"LA DESTRA AL GOVERNO" di Paolo Bagnoli
26-12-2022 - EDITORIALE
All'arrivo della destra al governo scrivevamo che sicuramente la prima cosa a cambiare sarebbe stato il clima culturale del Paese. Infatti, quello culturale è il terreno che, ai fini della legittimazione del “rientro” nella storia d'Italia dopo oltre settantacinque anni degli eredi del neofascismo - il riscatto cui aveva accennato Giorgia Meloni la notte della vittoria - sarebbe stato il luogo principale da conquistare. Prima dei programmi di governo – che, peraltro, non ci sono come ha dimostrato la vicenda della manovra di bilancio; la parola d'ordine della Meloni era “pronti” e si è visto che lo erano solo a non saper dove e come mettere le mani – interesse primario della destra è far avvertire che è cambiato il vento. Basta ascoltare la Meloni per capire quanto impegno e quanta attenzione metta nelle parole che usa anche se il tono è ancora quello dell'arringa ai camerati di sezione. Ciò che conta è rappresentare un profilo identitario e produrre soprattutto propaganda. Non importa se contraddittoria. In televisione il presidente del consiglio ha dichiarato che lei “non ha paura di niente”; infatti, il capo non può averne. Ne fa eccezione una :”solo la paura di deludere.” La prima delusione, però, è già arrivata con la prima bugia: ”pronti” aveva urlato ai quattro venti ed era solo uno slogan per mobilitare. Su altro non ha dimostrato di essere pronta. Davanti alla comunità ebraica, alcuni giorni orsono, ha denunciato “l'ignominia delle leggi razziali”; una posizione giusta e apprezzabile – diremmo addirittura doverosa - ma svolazzante se non ancorata al giudizio su chi quelle leggi fece e applicò, ossia il fascismo. Ciò implica, per derivazione naturale, pure la chiamata in causa di Giorgio Almirante, già segretario del Movimento Sociale Italiano che ella considera come il riferimento primo della propria identità politica già segretario di redazione dell'ignominioso giornale fascista “La difesa della razza” diretto da Telesio Interlandi, uscito dall'agosto 1938 al giugno 1943, fondato dallo stesso Mussolini che aveva come scopo fondamentale l'antisemitismo di Stato. Un altro esempio della “non paura” è l'ostilità al Mes che Giorgia Meloni non sottoscriverà mai senza sapere che esso rappresenta il secondo fondamentale pilastro per riformare, rafforzandolo, il sistema bancario europeo. Non aderirvi significa far saltare tutto: non solo è sbagliato, ma può l'Italia della quale a ogni piè sospinto si ricorda che è uno Stato fondatore dell'Europa, aassumersi una così pesante responsabilità? Sottoscriverlo non significa usufruire del Fondo salva stati, cosa di cui speriamo di non avere mai bisogno, ma anche la Grecia che l'ha gravemente subito con vergognosa vicenda, l'ha firmato. E allora? Un proverbio dice che “con acqua e chiacchiere non si fan le frittelle” e la vicenda del POS ci dice che, quando lo ritiene, l'Europa può far cambiare idea.
Tutto sommato, la conquista del luogo culturale è un'impresa facile poiché l'opposizione spende tante parole che sembrano uscire più dai polmoni che dal cervello – da quello politico, naturalmente – poiché essa deficita totalmente di una cultura politica definita. Il Pd è l'espressione della tragicommedia del vuoto; l'unica identità che riesce a far vedere si riduce alle procedure, per il resto non riesce a spiccicare parole. In tal modo finisce per essere il migliore, se pur indiretto, alleato di un governo la cui maggioranza è compatta come un corpo mal riuscito. Il Pd, poi, dopo lo scandalo dell'eurocorruzione è ancora più allo sbando; da quella parte non può oggettivamente venire niente di forte; i recenti sondaggi ne registrano una caduta verso il basso e danno subito il polso del processo disgregativo in cui si dibatte.
