A CINQUANT'ANNI DALLA LEGGE SUL DIVORZIO
19-02-2024 - AGORA´
Cinquant’anni fa, il 12 maggio 1974, vinse con il 59,3%, oltre 19 milioni di voti, il NO al referendum abrogativo, voluto dalla Dc, da comitati cattolici e dal Msi-Dn, della legge n.898/70 sul divorzio, a firma del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini.
Con la vittoria dei No, declamati in vari modi da Gigi Proietti o cantati da Domenico Modugno nell’inno ‘L’anniversario, si sancì il diritto al divorzio e il principio della laicità, oggi sparito dai radar, dello Stato il cui compito - a differenza della Chiesa che predica alle coscienze le sue credenze fideistiche - è trovare soluzione ai tanti problemi sociali molto estesi tra i cittadini e l’opinione pubblica.
Quel voto, pur aprendo successivamente la strada ad altri diritti civili: dall’aborto terapeutico al diritto di famiglia, dall’obiezione di coscienza alla fecondazione assistita, dalle unioni civili alla contrastata eutanasia, cioè il fine vita, registrò una certa “distanza” tra la maturità delle persone e il “ritardo” con cui la politica capì allora, e drammaticamente anche oggi, che non si trattava, e non si tratta, di vuote “frivolezze radical-chic”.
Quanto invece della messa in discussione di taluni valori tradizionali, anzi meglio di credenze simil religiose: l’indissolubilità del matrimonio o la sacralità della famiglia istituzionale con il pater familias a capo e la donna relegata al focolare domestico, l’aborto pur se a fini terapeutici equiparato ad un omicidio perché l’embrione sarebbe non un ammasso di cellule ma persona umana, il fine vita nelle mani uniche di una entità soprannaturale e non della persona stufa di star di soffrire e senza via d’uscita, di vegetare attaccata a una macchina fredda, senza più una vita umana.
Ed è noto che tali valori tradizionali, o ancora meglio credenze simil religiose, hanno a volte un piano B, l’emarginazione della donna, non riconosciuta come essere umano a tutti gli effetti.
Certamente quella dei primi anni Settanta, periodo ad alto livello di riforme strutturali che cambiarono le condizioni di vita delle persone, era tuttavia una società ancora chiusa, poco aperta ai cambiamenti sul versante dei diritti civili: non è che il divorzio ha cambiato l’Italia. L’Italia era già cambiata sotto gli occhi di tutti, salvo di chi non voleva rendersene conto. È come per le unioni civili, per l’aborto, per il fine vita.
Nonostante ciò, la vittoria del referendum abrogativo della legge sul divorzio si può dire che fece da apripista di altri diritti civili e segnò lo spartiacque tra un prima e un dopo: intanto vinse la visione dello Stato laico e perse quella dello Stato teocratico e ciò ancora oggi comporta l’onere di qualsiasi forza politica che voglia esser o dirsi progressista di avere la laicità dello Stato quale valore fondante della propria visione della società ed a ruota che non c’è assolutamente incompatibilità tra la tutela dei diritti sociali e la tutela dei diritti civili. I primi, i diritti sociali (lavoro, salario, casa) legati ai bisogni materiali sono importanti per la sopravvivenza delle persone, gli altri, i diritti civili, in quanto immateriali sono indispensabili alla vita umana libera e dignitosa delle persone, soprattutto e principalmente delle donne.
Anche oggi nell’epoca in cui drammaticamente si odono slogan come ‘Dio, Patria, Famiglia’ e si avverte l’eco di pericolosi rigurgiti di un nazismo di ritorno sotto mentite spoglie, sarebbe quanto mai necessario non solo riaprire una nuova stagione di battaglie sui diritti civili e difendere quelli già acquisiti, ma battersi tenacemente contro quelle che a suo tempo Riccardo Lombardi chiamò “le inframettenze clericali” presenti nella “Repubblica clericale” realizzata dopo il 1945, diversamente dalle aspettative, ossia l’inserimento nella Costituzione (art.7) del Concordato tra Mussolini e la Chiesa.
