"CINO DEL DUCA: UNA STORIA ITALIANA"
27-12-2018 - STORIE&STORIE
Fattorino, piazzista, frenatore presso le Ferrovie dello Stato: questo, nel 1920, il curriculum vitae di colui che sarebbe diventato il re della stampa rosa, ma anche produttore cinematografico, editore di quotidiani e mecenate. Cino Del Duca era nato nel 1899 in provincia di Ascoli Piceno, figlio di un piccolo imprenditore che aveva combattuto in Francia nel '70 con la Legione garibaldina. Dopo la guerra, nella quale si guadagna la croce al merito, è assunto come frenatore in prova dalle Ferrovie dello Stato. La sua iscrizione al partito socialista risale a quella data. Il suo attivismo politico non sfugge all'attenzione delle autorità di polizia: schedato come sovversivo, è licenziato e confinato ad Agropoli.
Nel 1924 riconquista la libertà e si trasferisce a Milano, dove riprende a fare il piazzista di libri. E nel 1929, in uno scantinato di corso Genova, apre una piccolissima casa editrice, la Moderna, specializzata in romanzi popolari a dispense. Nascono così il Monello, l’Intrepido e il Corriere dei piccoli. Insofferente dei vincoli imposti dal regime, nel ’32 riesce a ottenere il passaporto e si trasferisce a Parigi, dove crea Les éditions mondiales, e ripropone le formule che in Italia hanno avuto successo: romanzi d'amore a dispense, giornalini per ragazzi. Nel ’41 entra a far parte della Resistenza francese, nel ’43 si unisce alla Resistenza italiana. Alla fine del conflitto, riprende l'attività editoriale, e riappaiono così le testate dei giornalini per ragazzi (Intrepido, Albi dell'Intrepido, Il Monello in Italia, Mireille, Intrépide, Hurrah! in Francia), che raggiungono subito ottimi livelli di vendita.
E’ stato Cino Del Duca a intuire per primo le possibilità che gli avrebbero aperto i fotoromanzi: Nous deux in Francia e Grand Hôtel in Italia sono sue creature, che raggiungono tirature impensabili – affiancate queste da riviste specializzate in “storie vere”: Intimità, Confessioni, Stop e in Francia Intimité, Vie en fleur, Ciné-révélation. Se è la presse de cæur a porre le basi del suo impero finanziario, è l’impegno culturale a fare di Cino Del Duca un simbolo dell’imprenditoria illuminata. Sotto la presidenza dell'accademico di Francia André Maurois, istituisce la Fondazione Del Duca, con borse annuali destinate ad autori di lingua francese. Fonda la Del Duca film, che produrrà fra l’altro Grisbì con Jean Gabin e Lino Ventura, Accattone di Pasolini e L'avventura di Antonioni. Ed è la sua casa editrice, Les Editions mondiales, a far conoscere al pubblico francese Pirandello, Leopardi, Caldwell e Steinbeck.
Un progetto è rimasto ancora irrealizzato: quello di creare un quotidiano popolare dotato nel contempo di spessore culturale. Enrico Mattei – come Cino, marchigiano e antifascista – ha in mente qualcosa di analogo. Dopo alterne vicende, i due, insieme con Oreste Cacciabue, daranno vita al Giorno. Il primo numero è in edicola il 21 aprile 1956. La permanenza di Cino al Giorno sarà di breve durata, ma sufficiente a lasciare un’impronta nel giornale diretto da Gaetano Baldacci: suo il suggerimento di alleggerire l’impostazione politico finanziaria con il rotocalco. Impresa analoga la creerà in Francia, dove rileva un quotidiano in crisi, Franc-Tireur, di indirizzo laico-socialista, nato come foglio clandestino a Lione nel 1941. Lo ribattezza Paris-jour, lo trasforma in un foglio accessibile al largo pubblico inserendo concorsi a premi fra i lettori, feuilletons e fumetti. E, primo in Francia, adotta il formato tabloid. Consapevole della diffusione inarrestabile della televisione, nel 1965 lancia Télépoche, settimanale televisivo tascabile che a tempo di record raggiunge il milione di copie a settimana.
Alla sua morte, avvenuta a causa di una trombosi cerebrale il 24 maggio 1967, lascia un vero e proprio impero editoriale diffuso in tutta Europa.
Niente lasciava prevedere la clamorosa ascesa sociale che lo avrebbe visto protagonista. La famiglia era senza un soldo, non aveva un titolo di studio, non aveva conoscenze altolocate. Quando comincia a imporsi come editore, è denigrato dalla Chiesa, che lo accusa di corrompere il pubblico femminile, e osteggiato dal Partito comunista, che ritiene la cultura di massa, della quale lui è portatore, fascistoide. Dimenticando che non solo era sempre stato antifascista e aveva pagato per questo, ma per i suoi meriti durante la Resistenza era stato insignito della croce di guerra francese 1939-45 con stella di bronzo e della "medaille de la reconnaissance", e decorato con la Legion d'onore.
Nonostante vie e piazze siano dedicate a suo nome, pochi lo ricordano ancora. Nella sconsolante parentesi nella quale oggi ci troviamo, è però di conforto guardare al passato e riscoprire personaggi che non furono eroi, ma hanno contribuito a costruire un’Italia democratica.
Fonte: di GIULIETTA ROVERA