Il campo della cultura, quindi, quale terreno primario per affermare il cambiamento. Non ci riferiamo alle nomine in qualche ente culturale o alla Rai. Sono cose che non stupiscono in quanto, avendo vinto, fanno quello che hanno fatto tutti i precedenti vincitori; bensì ad altro, all'impegno nell'affermare un nuovo canone nel modo di sentirsi italiani e di interpretare l'italianità. L'intento è chiaro: impiantare radici specificatamente culturali che diano senso a ciò, con il proposito di mettere le mani sulla Costituzione – errore fatto anche dal centro sinistra, ripetutamente – per affermare concretamente cosa vuol dire costruire un'altra faccia dell'Italia. E' un'ambiziosa operazione d'intervento politico maxillo facciale per cambiare il profilo del Paese saltando il dato immateriale: vale a dire, la ragione morale che è alla base della nostra ultradecennale crisi politico-istituzionale. Il binario delle convergenze parallele è stato attivato, se poi esso condurrà alla meta desiderata solo i fatti e il tempo lo diranno. Certo che, in un Paese smarrito, impaurito per il proprio futuro, impoverito dalla crisi economica e dall'aggravarsi ulteriore della già troppo malfunzionante macchina pubblica – il settore della sanità è un esempio che ne raccoglie tutti gli altri : nella manovra di bilancio è stato anche colpevolmente trascurato– essa potrebbe anche riuscire. Il tempo, appunto, lo dirà. Ma se anche l'opposizione sociale, rappresentata dai sindacati, fa la corsa sul posto – vedi i recenti scioperi regionali - ecco che il dualismo amico-nemico sul quale Carl Schmitt interpreta la politica va a gambe quarantotto poiché il nemico, ossia colui che si oppone, non esiste nell'effettualità della contrapposizione e poiché l'Italia – come diceva Ennio Flaiano – è un Paese nel quale si è usi andare in aiuto del vincitore, chi vince ha buone probabilità d' incrementare la propria vincita.
Nella recente celebrazione romana per i dieci anni dei Fratelli d'Italia, inneggiando a un nuovo vitalismo culturale, si è fatto riferimento, quali pilastri di un “pensiero italiano” fondante quella che si propone di essere una “rivoluzione nazionale”, ai futuristi (coloro che sostenevano essere la guerra la sola igiene del mondo!), ad Ardengo Soffici, a Giovanni Papini e a Giovanni Prezzolini. Rispetto, naturalmente, per la scelta che ognuno voglia fare, ma, in quest'insieme, estetismo letterario, provincialismo, fascismo, conservatorismo cattolico animato da una presunta e colonialistica superiorità della cultura latina ed elogio dell'antipolitica, si mixano in modo paradigmatico. Comprendiamo, e non condividiamo naturalmente, l'intenzione di voler realizzare una rivoluzione culturale dal forte sapore nazionale, ma le rivoluzioni, di solito, si fanno guardando avanti non nello specchietto retrovisore della storia. Altro che rivoluzione; il senso politico è quello della restaurazione; per di più, di una confusa restaurazione. Chissà se,ai nomi di cui sopra, tra un po', non troveremo anche quelli di Enrico Corradini e di Julius Evola? Non ci sarebbe di che stupirsi.
Accanto al binario di cui sopra corre quello del cambiamento della Costituzione. Non solo perché si dichiara a ogni pié sospinto di trasformare la Repubblica in un ordinamento presidenziale o semi presidenziale – già dicendo così si palesa l'ignoranza in merito alle due forme- ma, nella delicata materia, ciò che subito viene esposto in prima linea è il cambiamento della Carta relativamente alla questione della giustizia aperta oramai da troppo tempo. L'autorevolezza di Carlo Nordio, già pm e oggi Ministro della Giustizia, ha fatto assumere alla linea che intende perseguire una grande eco.
