"NUOVI ORIZZONTI"
22-06-2021 - AGORA'
La conclusione di questo articolo, può apparire in contrasto con quanto ho sostenuto in precedenza, dipende dal fatto che sono un riformista, cioè uno che “preferisce il poco al tutto, il realizzabile all'utopico, il gradualismo alla trasformazione radicale del «sistema»”[1].
Si tratta di ripartire dal disastro sociale scaturito da questi quaranta anni trascorsi sotto l'usbergo del così detto “libero mercato”, cioè di quella teoria che si basa sul principio della “identità naturale degli interessi” che sembra quasi una provvidenza divina e che Adam Smith individua nella “mano invisibile”. Questa ipotesi è la premessa che conduce alla teoria del mercato capace di autoregolarsi, attraverso il gioco della domanda e dell'offerta, in maniera da consentire la migliore allocazione possibile delle risorse.
Come ci ricordava un “dissentig economist” statunitense, che pur faceva parte dell'establishment democratico, John Kennet Galbraith: “La cosiddetta «economia sana» è assai spesso quella che rispecchia le necessità dei benestanti rispettabili”[2].
I risultati prodotti dalle teorie a favore del liberismo selvaggio e dalle conseguenti scelte di politica economica sono sotto gli occhi di tutti. La crisi della fine del primo decennio di questo secolo, aggravata dalla pandemia, è stata devastante ed ha aumentato le disuguaglianze sociali. I responsabili di questo scempio invece di essere puniti sono stati premiati.
Ciò ha comportato, come è accaduto durante tutte le crisi finanziarie che si sono succedute dal 1870 al 2014, uno spostamento all'estrema destra dell'asse politico. Il consenso popolare, manipolato anche dai mezzi di informazione, si è incanalato in quella direzione perché si è fatto credere che il capro espiatorio della perdita di prosperità siano i migranti e le minoranze etniche[3], cavallo di battaglia delle destre di qualsiasi denominazione.
In realtà la colpa è stata di coloro che hanno predicato il taglio della spesa pubblica, le privatizzazioni, l'abbandono di ogni attività regolatoria, la diminuzione delle tasse e nessun intervento dello stato nella vita economica soprattutto per quanto riguarda il welfare e il mercato del lavoro. Non è stato proprio così come ci dimostra Mariana Mazzucato[4], quando lo Stato destinava le proprie risorse al sistema finanziario o a quello della grande industria tutte le ossessioni sull'intervento statale nell'economia si dissolvevano come neve al sole.
Queste teorie supportate da una miriade di studi, più o meno brillanti e infarciti di elaborati algoritmi, che corrispondevano solo alla logica del loro estensore, poco avevano a che vedere con la realtà. Fra questi studi due meritano di essere ricordati uno di Alberto Alesina e Silvia Ardagna che teorizzava che l'economia si sarebbe sviluppata riducendo il deficit di bilancio[5]: cioè come crescere spendendo meno. L'altro era di due economisti statunitensi, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff[6], dove si sosteneva che quando il debito pubblico superava il 90% del PIL la crescita diminuiva. Questi due studi sono stati spesso citati per giustificare la politica economica europea e si sono dimostrati inficiati da molte soggettività. Il primo è stato oggetto di una virulenta polemica di Krugman e Blyth che hanno dimostrato l'infondatezza teorica di quanto sostenuto. I marchiani errori matematici del secondo sono stati l'oggetto di un articolo che dopo qualche anno ha distrutto le tesi sostenute dai due economisti statunitensi[7].
Cito questi due studi che sono alla base delle scelte di politica economica della EU che nonostante la loro infondatezza non è cambiata.
