L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA E LA SECCHIA RAPITA di Giuseppe Buttà
di Giuseppe Buttà
24-06-2024 - DIARIO POLITICO di Giuseppe Butta'
Com’è a tutti noto, in Italia siamo capaci di fare una rivoluzione per un gol annullato o un rigore non dato e, anche, per una ‘secchia rapita’. Tra gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici che ci stanno investendo, gli storici dovranno sicuramente annoverare anche le inondazioni di lagrime che si stanno ora abbattendo su tutto il paese.
Non vi è alcuno, che pretenda al titolo di defensor constitutionis, che non abbia levato la sua voce, più o meno autorevole, accusando di profanare la ‘carta’ che ci regge coloro che propongono modifiche strutturali (premierato, magistratura) e financo la sua attuazione (autonomia differenziata).
180 ‘costituzionalisti’ (dico centottanta, cioè quasi l’intero settore scientifico-disciplinare – orrenda espressione usata nelle nostre università per definire una categoria di studiosi della materia) annunciando il rischio dell’equilibrio del terrore, il terrore nucleare, hanno calato il loro carico da ’90 (nella specie, l’asso di bastoni: e chi oserà contraddirli?) a sostegno del poetico appello di Liliana Segre – che ha pure recitato versi di Leopardi – contro le suddette riforme.
La senatrice – che certamente dispone di un buon ‘ghost writer’ – ha espresso dubbi e preoccupazioni soprattutto riguardo al premierato e ciò fa parte del necessario dibattito che si è aperto in Parlamento: tutte le sue opinioni, condivisibili o no, sono da ascoltare e da rispettare.
Del suo discorso, però, non convince l’incipit – «continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese [un pensiero arguto che ricorda quello intelligentemente formulato dalla Schlein qualche mese fa]. E le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare». Un incipit che è veramente sbalorditivo: da un lato definisce apoditticamente ciò che è necessario e ciò che non lo è; dall’altro pleonasticamente ci avverte della possibilità che una qualunque riforma, buona o cattiva, potrà essere bocciata dal popolo: stia serena la Segre, se il popolo boccerà la proposta, vuol dire che non l’avrà ritenuta necessaria e utile. A quel punto la partita sarà chiusa ma, interpellando il popolo, avremo dato forza al nostro sistema costituzionale, alla nostra democrazia.
Sulla necessità delle riforme, il giudizio deve essere lasciato a ciascuno di noi: se qualcuno le propone, significa che le reputa necessarie.
La Segre ha poi annunciato che lei continuerà «a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente. E innanzitutto per rispettarla».
Sono perfettamente d’accordo!
Ma non capisco perché, allora, la Segre non abbia continuato dicendo qualche parola sulla questione della autonomia differenziata, che è una delle parti più importanti della Costituzione ancora in attesa di essere attuata con legge ordinaria: visto che la veneranda senatrice, ‘a vita’, è cosi preoccupata per la mancata attuazione di buona parte della Costituzione, avrebbe potuto offrire le sue congratulazioni ai promotori della legge in discussione in Parlamento e, magari, dare i suoi autorevoli suggerimenti.
Invece ha taciuto; forse anche lei è stata travolta dall’ondata di centralismo nazionalista che oggi sta sommergendo la ‘sinistra’. Certo, nel dna della ‘sinistra’, l’autonomismo non è di casa ma spesso, a fasi alterne, se ne è fatta paladina a seconda delle convenienze del momento come quando, nel 2001, pose mano all’art. 116 della Costituzione nel segreto intento di rubare alla Lega di Bossi il cavallo di battaglia che stava sbaragliando gli assediati della Stalingrado del Nord o, comunque, di farsene un alleato per mantenersi al potere.
Non si abbandona una posizione assunta in modo così formalmente impegnativo quale fu quello dell’emendamento della Costituzione solo per potersi permettere qualche vantaggio propagandistico dando alla nuova legge che porta la firma di Calderoli la qualifica di nuova ‘porcata’.
Il ping pong politico cui stiamo assistendo da qualche decennio, con partiti la cui linea politica sembra essere niente altro che una pallina che viene ribattuta nel campo dell’avversario, non è un bello spettacolo. Oggi, la Schlein, Conte e AvS, Renzi e Calenda si stracciano le vesti perché turbati dal pericolo che l’autonomia differenziata possa spaccare l’Italia; temo però che essi stiano piangendo lagrime da coccodrillo perché anche la materia «rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, commercio con l’estero» – che chiunque abbia un minimo di buon senso assegnerebbe alla competenza esclusiva dello Stato – venne messa nelle mani delle Regioni dagli ‘illuminati’ che fecero la riforma dell’art. 116: questa assurdità (anzi, bestialità) l’hanno scritta diessini (amati antenati dei pdini) e soci: nero su bianco.