Quali garantisti siamo fermi assertori che occorra, per il bene della Repubblica e della politica democratica, che la magistratura rientri istituzionalmente nei ranghi, cessi dalla referenziale funzione di riserva virtuosa della politica tornando a essere un ordine dello Stato e non un potere condizionante e invadente della democrazia. Compito della politica è di rendere il settore in grado di essere efficiente e, quindi, al pari per esempio della scuola e dell'Università, quello della giustizia rappresenta una questione primaria. Il nostro modesto parere parte da questa osservazione: quello della giustizia è un problema tecnico o un problema politico? Vale a dire se, per la salute della Repubblica democratica, quanto a cui abbiamo assistito nell'esercizio della giurisdizione pone un problema morale oppure no? Per noi sì pone un grande problema morale. Se così è, si ritiene che separando le carriere e abolendo l ‘obbligatorietà dell'azione penale esso sia risolto? Crediamo proprio di no poiché non esistono soluzioni tecniche che risolvano i problemi politici. Mettendo, per un attimo, da parte ognuna delle due questioni – separazione delle carriere e abolizione dell'obbligatorietà, che richiedono naturalmente ragionamenti complessi che esulano da queste considerazioni – non è forse che il nodo al cuore del sistema giudiziario, che abbiamo definito morale, riguarda il modo di interpretare l'autonomia che la magistratura deve avere e che crediamo debba pure essere rafforzata a garanzia della legalità repubblicana? Essa viene minata quando l'azione penale non risponde allo spirito del diritto e alla lettera della legge - per esempio non le intercettazioni, ma l'uso privatistico che ne viene talora fatto - bensì ad altri fini che finiscono per intaccare con gravi danni la vita civile e politica del Paese? La questione non è certo di facile soluzione, ma una politica che non trova soluzioni all'altezza del problema da affrontare viene meno alla propria funzione; nello specifico, a una funzione vitale per la vita democratica della Repubblica. Se non si afferma la soluzione morale come si pensa di impedire che il pm non sia – sono parole di Nordio – l' “unico potere al mondo con facoltà esecutive enormi senza avere alcuna responsabilità.”?
Il ministro ha ragione, ma siamo sicuri che la separazione della carriere abbia la facoltà di risolvere la questione? E che autonomia è quella nella quale l'organo di rappresentanza e di gestione del comparto non si esprime e agisce in presenza di quanto Nordio denuncia? Se il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica un significato preciso ciò l'avrà e perché il CSM si comporta con correnti che di fatto agiscono come partiti politici interni – con tutte le conseguenze del caso – e non come organismo al servizio del l'interesse supremo della Repubblica e non per pilotare carriere e interessi corporativi? Anche in questo caso non possiamo dire come andrà a finire, ma di sicuro si rischia, se non si parte dalla questione morale che la giustizia pone; se non si risolve quanto andrebbe risolto viene di fatto ad aprirsi la porta per il cambiamento della forma dello Stato; introdurre il presidenzialismo quale istituzione democratica, ma concepita in forma autoritativa stravolgendo l'intero impianto: operazione facilitata dal contesto di debolezza e fragilità politico-istituzionale del Paese. Infine, sempre sulla giustizia, non crediamo che la proposta di istituire una commissione d'inchiesta su Mani Pulite sia da perseguire; non perché impropria in sé e per sé, ma in quanto è una predica che viene da un pulpito sbagliato. Non siamo di quelli che credono che la storia spetti solo agli storici. Il Parlamento è al di sopra degli storici e i meriti storici della commissione Anselmi sulla P2 valgono e pesano di più di qualunque libro, compreso quello del più valido studioso. Ora, mentre quella presieduta da Tina Anselmi non fu mossa da vendetta, ma dall'accertamento della verità, se la proposta di Forza Italia dovesse aver corso sarebbe solo, o quasi, per giocare una rivincita vincente solo nel vedere i pm protagonisti di quella stagione giustizialista che ha prodotto più danni che benefici alla Repubblica, chiamati a testimoniare.
