"I DUE PILONI" di Paolo Bagnoli
21-09-2021 - EDITORIALE
Non è facile spiegare ed interpretare il quadro politico italiano. Esso equivale, infatti, a una cornice senza un dipinto definito; appare come una composizione astratta nella quale stanno personaggi stanziali e altri che entrano ed escono secondo una quotidianità senza pensiero. E' una situazione non casuale dovuta alla corrosione continua causata dalla crisi politica post prima repubblica sfociata in un populismo di governo e di opposizione che solo la soluzione Mario Draghi ha arginato e sta governando. A fronte di ciò le considerazioni interrogantesi se Draghi sia di destra o di sinistra appaiono infantili e anche irresponsabili poiché prescindono dal fatto che, con il governo Conte II – che tanto piaceva a Bersani e Bettini – l'Italia stava sprofondando in una caduta che l'avrebbe portata anche, se non proprio fuori, in una posizione quanto mai marginale in Europa. Ininfluente l'autorità delle istituzioni occorreva un'autorevolezzza che, oltre a rappresentare un dato morale, significasse pure il ripristino di un'autorità dello Stato in grado di affrontare,al meglio delle sue possibilità, le sfide pesanti del momento.
Oggi Draghi rappresenta la rimessa in campo dello Stato di un Paese dalla struttura debole che ha bisogno dell'Europa per rialzarsi, indipendentemente da tutto; addirittura dalla stessa politica che, come le cronache ci dicono, non esiste essendosi ridotta solo a un comunicazionismo populistico che, spacciandosi per politica, vagola per i meandri più vari del Paese alla ricerca di un sempre maggiore consenso. L'idea di un Paese quale pensiero storico-politico compiuto non esiste e, se ciò non c'è, non può esservi nemmeno quanto a ciò è consustanziale: vale a dire la ripresa di una dimensione politica che è progetto ideale e realizzazione pratica. E, naturalmente, è pure movimento che riguarda le opinioni, le classi, le realtà associative, la creatività della società e così via. Nell'Italia senza partiti ,ma con tanti capi-partito, di tutto ciò non esiste niente e venendo meno, progressivamente, la coesione morale del sistema, per evitare lo sfascio, era necessario giocare una carta e una soluzione che, da un lato, permettesse, per una qualche parte, di liberare il sistema dal logorio inferto dai soggetti politici e, dall'altra, confermare sul campo che l'Italia è Europa e che, quindi, quanto da questa a essa destinato per la sua ripresa generale è in buone mani.
L'Europa, infatti, sull'Italia gioca in buona parte se stessa e una cosa è doversi raffrontare a un Conte ispirato da Bettini – nella considerazione più alta che si può avere dell'ex avvocato del popolo – un' altra, da una personalità che è uno dei volti dell'Europa medesima. sicuramente Draghi non è un demiurgo e ritenere che le faccia tutte bene è sbagliato, ma certo assumersi un peso quale quello che porta e reggere un governo quanto mai strampalato nella composizione delle forze politiche, ma praticamente tutte dentro non essendo esse in grado di esprimere nessuna alternativa, non è facile. Oggi, poi, dopo l'uscita di Angela Merkel ci sembra di capire che è l'Europa stessa a chiedere a Draghi di raccoglierne il testimone di ruolo, a dimostrazione di quanto l'Italia invasa dai populismi vaniloquenti e distruttivi, giocando se stessa giochi pure l'Europa.
In un Paese democraticamente depresso quale è il nostro Mario Draghi, con la pazienza del tessitore e il pragmatismo del fare ci permette di guardare avanti, di avere ancora speranza, di traguardare un possibile futuro le cui prime avvisaglie le avremo a dicembre quando la Commissione comincerà a farci le pulci sulla prima tranche di finanziamento ricevuto. Insomma, se non altro, Draghi, nella sua non molto eloquesnte compostezza, serve per sperare in un domani di ripresa.
Mario Draghi, quindi, rappresenta un polo forte di tenuta di un sistema che, peraltro, bisognerebbe pensare anche a ricostituire. L'altro polo è rappresentato da Sergio Mattarella che l'anno prossimo scade facendo sapere che non ha nessuna intenzione di tornare ancora al Quirinale. E, a meno di un anno dalla scadenza presidenziale, ci saranno le elezioni politiche. Una strada tortuosa e difficile lungo la quale può succedere di tutto e, naturalmente, ogni evento porta con sé le sue conseguenze.