Nessuno di essi dovrebbe opporsi (almeno nel modo virulento che viene minacciato) non solo perché, sia pure per interposto partito, sono stati autori di quel pasticcio ma anche perché, essendo stati per decenni al governo, avrebbero dovuto provvedere a promuovere una legge di attuazione a loro misura. I famosi lep, usati oggi dal PD come una clava contro l’autonomia, potevano essere definiti benissimo dieci anni prima. Chi oggi si batte contro l’autonomia delle Regioni dà l’impressione di porsi sul versante reazionario e antidemocratico.
Da quei banchi parlamentari, e da grandi statisti 5S come Patuanelli e Silvestri, si è levato pure l’appello alla saggezza, cioè al ‘saggio’ Mattarella, chiedendo che la legge sull’autonomia non venga promulgata e venga invece rinviata alle Camere. Ma, tirando la giacchetta al Presidente, come i suoi ex compagni di partito fanno da sempre, in questa occasione lo spingerebbero a fare un atto palesemente incostituzionale dal momento che la legge in questione non fa che applicare la Costituzione.
A questo proposito, ci sarà da apprendere molto quando i vari ricorsi contro la legge sulle autonomie – minacciati da alcune regioni (anche dall’Emilia che, fino all’anno scorso, pressava per ottenere l’autonomia) – arriveranno davanti alla Corte costituzionale.
Come se la caverà la Corte? Forse, con una delle sue famose sentenze ‘additive’, essa potrebbe sentenziare che l’autonomia differenziata è bensì in Costituzione ma che l’interesse generale e l’opportunità politica consiglia di posporne l’attuazione dopo il raggiungimento del giusto equilibrio tra Nord e Sud: cioè mai.
Anche da Bruxelles – cioè dall’UE che, come al solito, non manca mai di immischiarsi in materie come l’ordinamento interno degli Stati, che certamente non le competono – è giunto il soccorso (stavo per scrivere ‘soccorso rosso’) ai compagni d’Italia: «la devoluzione di ulteriori competenze alle regioni italiane comporta rischi per coesione e finanze pubbliche». Da quello che capisco, secondo i sapienti che siedono a Palazzo Berlaymont, un eventuale miglioramento delle condizioni di vita di una Regione ‘autonoma’ costituirebbe un pericolo per la coesione dell’intero paese: forse pensano che sia preferibile una coesione al ribasso?
Ci aspettiamo che lo stesso consiglio venga dato ai fiamminghi e ai valloni del Belgio federale e alla Germania dei länder.
E, poi, vale la pena di ricordare ancora una volta che, da 164 anni, l’Italia soffre di quel ‘centralismo’, più o meno democratico, che è stato l’artefice massimo delle due o tre Italie già oggi ‘spaccate’.
Non vi è alcuno, che pretenda al titolo di defensor constitutionis, che non abbia levato la sua voce, più o meno autorevole, accusando di profanare la ‘carta’ che ci regge coloro che propongono modifiche strutturali (premierato, magistratura) e financo la sua attuazione (autonomia differenziata).
180 ‘costituzionalisti’ (dico centottanta, cioè quasi l’intero settore scientifico-disciplinare – orrenda espressione usata nelle nostre università per definire una categoria di studiosi della materia) annunciando il rischio dell’equilibrio del terrore, il terrore nucleare, hanno calato il loro carico da ’90 (nella specie, l’asso di bastoni: e chi oserà contraddirli?) a sostegno del poetico appello di Liliana Segre – che ha pure recitato versi di Leopardi – contro le suddette riforme.
La senatrice – che certamente dispone di un buon ‘ghost writer’ – ha espresso dubbi e preoccupazioni soprattutto riguardo al premierato e ciò fa parte del necessario dibattito che si è aperto in Parlamento: tutte le sue opinioni, condivisibili o no, sono da ascoltare e da rispettare.
Del suo discorso, però, non convince l’incipit – «continuo a ritenere che riformare la Costituzione non sia una vera necessità del nostro Paese [un pensiero arguto che ricorda quello intelligentemente formulato dalla Schlein qualche mese fa]. E le drastiche bocciature che gli elettori espressero nei referendum costituzionali del 2006 e del 2016 lasciano supporre che il mio convincimento non sia poi così singolare». Un incipit che è veramente sbalorditivo: da un lato definisce apoditticamente ciò che è necessario e ciò che non lo è; dall’altro pleonasticamente ci avverte della possibilità che una qualunque riforma, buona o cattiva, potrà essere bocciata dal popolo: stia serena la Segre, se il popolo boccerà la proposta, vuol dire che non l’avrà ritenuta necessaria e utile. A quel punto la partita sarà chiusa ma, interpellando il popolo, avremo dato forza al nostro sistema costituzionale, alla nostra democrazia.
Sulla necessità delle riforme, il giudizio deve essere lasciato a ciascuno di noi: se qualcuno le propone, significa che le reputa necessarie.
La Segre ha poi annunciato che lei continuerà «a ritenere che occorrerebbe impegnarsi per attuare la Costituzione esistente. E innanzitutto per rispettarla».