La destra ha vinto arrivando alla conquista del governo senza una classe politica adeguata, senza un programma e sostanziale assenza di cultura istituzionale. Un esempio per tutti. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, non ci sembra ancora aver compreso cosa significa essere la seconda carica dello Stato. Non perde occasione per dire la sua come ha fatto, per esempio, in occasione della differenziazione nel voto sul reintegro dei medici novax che ha visto la senatrice Licia Ronzulli votare contro oppure fare una proposta che non gli compete sull'istituzione di quaranta giorni estivi di naja per i giovani che bramino l'ebbrezza della caserma e della vita militare. Ancora, quando commentando gli applausi che il pubblico della Scala ha tributato a Sergio Mattarella ha ritenuto di sottolineare come il presidente della Repubblica, volgendosi verso il Presidente del Consiglio, abbia chiaramente fatto capire che l'ovazione era sì per lui, ma non solo. Non sappiamo, né sapremo mai, se quel girare la testa da parte di Mattarella avesse un significato oppure fosse solo un movimento così, come capita a tutti di fare, per cui ogni attribuzione è priva di senso. Tuttavia, con quella dichiarazione La Russa ha voluto fai intendere che anche Giorgia Meloni è finalmente “la Repubblica”; ecco, ha inteso dire, ci siamo, il pubblico ci applaude, ci legittima, ci riconosce nel nostro essere la destra che torna. Per riandare alla proposta della vacanza estiva nelle caserme, al di là di tutto quanto si può dire dalla ridicolezza della medesima nonché delle difficoltà per attuarla, essa ci sembra solo il frutto, da un lato, di una infantile, irrefrenabile, bramosia di fare notizia e, dall'altro, della mancanza di stile nell' esercitare l'alto ruolo cui è stato chiamato.
Qualcuno sembra averglielo fatto notare che il ruolo ricoperto impone altro, ma piccato ha risposto che lui fa politica e che, per dirigere il traffico, basta un semaforo. Poi, riprendendo Luciano Violante che parificò la scelta di Salò a quella partigiana, ha solennemente dichiarato che lui lavora alla pacificazione, in altri termini al disconoscimento che ci sono state due Italie che, per quanto avessero fatto scelte antitetiche come sono quelle a favore della libertà e contro di essa, entrambe sono legittime. No presidente La Russa: c'era un'Italia giusta e una sbagliata e la Repubblica è nata da quella giusta che ha pacificato, nell'affermazione della Carta costituzionale che si è data, il Paese. Questa è la realtà. Se La Russa la pensa diversamente non è per questo che essa cambi; sappia, inoltre, che ciò è fondamentale per il nostro vivere civile. Infatti, anche se troppi sembrano averlo dimenticato, l'antifascismo è alla base della nostra vita democratica per cui dovrebbe esserlo anche dell'etica repubblicana.
In occasione dell'incontro con la stampa parlamentare per lo scambio degli auguri La Russa, venendo meno ai comportamenti d'uso, ha dato il meglio di sé rompendo una tradizione consona alla carica ricoperta. Nell'occasione ha detto che alle celebrazioni del 25 aprile ci sarà e che quando era ministro della difesa depositò una corona di fiori in ricordo dei caduti per la libertà. Ma il problema non sono i riti formali cui non può esimersi chi ricopre alte cariche dello Stato e siamo sicuri che il 25 aprile La Russa sarà coi fiori, diciamo, all'Altare della Patria. Così come nessuno gli chiede di partecipare al corteo che ogni anno si svolge a Milano; tra l'altro, nessun presidente del Senato, a nostra memoria, vi ha mai partecipato. La motivazione che ha apportato è che, in quel corteo, incontra difficoltà a sfilare anche la Brigata Ebraica: figurarsi quanti ne incontrerebbe lui. Di sicuro ne incontrerebbe. Ma, ci permetta il presidente La Russa, egli ha sbagliato argomento perché, forse, i primi a creare problemi a lui sarebbe proprio chi sfila per la Brigata Ebraica, per le stesse ragioni di cui abbiamo sopra scritto a proposito della visita del presidente Meloni alla Comunità ebraica di Roma. Ma come si concilia il riconoscimento del 25 aprile con il riaffermato personale impegno a “pacificare”, ossia a legittimare chi, invece della lotta per la libertà, scelse quella per soffocarla? Forse nella sua visione significa buttarsi tutto dietro le spalle, ma questo non è possibile, sarebbe un gesto contronatura per la Repubblica che nata per la vittoria dell'antifascismo ed essa sarà forte fino a che tale incontrovertibile dato storico rimarrà vivo, non tanto nella storia, poiché lo è già, ma nella politica ove sembra talora un po' troppo annebbiato. Non si sfugge: Fratelli d'Italia deve fare i conti con la storia, con la storia da cui provengono ;il resto appartiene alla colpevole furberia italica.