Sergio Mattarella che tiene molto al perfezionismo costituzionale non può non sapere quanto la sostanza della Costituzione – ci sia passato il bisticcio – non sia la forma,ma la politica democratica;in questo caso, il bene del Paese, detto in termini addirittura asseverativi. E siamo convinti, per quanto concerne il rapporto Draghi-Europa che ciò valga anche per quello Mattarella-Europa. Nello sforzo di ridare slancio e un po' di normalità al Paese Draghi e Mattarella sono politicamente zigotici; ossia, sono i due piloni centrali su cui poggia il ponte da attraversare; se uno dei due venisse meno la situazione generale sconterebbe pesanti conseguenze. Crediamo che Sergio Mattarella debba accettare il sacrificio di restare al Quirinale fino alla scadenza elettorale; una rielezione sì, ma dal segno molto diverso di quella di Giorgio Napolitano il quale permise che lo rieleggessero a fronte di una classe politica smarrita, imbelle,paurosa e incapace;assediata,per lo più da una piazza inferocita alla quale non sapeva contrapporre la ragione della politica e la dignità del Parlamento. Sbagliò Napolitano ad accettare di essere rieletto,mentre doveva richiamare severamente i parlamentari elettori a far valere, senza farsi impaurire dagli urli di una piazza pilotata dal populismo, le fondamentali primarie prerogative di serietà e di responsabilità. Sicuramente pensò che la sua rielezione fosse utile a togliere le castagne che sembrava difficile tirar fuori dal fuoco: in effetti non si trattò di un atto catalogabile quale pedagogia civile. Come è avvenuto in certi conclavi nei quali i cardinali non riuscivano a far uscire un Papa, così i nostri parlamentari dovevano rimanere “chiusi” a Montecitorio fino a che non avessero scelto il nuovo Presidente testimoniando, in tal modo, non solo di aver assolto al loro compito in quel momento, ma anche – ed è ciò che conta – la supremazia e la dignità del Parlamento.
Nell'attuale fase di emergenza la riconferma, se non altro per pochi mesi, di Sergio Mattarella sarebbe rispondente alla fase emergenziale del Paese nonché un significativo segnale dell'Italia all'Europa. Poi, con le elezioni politiche, è chiaro che le cose prenderanno chissà quale corso senza che, adesso ci si strizzi il cervello a ipotizzare quale possa essere il futuro di Draghi.
In conclusione: dalla “rottura” dell'asse istituzionale Mattarella – Draghi non solo l Paese non avrebbe niente da guadagnare, ma che l'Italia in questo momento non se lo può permettere.
Oggi Draghi rappresenta la rimessa in campo dello Stato di un Paese dalla struttura debole che ha bisogno dell'Europa per rialzarsi, indipendentemente da tutto; addirittura dalla stessa politica che, come le cronache ci dicono, non esiste essendosi ridotta solo a un comunicazionismo populistico che, spacciandosi per politica, vagola per i meandri più vari del Paese alla ricerca di un sempre maggiore consenso. L'idea di un Paese quale pensiero storico-politico compiuto non esiste e, se ciò non c'è, non può esservi nemmeno quanto a ciò è consustanziale: vale a dire la ripresa di una dimensione politica che è progetto ideale e realizzazione pratica. E, naturalmente, è pure movimento che riguarda le opinioni, le classi, le realtà associative, la creatività della società e così via. Nell'Italia senza partiti ,ma con tanti capi-partito, di tutto ciò non esiste niente e venendo meno, progressivamente, la coesione morale del sistema, per evitare lo sfascio, era necessario giocare una carta e una soluzione che, da un lato, permettesse, per una qualche parte, di liberare il sistema dal logorio inferto dai soggetti politici e, dall'altra, confermare sul campo che l'Italia è Europa e che, quindi, quanto da questa a essa destinato per la sua ripresa generale è in buone mani.