Con la vittoria dei No, declamati in vari modi da Gigi Proietti o cantati da Domenico Modugno nell’inno ‘L’anniversario, si sancì il diritto al divorzio e il principio della laicità, oggi sparito dai radar, dello Stato il cui compito - a differenza della Chiesa che predica alle coscienze le sue credenze fideistiche - è trovare soluzione ai tanti problemi sociali molto estesi tra i cittadini e l’opinione pubblica.
Quel voto, pur aprendo successivamente la strada ad altri diritti civili: dall’aborto terapeutico al diritto di famiglia, dall’obiezione di coscienza alla fecondazione assistita, dalle unioni civili alla contrastata eutanasia, cioè il fine vita, registrò una certa “distanza” tra la maturità delle persone e il “ritardo” con cui la politica capì allora, e drammaticamente anche oggi, che non si trattava, e non si tratta, di vuote “frivolezze radical-chic”.
Quanto invece della messa in discussione di taluni valori tradizionali, anzi meglio di credenze simil religiose: l’indissolubilità del matrimonio o la sacralità della famiglia istituzionale con il pater familias a capo e la donna relegata al focolare domestico, l’aborto pur se a fini terapeutici equiparato ad un omicidio perché l’embrione sarebbe non un ammasso di cellule ma persona umana, il fine vita nelle mani uniche di una entità soprannaturale e non della persona stufa di star di soffrire e senza via d’uscita, di vegetare attaccata a una macchina fredda, senza più una vita umana.
Ed è noto che tali valori tradizionali, o ancora meglio credenze simil religiose, hanno a volte un piano B, l’emarginazione della donna, non riconosciuta come essere umano a tutti gli effetti.
Certamente quella dei primi anni Settanta, periodo ad alto livello di riforme strutturali che cambiarono le condizioni di vita delle persone, era tuttavia una società ancora chiusa, poco aperta ai cambiamenti sul versante dei diritti civili: non è che il divorzio ha cambiato l’Italia. L’Italia era già cambiata sotto gli occhi di tutti, salvo di chi non voleva rendersene conto. È come per le unioni civili, per l’aborto, per il fine vita.
Nonostante ciò, la vittoria del referendum abrogativo della legge sul divorzio si può dire che fece da apripista di altri diritti civili e segnò lo spartiacque tra un prima e un dopo: intanto vinse la visione dello Stato laico e perse quella dello Stato teocratico e ciò ancora oggi comporta l’onere di qualsiasi forza politica che voglia esser o dirsi progressista di avere la laicità dello Stato quale valore fondante della propria visione della società ed a ruota che non c’è assolutamente incompatibilità tra la tutela dei diritti sociali e la tutela dei diritti civili. I primi, i diritti sociali (lavoro, salario, casa) legati ai bisogni materiali sono importanti per la sopravvivenza delle persone, gli altri, i diritti civili, in quanto immateriali sono indispensabili alla vita umana libera e dignitosa delle persone, soprattutto e principalmente delle donne.
Anche oggi nell’epoca in cui drammaticamente si odono slogan come ‘Dio, Patria, Famiglia’ e si avverte l’eco di pericolosi rigurgiti di un nazismo di ritorno sotto mentite spoglie, sarebbe quanto mai necessario non solo riaprire una nuova stagione di battaglie sui diritti civili e difendere quelli già acquisiti, ma battersi tenacemente contro quelle che a suo tempo Riccardo Lombardi chiamò “le inframettenze clericali” presenti nella “Repubblica clericale” realizzata dopo il 1945, diversamente dalle aspettative, ossia l’inserimento nella Costituzione (art.7) del Concordato tra Mussolini e la Chiesa.
Fonte: di Carlo Patrignani