Per raddrizzare la barra l'Italia ha bisogno di ricostruire la politica e la propria classe dirigente sul fondamento dell' etica repubblicana. Solo così il problema morale che richiede il suo rinnovamento può essere possibile. Poi, nella dialettica democratica di cui la Costituzione segna i valori, si possono alternare in maturità repubblicana schieramenti diversi alla guida del Paese. Se esistesse la sinistra toccherebbe a essa muovere i primi passi in questa direzione, ma forse, ed è amaro constatarlo, essa non c'è anche perché l'etica repubblicana sembra solo una bella espressione e non la sostanza del nostro essere liberi e democratici.
Tutto sommato, la conquista del luogo culturale è un'impresa facile poiché l'opposizione spende tante parole che sembrano uscire più dai polmoni che dal cervello – da quello politico, naturalmente – poiché essa deficita totalmente di una cultura politica definita. Il Pd è l'espressione della tragicommedia del vuoto; l'unica identità che riesce a far vedere si riduce alle procedure, per il resto non riesce a spiccicare parole. In tal modo finisce per essere il migliore, se pur indiretto, alleato di un governo la cui maggioranza è compatta come un corpo mal riuscito. Il Pd, poi, dopo lo scandalo dell'eurocorruzione è ancora più allo sbando; da quella parte non può oggettivamente venire niente di forte; i recenti sondaggi ne registrano una caduta verso il basso e danno subito il polso del processo disgregativo in cui si dibatte.
Il campo della cultura, quindi, quale terreno primario per affermare il cambiamento. Non ci riferiamo alle nomine in qualche ente culturale o alla Rai. Sono cose che non stupiscono in quanto, avendo vinto, fanno quello che hanno fatto tutti i precedenti vincitori; bensì ad altro, all'impegno nell'affermare un nuovo canone nel modo di sentirsi italiani e di interpretare l'italianità. L'intento è chiaro: impiantare radici specificatamente culturali che diano senso a ciò, con il proposito di mettere le mani sulla Costituzione – errore fatto anche dal centro sinistra, ripetutamente – per affermare concretamente cosa vuol dire costruire un'altra faccia dell'Italia. E' un'ambiziosa operazione d'intervento politico maxillo facciale per cambiare il profilo del Paese saltando il dato immateriale: vale a dire, la ragione morale che è alla base della nostra ultradecennale crisi politico-istituzionale. Il binario delle convergenze parallele è stato attivato, se poi esso condurrà alla meta desiderata solo i fatti e il tempo lo diranno. Certo che, in un Paese smarrito, impaurito per il proprio futuro, impoverito dalla crisi economica e dall'aggravarsi ulteriore della già troppo malfunzionante macchina pubblica – il settore della sanità è un esempio che ne raccoglie tutti gli altri : nella manovra di bilancio è stato anche colpevolmente trascurato– essa potrebbe anche riuscire. Il tempo, appunto, lo dirà. Ma se anche l'opposizione sociale, rappresentata dai sindacati, fa la corsa sul posto – vedi i recenti scioperi regionali - ecco che il dualismo amico-nemico sul quale Carl Schmitt interpreta la politica va a gambe quarantotto poiché il nemico, ossia colui che si oppone, non esiste nell'effettualità della contrapposizione e poiché l'Italia – come diceva Ennio Flaiano – è un Paese nel quale si è usi andare in aiuto del vincitore, chi vince ha buone probabilità d' incrementare la propria vincita.