L'Europa, infatti, sull'Italia gioca in buona parte se stessa e una cosa è doversi raffrontare a un Conte ispirato da Bettini – nella considerazione più alta che si può avere dell'ex avvocato del popolo – un' altra, da una personalità che è uno dei volti dell'Europa medesima. sicuramente Draghi non è un demiurgo e ritenere che le faccia tutte bene è sbagliato, ma certo assumersi un peso quale quello che porta e reggere un governo quanto mai strampalato nella composizione delle forze politiche, ma praticamente tutte dentro non essendo esse in grado di esprimere nessuna alternativa, non è facile. Oggi, poi, dopo l'uscita di Angela Merkel ci sembra di capire che è l'Europa stessa a chiedere a Draghi di raccoglierne il testimone di ruolo, a dimostrazione di quanto l'Italia invasa dai populismi vaniloquenti e distruttivi, giocando se stessa giochi pure l'Europa.
In un Paese democraticamente depresso quale è il nostro Mario Draghi, con la pazienza del tessitore e il pragmatismo del fare ci permette di guardare avanti, di avere ancora speranza, di traguardare un possibile futuro le cui prime avvisaglie le avremo a dicembre quando la Commissione comincerà a farci le pulci sulla prima tranche di finanziamento ricevuto. Insomma, se non altro, Draghi, nella sua non molto eloquesnte compostezza, serve per sperare in un domani di ripresa.
Mario Draghi, quindi, rappresenta un polo forte di tenuta di un sistema che, peraltro, bisognerebbe pensare anche a ricostituire. L'altro polo è rappresentato da Sergio Mattarella che l'anno prossimo scade facendo sapere che non ha nessuna intenzione di tornare ancora al Quirinale. E, a meno di un anno dalla scadenza presidenziale, ci saranno le elezioni politiche. Una strada tortuosa e difficile lungo la quale può succedere di tutto e, naturalmente, ogni evento porta con sé le sue conseguenze.
Sergio Mattarella che tiene molto al perfezionismo costituzionale non può non sapere quanto la sostanza della Costituzione – ci sia passato il bisticcio – non sia la forma,ma la politica democratica;in questo caso, il bene del Paese, detto in termini addirittura asseverativi. E siamo convinti, per quanto concerne il rapporto Draghi-Europa che ciò valga anche per quello Mattarella-Europa. Nello sforzo di ridare slancio e un po' di normalità al Paese Draghi e Mattarella sono politicamente zigotici; ossia, sono i due piloni centrali su cui poggia il ponte da attraversare; se uno dei due venisse meno la situazione generale sconterebbe pesanti conseguenze. Crediamo che Sergio Mattarella debba accettare il sacrificio di restare al Quirinale fino alla scadenza elettorale; una rielezione sì, ma dal segno molto diverso di quella di Giorgio Napolitano il quale permise che lo rieleggessero a fronte di una classe politica smarrita, imbelle,paurosa e incapace;assediata,per lo più da una piazza inferocita alla quale non sapeva contrapporre la ragione della politica e la dignità del Parlamento. Sbagliò Napolitano ad accettare di essere rieletto,mentre doveva richiamare severamente i parlamentari elettori a far valere, senza farsi impaurire dagli urli di una piazza pilotata dal populismo, le fondamentali primarie prerogative di serietà e di responsabilità. Sicuramente pensò che la sua rielezione fosse utile a togliere le castagne che sembrava difficile tirar fuori dal fuoco: in effetti non si trattò di un atto catalogabile quale pedagogia civile. Come è avvenuto in certi conclavi nei quali i cardinali non riuscivano a far uscire un Papa, così i nostri parlamentari dovevano rimanere “chiusi” a Montecitorio fino a che non avessero scelto il nuovo Presidente testimoniando, in tal modo, non solo di aver assolto al loro compito in quel momento, ma anche – ed è ciò che conta – la supremazia e la dignità del Parlamento.
Nell'attuale fase di emergenza la riconferma, se non altro per pochi mesi, di Sergio Mattarella sarebbe rispondente alla fase emergenziale del Paese nonché un significativo segnale dell'Italia all'Europa. Poi, con le elezioni politiche, è chiaro che le cose prenderanno chissà quale corso senza che, adesso ci si strizzi il cervello a ipotizzare quale possa essere il futuro di Draghi.
In conclusione: dalla “rottura” dell'asse istituzionale Mattarella – Draghi non solo l Paese non avrebbe niente da guadagnare, ma che l'Italia in questo momento non se lo può permettere.