"PER UN SOCIALISMO NON SUBALTERNO"
31-03-2017 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
La nuova edizione on line di "Rivoluzione Democratica", testata gelosamente e meritoriamente conservata per anni da Paolo Bagnoli, mi permette di riproporre un tema per noi ineludibile: quello della crisi profonda del Socialismo e di come uscirne, se ne usciremo. Ne ho e ne abbiamo parlato in più occasioni, anche sul sito della Federazione per il Socialismo. Per questo non ripeterò analisi e riflessioni già sviluppate limitandomi ad alcune puntualizzazioni per me imprescindibili.
La prima è che si deve andare oltre la vicenda italiana, per quanto drammatica ed ancora controversa essa sia stata. Questo perché la crisi del Socialismo è qualcosa di assai più ampio della fine del PSI, inteso naturalmente come il soggetto politico fondato a Genova nel 1892 e sciolto nel novembre del 1994. Dell´attuale PSI, legato al PD da un rapporto di vassallaggio, non merita parlare mentre per motivi di diversa natura non ritengo di addentrarmi ora nella disamina dell´arcipelago socialista esterno al PSI, diviso in tante associazioni spesso lontane e in conflitto fra loro.
La crisi coinvolge infatti il Socialismo europeo in tutte la sue diverse declinazioni: socialiste, socialdemocratiche e laburiste. La si poteva già avvertire nel corso degli anni ´80 del secolo scorso, quelli della cosiddetta rivoluzione conservatrice, ma si è disvelata in tutta la sua pienezza dopo l´implosione dei paesi comunisti dell´Europa Orientale. Mentre la fine del tragico equivoco nato nell´Ottobre del 1917 avrebbe dovuto infondere una rinnovata fiducia in chi aveva sempre creduto nel Socialismo democratico, questa venne paradossalmente a mancare. Di fatto gran parte del Socialismo europeo aderì alla tesi di Fukuyama circa la fine della storia ed accettò il motto thatcheriano secondo cui "there is no alternative". La conseguenza, prevedibile, è stata la totale subalternità al modello mercatista e globalista. Solo poche voci denunciarono questa involuzione e fra queste voglio ricordare quella di Mario Soares, che accusò esplicitamente Tony Blair di riproporre le politiche thatcheriane in forma solo un po´ più glamour.
Inizialmente i successi elettorali del New Labour di Blair e della SPD neocentrista di Schroeder illusero molti, ma con la crisi economica i nodi sono venuti al pettine ed i partiti di ispirazione socialista hanno subito le gravi sconfitte che ricordiamo. Da tempo sono stretti nella morsa della contrapposizione fra neo-liberisti e populisti (uso questa parola vaga solo per capirci) ed il rischio dell´irrilevanza è evidente. Dopo tanti disastri qualcosa sembra cominciare a muoversi, ma tutto è ancora da vedere ed un´eventuale ripresa appare molto problematica.
Personalmente non credo siano sufficienti piccoli aggiustamenti e modesti correttivi perché una crisi radicale esige risposte altrettanto radicali. Innanzi tutto bisogna prendere, o riprendere, consapevolezza che il Socialismo ha senso solo come movimento di profonda trasformazione economica e sociale e che perde sé stesso se si riduce ad arte di governo che mitiga, se li mitiga, gli eccessi dell´ordine esistente. Poi bisogna saper tradurre l´ideale in reale e questo è molto difficile, a dir poco, in un mondo caratterizzato da cambiamenti incessanti ed epocali.
C´è una grande questione oggi in Europa ed è la questione di un assetto tanto economicamente disastroso quanto socialmente iniquo. I guasti del Trattato di Maastricht e la follia dell´euro sono sotto gli occhi di tutti e non li vede solo chi non vuole vederli. Se Maastricht e l´euro sono stati la tomba del Socialismo europeo – cosa di cui da tempo sono convinto – penso che solo dal loro rifiuto possa avere inizio il percorso di un rinnovato Socialismo. E se per non essere subalterni occorre essere sovranisti, non dobbiamo avere timore di dichiararci tali. Di un sovranismo né nazionalista né aggressivo, ma rispettoso dei diritti di tutti ed in particolare dei più deboli. Quello che, in poche parole, l´Europa di Maastricht e dell´euro non è e non potrà mai essere.