Nella recente celebrazione romana per i dieci anni dei Fratelli d'Italia, inneggiando a un nuovo vitalismo culturale, si è fatto riferimento, quali pilastri di un “pensiero italiano” fondante quella che si propone di essere una “rivoluzione nazionale”, ai futuristi (coloro che sostenevano essere la guerra la sola igiene del mondo!), ad Ardengo Soffici, a Giovanni Papini e a Giovanni Prezzolini. Rispetto, naturalmente, per la scelta che ognuno voglia fare, ma, in quest'insieme, estetismo letterario, provincialismo, fascismo, conservatorismo cattolico animato da una presunta e colonialistica superiorità della cultura latina ed elogio dell'antipolitica, si mixano in modo paradigmatico. Comprendiamo, e non condividiamo naturalmente, l'intenzione di voler realizzare una rivoluzione culturale dal forte sapore nazionale, ma le rivoluzioni, di solito, si fanno guardando avanti non nello specchietto retrovisore della storia. Altro che rivoluzione; il senso politico è quello della restaurazione; per di più, di una confusa restaurazione. Chissà se,ai nomi di cui sopra, tra un po', non troveremo anche quelli di Enrico Corradini e di Julius Evola? Non ci sarebbe di che stupirsi.
Accanto al binario di cui sopra corre quello del cambiamento della Costituzione. Non solo perché si dichiara a ogni pié sospinto di trasformare la Repubblica in un ordinamento presidenziale o semi presidenziale – già dicendo così si palesa l'ignoranza in merito alle due forme- ma, nella delicata materia, ciò che subito viene esposto in prima linea è il cambiamento della Carta relativamente alla questione della giustizia aperta oramai da troppo tempo. L'autorevolezza di Carlo Nordio, già pm e oggi Ministro della Giustizia, ha fatto assumere alla linea che intende perseguire una grande eco.
Quali garantisti siamo fermi assertori che occorra, per il bene della Repubblica e della politica democratica, che la magistratura rientri istituzionalmente nei ranghi, cessi dalla referenziale funzione di riserva virtuosa della politica tornando a essere un ordine dello Stato e non un potere condizionante e invadente della democrazia. Compito della politica è di rendere il settore in grado di essere efficiente e, quindi, al pari per esempio della scuola e dell'Università, quello della giustizia rappresenta una questione primaria. Il nostro modesto parere parte da questa osservazione: quello della giustizia è un problema tecnico o un problema politico? Vale a dire se, per la salute della Repubblica democratica, quanto a cui abbiamo assistito nell'esercizio della giurisdizione pone un problema morale oppure no? Per noi sì pone un grande problema morale. Se così è, si ritiene che separando le carriere e abolendo l ‘obbligatorietà dell'azione penale esso sia risolto? Crediamo proprio di no poiché non esistono soluzioni tecniche che risolvano i problemi politici. Mettendo, per un attimo, da parte ognuna delle due questioni – separazione delle carriere e abolizione dell'obbligatorietà, che richiedono naturalmente ragionamenti complessi che esulano da queste considerazioni – non è forse che il nodo al cuore del sistema giudiziario, che abbiamo definito morale, riguarda il modo di interpretare l'autonomia che la magistratura deve avere e che crediamo debba pure essere rafforzata a garanzia della legalità repubblicana? Essa viene minata quando l'azione penale non risponde allo spirito del diritto e alla lettera della legge - per esempio non le intercettazioni, ma l'uso privatistico che ne viene talora fatto - bensì ad altri fini che finiscono per intaccare con gravi danni la vita civile e politica del Paese? La questione non è certo di facile soluzione, ma una politica che non trova soluzioni all'altezza del problema da affrontare viene meno alla propria funzione; nello specifico, a una funzione vitale per la vita democratica della Repubblica. Se non si afferma la soluzione morale come si pensa di impedire che il pm non sia – sono parole di Nordio – l' “unico potere al mondo con facoltà esecutive enormi senza avere alcuna responsabilità.”?