A questa offensiva la sinistra, a livello europeo (quella italiana che non aveva e non ha idee da anni, non ha svolto alcun ruolo), non solo non ha cercato di difendere cento anni di conquiste sociali ma ha preso la mazza e ha dato potenti colpi a distruggere tutto. Adesso si è sorpresi che i ceti più deboli non esprimono il loro voto alla sinistra. In ordine cronologico:
1983 Mitterand su suggerimento di Jacques Delors (che sosteneva che i controlli sui capitali danneggiavano la classe media) si mise nella mano dei mercati ritenendo che il Governo dovesse occuparsi solo del contrasto dell'inflazione
1995 il FMI sotto la direzione del socialista francese Michel Camdessus diviene ancora più favorevole al libero mercato
1997 Tony Blair annuncia che occorre individuare un nuovo percorso politico diverso da liberismo e dal socialismo. Nel corso degli anni il termine socialismo è stato espunto da questa teoria
2010 Gerhard Schröder Socialdemocratico tedesco che da Cancelliere lanciò la famosa Agenda 2010 con la quale si tagliavano gli stipendi ai lavoratori e si diminuiva il loro welfare
Ovviamente in questo elenco non è compreso Bill Clinton, campione per una parte della sinistra europea, che ha colpe rilevanti nello scivolamento verso un mercato senza regole.
Dopo l'ubriacatura liberista che ha ridotto il potere di acquisto dalle classi medie in giù e messo in discussione gli equilibri sociali del mondo intero, il FMI ha ritenuto di dover cambiare indirizzo.
Constatato il fallimento delle politiche attive del lavoro e della riduzione delle tasse (un euro tagliato sulle tasse ha un moltiplicatore negativo mentre un euro speso dalla pubblica amministrazione ha un moltiplicatore positivo) le proposte sono cambiate.
Uno studio dello OCSE[8] ed un altro del FMI[9] hanno dimostrato, con dati empirici, che i paesi con maggiore disparità sociali avevano uno sviluppo economico più lento.
L'ultimo Outlook del FMI (marzo 2021) sottolinea soprattutto due cose: la necessità di mantenere il più possibile il sostegno al lavoro e una forte progressività del sistema di tassazione, di fatto promuovendo il comportamento dell'Italia durante la pandemia.
Se invece si legge l'Outlook della EU si vede come non sia cambiato niente. Livello del debito pubblico, parametri di spesa, patto di stabilità e tutti i rituali che contraddistinguono la EU, corroborate dalle solite terroristiche dichiarazioni dell'attuale presidente del Bundestag, l'immarcescibile Wolfang Schäuble.
Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, lo sleepy Joe di Trump che tanto sleepy non appare, ha imboccato la via di politiche economiche, per aggredire la crisi, diverse da quelle stantie che pervadono la EU.
Mi sembrerebbe di sinistra incominciare a lavorare perché queste idee divengano patrimonio dell'Europa ed al contempo spingere per una maggiore integrazione dell'unità europea. Con il Next Generation EU, abbiamo visto qualche barlume.
Rafforziamolo!
Si tratta di ripartire dal disastro sociale scaturito da questi quaranta anni trascorsi sotto l'usbergo del così detto “libero mercato”, cioè di quella teoria che si basa sul principio della “identità naturale degli interessi” che sembra quasi una provvidenza divina e che Adam Smith individua nella “mano invisibile”. Questa ipotesi è la premessa che conduce alla teoria del mercato capace di autoregolarsi, attraverso il gioco della domanda e dell'offerta, in maniera da consentire la migliore allocazione possibile delle risorse.
Come ci ricordava un “dissentig economist” statunitense, che pur faceva parte dell'establishment democratico, John Kennet Galbraith: “La cosiddetta «economia sana» è assai spesso quella che rispecchia le necessità dei benestanti rispettabili”[2].
I risultati prodotti dalle teorie a favore del liberismo selvaggio e dalle conseguenti scelte di politica economica sono sotto gli occhi di tutti. La crisi della fine del primo decennio di questo secolo, aggravata dalla pandemia, è stata devastante ed ha aumentato le disuguaglianze sociali. I responsabili di questo scempio invece di essere puniti sono stati premiati.
Ciò ha comportato, come è accaduto durante tutte le crisi finanziarie che si sono succedute dal 1870 al 2014, uno spostamento all'estrema destra dell'asse politico. Il consenso popolare, manipolato anche dai mezzi di informazione, si è incanalato in quella direzione perché si è fatto credere che il capro espiatorio della perdita di prosperità siano i migranti e le minoranze etniche[3], cavallo di battaglia delle destre di qualsiasi denominazione.