La prima è che si deve andare oltre la vicenda italiana, per quanto drammatica ed ancora controversa essa sia stata. Questo perché la crisi del Socialismo è qualcosa di assai più ampio della fine del PSI, inteso naturalmente come il soggetto politico fondato a Genova nel 1892 e sciolto nel novembre del 1994. Dell´attuale PSI, legato al PD da un rapporto di vassallaggio, non merita parlare mentre per motivi di diversa natura non ritengo di addentrarmi ora nella disamina dell´arcipelago socialista esterno al PSI, diviso in tante associazioni spesso lontane e in conflitto fra loro.
La crisi coinvolge infatti il Socialismo europeo in tutte la sue diverse declinazioni: socialiste, socialdemocratiche e laburiste. La si poteva già avvertire nel corso degli anni ´80 del secolo scorso, quelli della cosiddetta rivoluzione conservatrice, ma si è disvelata in tutta la sua pienezza dopo l´implosione dei paesi comunisti dell´Europa Orientale. Mentre la fine del tragico equivoco nato nell´Ottobre del 1917 avrebbe dovuto infondere una rinnovata fiducia in chi aveva sempre creduto nel Socialismo democratico, questa venne paradossalmente a mancare. Di fatto gran parte del Socialismo europeo aderì alla tesi di Fukuyama circa la fine della storia ed accettò il motto thatcheriano secondo cui "there is no alternative". La conseguenza, prevedibile, è stata la totale subalternità al modello mercatista e globalista. Solo poche voci denunciarono questa involuzione e fra queste voglio ricordare quella di Mario Soares, che accusò esplicitamente Tony Blair di riproporre le politiche thatcheriane in forma solo un po´ più glamour.
Inizialmente i successi elettorali del New Labour di Blair e della SPD neocentrista di Schroeder illusero molti, ma con la crisi economica i nodi sono venuti al pettine ed i partiti di ispirazione socialista hanno subito le gravi sconfitte che ricordiamo. Da tempo sono stretti nella morsa della contrapposizione fra neo-liberisti e populisti (uso questa parola vaga solo per capirci) ed il rischio dell´irrilevanza è evidente. Dopo tanti disastri qualcosa sembra cominciare a muoversi, ma tutto è ancora da vedere ed un´eventuale ripresa appare molto problematica.
Personalmente non credo siano sufficienti piccoli aggiustamenti e modesti correttivi perché una crisi radicale esige risposte altrettanto radicali. Innanzi tutto bisogna prendere, o riprendere, consapevolezza che il Socialismo ha senso solo come movimento di profonda trasformazione economica e sociale e che perde sé stesso se si riduce ad arte di governo che mitiga, se li mitiga, gli eccessi dell´ordine esistente. Poi bisogna saper tradurre l´ideale in reale e questo è molto difficile, a dir poco, in un mondo caratterizzato da cambiamenti incessanti ed epocali.
C´è una grande questione oggi in Europa ed è la questione di un assetto tanto economicamente disastroso quanto socialmente iniquo. I guasti del Trattato di Maastricht e la follia dell´euro sono sotto gli occhi di tutti e non li vede solo chi non vuole vederli. Se Maastricht e l´euro sono stati la tomba del Socialismo europeo – cosa di cui da tempo sono convinto – penso che solo dal loro rifiuto possa avere inizio il percorso di un rinnovato Socialismo. E se per non essere subalterni occorre essere sovranisti, non dobbiamo avere timore di dichiararci tali. Di un sovranismo né nazionalista né aggressivo, ma rispettoso dei diritti di tutti ed in particolare dei più deboli. Quello che, in poche parole, l´Europa di Maastricht e dell´euro non è e non potrà mai essere.
Fonte: di MAURIZIO GIANCOLA