Sono perfettamente d’accordo!
Ma non capisco perché, allora, la Segre non abbia continuato dicendo qualche parola sulla questione della autonomia differenziata, che è una delle parti più importanti della Costituzione ancora in attesa di essere attuata con legge ordinaria: visto che la veneranda senatrice, ‘a vita’, è cosi preoccupata per la mancata attuazione di buona parte della Costituzione, avrebbe potuto offrire le sue congratulazioni ai promotori della legge in discussione in Parlamento e, magari, dare i suoi autorevoli suggerimenti.
Invece ha taciuto; forse anche lei è stata travolta dall’ondata di centralismo nazionalista che oggi sta sommergendo la ‘sinistra’. Certo, nel dna della ‘sinistra’, l’autonomismo non è di casa ma spesso, a fasi alterne, se ne è fatta paladina a seconda delle convenienze del momento come quando, nel 2001, pose mano all’art. 116 della Costituzione nel segreto intento di rubare alla Lega di Bossi il cavallo di battaglia che stava sbaragliando gli assediati della Stalingrado del Nord o, comunque, di farsene un alleato per mantenersi al potere.
Non si abbandona una posizione assunta in modo così formalmente impegnativo quale fu quello dell’emendamento della Costituzione solo per potersi permettere qualche vantaggio propagandistico dando alla nuova legge che porta la firma di Calderoli la qualifica di nuova ‘porcata’.
Il ping pong politico cui stiamo assistendo da qualche decennio, con partiti la cui linea politica sembra essere niente altro che una pallina che viene ribattuta nel campo dell’avversario, non è un bello spettacolo. Oggi, la Schlein, Conte e AvS, Renzi e Calenda si stracciano le vesti perché turbati dal pericolo che l’autonomia differenziata possa spaccare l’Italia; temo però che essi stiano piangendo lagrime da coccodrillo perché anche la materia «rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, commercio con l’estero» – che chiunque abbia un minimo di buon senso assegnerebbe alla competenza esclusiva dello Stato – venne messa nelle mani delle Regioni dagli ‘illuminati’ che fecero la riforma dell’art. 116: questa assurdità (anzi, bestialità) l’hanno scritta diessini (amati antenati dei pdini) e soci: nero su bianco.
Nessuno di essi dovrebbe opporsi (almeno nel modo virulento che viene minacciato) non solo perché, sia pure per interposto partito, sono stati autori di quel pasticcio ma anche perché, essendo stati per decenni al governo, avrebbero dovuto provvedere a promuovere una legge di attuazione a loro misura. I famosi lep, usati oggi dal PD come una clava contro l’autonomia, potevano essere definiti benissimo dieci anni prima. Chi oggi si batte contro l’autonomia delle Regioni dà l’impressione di porsi sul versante reazionario e antidemocratico.
Da quei banchi parlamentari, e da grandi statisti 5S come Patuanelli e Silvestri, si è levato pure l’appello alla saggezza, cioè al ‘saggio’ Mattarella, chiedendo che la legge sull’autonomia non venga promulgata e venga invece rinviata alle Camere. Ma, tirando la giacchetta al Presidente, come i suoi ex compagni di partito fanno da sempre, in questa occasione lo spingerebbero a fare un atto palesemente incostituzionale dal momento che la legge in questione non fa che applicare la Costituzione.
A questo proposito, ci sarà da apprendere molto quando i vari ricorsi contro la legge sulle autonomie – minacciati da alcune regioni (anche dall’Emilia che, fino all’anno scorso, pressava per ottenere l’autonomia) – arriveranno davanti alla Corte costituzionale.
Come se la caverà la Corte? Forse, con una delle sue famose sentenze ‘additive’, essa potrebbe sentenziare che l’autonomia differenziata è bensì in Costituzione ma che l’interesse generale e l’opportunità politica consiglia di posporne l’attuazione dopo il raggiungimento del giusto equilibrio tra Nord e Sud: cioè mai.
Anche da Bruxelles – cioè dall’UE che, come al solito, non manca mai di immischiarsi in materie come l’ordinamento interno degli Stati, che certamente non le competono – è giunto il soccorso (stavo per scrivere ‘soccorso rosso’) ai compagni d’Italia: «la devoluzione di ulteriori competenze alle regioni italiane comporta rischi per coesione e finanze pubbliche». Da quello che capisco, secondo i sapienti che siedono a Palazzo Berlaymont, un eventuale miglioramento delle condizioni di vita di una Regione ‘autonoma’ costituirebbe un pericolo per la coesione dell’intero paese: forse pensano che sia preferibile una coesione al ribasso?
Ci aspettiamo che lo stesso consiglio venga dato ai fiamminghi e ai valloni del Belgio federale e alla Germania dei länder.
E, poi, vale la pena di ricordare ancora una volta che, da 164 anni, l’Italia soffre di quel ‘centralismo’, più o meno democratico, che è stato l’artefice massimo delle due o tre Italie già oggi ‘spaccate’.