare gli investimenti. Gioverà ricordarle: pensioni, mercato del lavoro, fisco, giustizia, pubblica amministrazione, Istruzione e concorrenza. Il tutto non avviene a ruota libera. L'Italia, riuscita a strappare le cifre sopra ricordate, dovrà accettare forme stringenti per la gestione del denaro. La Commissione, infatti, valuterà i piani nazionali di riforma che dovranno essere successivamente approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata. In caso di dubbi di uno Stato membro, la Commissione potrà bloccare la decisione di erogare i fondi deferendo la questione al Consiglio. Tradotto in parole povere, per l'Italia significa dimostrare di essere all'altezza di una prova doppia: la prima concerne l'essere all'altezza di se stessa; la seconda di esserlo nel rafforzamento della prospettiva costituzionale europea poiché i fondi saranno reperiti tramite Eurobond, il che rappresenta una svolta di grande rilievo nelle politiche economiche dell'Unione Europea. La Commissione, infatti, emetterà un debito comune garantito dal bilancio UE. Si tratta di uno storico cambio di passo; un'occasione unica per l'Italia e per l'Europa che volta decisamente pagina per creare e condividere la sovranità nel continente, contraendo un debito comune per redistribuire risorse e tasse comuni per finanziarlo. L'Italia, prima di mettersi al lavoro, deve cogliere subito tale cambio di stagione. Speriamo lo faccia, ma per ora non si vedono segnali. Il dato politico costituisce quasi la premessa per il buon esito dell'operazione; fare bene significa andare avanti considerato che da Bruxelles è uscito,consolidato sì, l'asse franco-tedesco, ma che esso è fortemente ostacolato dai cosiddetti “frugali” e dal gruppo di Visegrad e gli aiuti non legati allo stato di diritto segnano un punto a favore di Ungheria e di Polonia. All'Italia fortemente insidiata al proprio interno da una destra nazional-sovranista arriva un implicito messaggio a sconfiggere tale schieramento la cui affermazione costituirebbe un sostanziale cambiamento di equilibri capace di ribaltare quell' evoluzione del sistema europeo che tutti ci auspichiamo, riprendendo quel treno lasciato passare con l'istituzione della moneta unica. In altri termini, se quanto deciso non dovesse funzionare, il quadro europeo non rimarrebbe fermo, ma si involverebbe ridando fiato e spazio a quella destra che nella trattativa è stata sconfitta. La ragione è molto semplice: la forze sovraniste europee, infatti, ricaverebbero grandi benefici dal fallimento del piano appena varato. Nell'operazione, il rafforzamento della sanità pubblica dovrebbe essere fuori discussioni visto quanto ha evidenziato l'attacco pandemico. Ciò significa procedere ad assunzioni, utilizzare risorse per i medici specializzandi, fare investimenti per apparecchiature, progettare nuovi ospedali e pure aiutare le Regioni commissariate cui è impedito di fare investimenti. A ciò serve il Mes; utile e necessario visto che non risultano esserci sul mercato risorse disponibili al tasso dello 0,1%.
L'Italia, quindi, al di là degli strumenti di cui intenderà dotarsi per gestire le risorse – in questi giorni, al proposito, ne stiamo sentendo di tutti i colori – deve varare un piano efficiente, non lasciarsi attrarre dall'assistenzialismo né ricondurre tutto in un neostatalismo – il che non significa, naturalmente, abbracciare un liberismo sfrenato e relegare sullo sfondo il ruolo dello Stato – armonizzando interventi di sistema, reinventando una cultura politica per un Paese che voglia, da una tragedia, cogliere l'occasione per ricostruirsi guardando alle sofferenze del presente e a una più generale scommessa sui tempi più lunghi della storia.
Sulla questione del ruolo dello Stato nell'economia crediamo occorrerebbe una riflessione ponderata e responsabile. L'intervento dello Stato nell'economia non è quello assistenzialistico ed emergenziale che sostengono i 5Stelle; nella riorganizzazione del sistema economico è fondamentale, ha natura strategica e non può limitarsi solo a essere concepito come un mero aiuto finanziario considerato, tra l'altro, che l'Italia non ha più grandi imprese; quelle private sono state vendute e solo quelle pubbliche hanno retto.
Ecco perché occorre calma e gesso e, soprattutto, serietà; il prossimo futuro ci dirà se sarà così. Certo che, tra tutto il resto, necessiterebbe il ritorno in campo della società civile da troppo colpevole tempo silenziosa e indistinta.