In realtà la colpa è stata di coloro che hanno predicato il taglio della spesa pubblica, le privatizzazioni, l'abbandono di ogni attività regolatoria, la diminuzione delle tasse e nessun intervento dello stato nella vita economica soprattutto per quanto riguarda il welfare e il mercato del lavoro. Non è stato proprio così come ci dimostra Mariana Mazzucato[4], quando lo Stato destinava le proprie risorse al sistema finanziario o a quello della grande industria tutte le ossessioni sull'intervento statale nell'economia si dissolvevano come neve al sole.
Queste teorie supportate da una miriade di studi, più o meno brillanti e infarciti di elaborati algoritmi, che corrispondevano solo alla logica del loro estensore, poco avevano a che vedere con la realtà. Fra questi studi due meritano di essere ricordati uno di Alberto Alesina e Silvia Ardagna che teorizzava che l'economia si sarebbe sviluppata riducendo il deficit di bilancio[5]: cioè come crescere spendendo meno. L'altro era di due economisti statunitensi, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff[6], dove si sosteneva che quando il debito pubblico superava il 90% del PIL la crescita diminuiva. Questi due studi sono stati spesso citati per giustificare la politica economica europea e si sono dimostrati inficiati da molte soggettività. Il primo è stato oggetto di una virulenta polemica di Krugman e Blyth che hanno dimostrato l'infondatezza teorica di quanto sostenuto. I marchiani errori matematici del secondo sono stati l'oggetto di un articolo che dopo qualche anno ha distrutto le tesi sostenute dai due economisti statunitensi[7].
Cito questi due studi che sono alla base delle scelte di politica economica della EU che nonostante la loro infondatezza non è cambiata.
A questa offensiva la sinistra, a livello europeo (quella italiana che non aveva e non ha idee da anni, non ha svolto alcun ruolo), non solo non ha cercato di difendere cento anni di conquiste sociali ma ha preso la mazza e ha dato potenti colpi a distruggere tutto. Adesso si è sorpresi che i ceti più deboli non esprimono il loro voto alla sinistra. In ordine cronologico:
1983 Mitterand su suggerimento di Jacques Delors (che sosteneva che i controlli sui capitali danneggiavano la classe media) si mise nella mano dei mercati ritenendo che il Governo dovesse occuparsi solo del contrasto dell'inflazione
1995 il FMI sotto la direzione del socialista francese Michel Camdessus diviene ancora più favorevole al libero mercato
1997 Tony Blair annuncia che occorre individuare un nuovo percorso politico diverso da liberismo e dal socialismo. Nel corso degli anni il termine socialismo è stato espunto da questa teoria
2010 Gerhard Schröder Socialdemocratico tedesco che da Cancelliere lanciò la famosa Agenda 2010 con la quale si tagliavano gli stipendi ai lavoratori e si diminuiva il loro welfare
Ovviamente in questo elenco non è compreso Bill Clinton, campione per una parte della sinistra europea, che ha colpe rilevanti nello scivolamento verso un mercato senza regole.
Dopo l'ubriacatura liberista che ha ridotto il potere di acquisto dalle classi medie in giù e messo in discussione gli equilibri sociali del mondo intero, il FMI ha ritenuto di dover cambiare indirizzo.
Constatato il fallimento delle politiche attive del lavoro e della riduzione delle tasse (un euro tagliato sulle tasse ha un moltiplicatore negativo mentre un euro speso dalla pubblica amministrazione ha un moltiplicatore positivo) le proposte sono cambiate.
Uno studio dello OCSE[8] ed un altro del FMI[9] hanno dimostrato, con dati empirici, che i paesi con maggiore disparità sociali avevano uno sviluppo economico più lento.
L'ultimo Outlook del FMI (marzo 2021) sottolinea soprattutto due cose: la necessità di mantenere il più possibile il sostegno al lavoro e una forte progressività del sistema di tassazione, di fatto promuovendo il comportamento dell'Italia durante la pandemia.
Se invece si legge l'Outlook della EU si vede come non sia cambiato niente. Livello del debito pubblico, parametri di spesa, patto di stabilità e tutti i rituali che contraddistinguono la EU, corroborate dalle solite terroristiche dichiarazioni dell'attuale presidente del Bundestag, l'immarcescibile Wolfang Schäuble.
Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, lo sleepy Joe di Trump che tanto sleepy non appare, ha imboccato la via di politiche economiche, per aggredire la crisi, diverse da quelle stantie che pervadono la EU.
Mi sembrerebbe di sinistra incominciare a lavorare perché queste idee divengano patrimonio dell'Europa ed al contempo spingere per una maggiore integrazione dell'unità europea. Con il Next Generation EU, abbiamo visto qualche barlume.
Rafforziamolo!
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[1] F. Caffè, La solitudine del riformista in Federico Caffè. Un economista per gli uomini comuni, Ediesse, Roma, 2007, p. 383
[2] J. K. Galbraith, Money: Whence it came, Were It Went, Mifflin, Boston, 1975, p. 86. Di questo libro esiste anche una traduzione italiana J. K. Galbraith, La moneta da dove viene e dove va, Mondadori, Milano, 1975.
[3] M. Funke M. Schularick C. Trebesch, Going to Extremes: Politics after Financial Crises, 1870-2014 in CESIFO Working Paper NO. 5553 Category 7: Monetary Policy and International Finance October 2015
[4] M. Mazzucato, The entrepreneurial state: debunking public vs. private sector myths, Anthem Press, London 2013. Di questo libro esiste anche una versione tradotta in italiano M Mazzucato, Lo Stato innovatore, Laterza, Bari, 2014
[5] A.F. Alesina S. Ardagna, Large Changes in Fiscal Policy: Taxes versus Spending, National Bureau of Economic Research Working Paper 15438, October 2009.
[6] C. M. Reinhart K. S. Rogoff, This time is different : eight centuries of financial folly, Princeton University press, Princeton Oxford, 2009 esiste anche una traduzione italiana C. M. Reinhart K. S. Rogoff Questa volta è diverso: otto secoli di follia finanziaria, Il saggiatore, Milano, 2010
[7] T. Herndon M. Ash R. Pollin, Does High Public Debt Consistently Stifle Economic Growth? A critique of Reinhart and Rogoff, University of Massachusetts, Political Economy Research Institute, Working Papers series n.322, April 15, 2013.
[8] F. Cingano, Income Inequality and its Impact on Economic Growth, OECD Social, Employment and Migration Working Paper 163, 2014
[9] FMI, Fostering Inclusive Growth, G-20 Leaders' Summit, July 7-8, 2017, Hamburg, Germany
[2] J. K. Galbraith, Money: Whence it came, Were It Went, Mifflin, Boston, 1975, p. 86. Di questo libro esiste anche una traduzione italiana J. K. Galbraith, La moneta da dove viene e dove va, Mondadori, Milano, 1975.
[3] M. Funke M. Schularick C. Trebesch, Going to Extremes: Politics after Financial Crises, 1870-2014 in CESIFO Working Paper NO. 5553 Category 7: Monetary Policy and International Finance October 2015
[4] M. Mazzucato, The entrepreneurial state: debunking public vs. private sector myths, Anthem Press, London 2013. Di questo libro esiste anche una versione tradotta in italiano M Mazzucato, Lo Stato innovatore, Laterza, Bari, 2014
[5] A.F. Alesina S. Ardagna, Large Changes in Fiscal Policy: Taxes versus Spending, National Bureau of Economic Research Working Paper 15438, October 2009.
[6] C. M. Reinhart K. S. Rogoff, This time is different : eight centuries of financial folly, Princeton University press, Princeton Oxford, 2009 esiste anche una traduzione italiana C. M. Reinhart K. S. Rogoff Questa volta è diverso: otto secoli di follia finanziaria, Il saggiatore, Milano, 2010
[7] T. Herndon M. Ash R. Pollin, Does High Public Debt Consistently Stifle Economic Growth? A critique of Reinhart and Rogoff, University of Massachusetts, Political Economy Research Institute, Working Papers series n.322, April 15, 2013.
[8] F. Cingano, Income Inequality and its Impact on Economic Growth, OECD Social, Employment and Migration Working Paper 163, 2014
[9] FMI, Fostering Inclusive Growth, G-20 Leaders' Summit, July 7-8, 2017, Hamburg, Germany
Fonte: di ENNO GHIANDELLI