Il ministro ha ragione, ma siamo sicuri che la separazione della carriere abbia la facoltà di risolvere la questione? E che autonomia è quella nella quale l'organo di rappresentanza e di gestione del comparto non si esprime e agisce in presenza di quanto Nordio denuncia? Se il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica un significato preciso ciò l'avrà e perché il CSM si comporta con correnti che di fatto agiscono come partiti politici interni – con tutte le conseguenze del caso – e non come organismo al servizio del l'interesse supremo della Repubblica e non per pilotare carriere e interessi corporativi? Anche in questo caso non possiamo dire come andrà a finire, ma di sicuro si rischia, se non si parte dalla questione morale che la giustizia pone; se non si risolve quanto andrebbe risolto viene di fatto ad aprirsi la porta per il cambiamento della forma dello Stato; introdurre il presidenzialismo quale istituzione democratica, ma concepita in forma autoritativa stravolgendo l'intero impianto: operazione facilitata dal contesto di debolezza e fragilità politico-istituzionale del Paese. Infine, sempre sulla giustizia, non crediamo che la proposta di istituire una commissione d'inchiesta su Mani Pulite sia da perseguire; non perché impropria in sé e per sé, ma in quanto è una predica che viene da un pulpito sbagliato. Non siamo di quelli che credono che la storia spetti solo agli storici. Il Parlamento è al di sopra degli storici e i meriti storici della commissione Anselmi sulla P2 valgono e pesano di più di qualunque libro, compreso quello del più valido studioso. Ora, mentre quella presieduta da Tina Anselmi non fu mossa da vendetta, ma dall'accertamento della verità, se la proposta di Forza Italia dovesse aver corso sarebbe solo, o quasi, per giocare una rivincita vincente solo nel vedere i pm protagonisti di quella stagione giustizialista che ha prodotto più danni che benefici alla Repubblica, chiamati a testimoniare.
La destra ha vinto arrivando alla conquista del governo senza una classe politica adeguata, senza un programma e sostanziale assenza di cultura istituzionale. Un esempio per tutti. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, non ci sembra ancora aver compreso cosa significa essere la seconda carica dello Stato. Non perde occasione per dire la sua come ha fatto, per esempio, in occasione della differenziazione nel voto sul reintegro dei medici novax che ha visto la senatrice Licia Ronzulli votare contro oppure fare una proposta che non gli compete sull'istituzione di quaranta giorni estivi di naja per i giovani che bramino l'ebbrezza della caserma e della vita militare. Ancora, quando commentando gli applausi che il pubblico della Scala ha tributato a Sergio Mattarella ha ritenuto di sottolineare come il presidente della Repubblica, volgendosi verso il Presidente del Consiglio, abbia chiaramente fatto capire che l'ovazione era sì per lui, ma non solo. Non sappiamo, né sapremo mai, se quel girare la testa da parte di Mattarella avesse un significato oppure fosse solo un movimento così, come capita a tutti di fare, per cui ogni attribuzione è priva di senso. Tuttavia, con quella dichiarazione La Russa ha voluto fai intendere che anche Giorgia Meloni è finalmente “la Repubblica”; ecco, ha inteso dire, ci siamo, il pubblico ci applaude, ci legittima, ci riconosce nel nostro essere la destra che torna. Per riandare alla proposta della vacanza estiva nelle caserme, al di là di tutto quanto si può dire dalla ridicolezza della medesima nonché delle difficoltà per attuarla, essa ci sembra solo il frutto, da un lato, di una infantile, irrefrenabile, bramosia di fare notizia e, dall'altro, della mancanza di stile nell' esercitare l'alto ruolo cui è stato chiamato.
Qualcuno sembra averglielo fatto notare che il ruolo ricoperto impone altro, ma piccato ha risposto che lui fa politica e che, per dirigere il traffico, basta un semaforo. Poi, riprendendo Luciano Violante che parificò la scelta di Salò a quella partigiana, ha solennemente dichiarato che lui lavora alla pacificazione, in altri termini al disconoscimento che ci sono state due Italie che, per quanto avessero fatto scelte antitetiche come sono quelle a favore della libertà e contro di essa, entrambe sono legittime. No presidente La Russa: c'era un'Italia giusta e una sbagliata e la Repubblica è nata da quella giusta che ha pacificato, nell'affermazione della Carta costituzionale che si è data, il Paese. Questa è la realtà. Se La Russa la pensa diversamente non è per questo che essa cambi; sappia, inoltre, che ciò è fondamentale per il nostro vivere civile. Infatti, anche se troppi sembrano averlo dimenticato, l'antifascismo è alla base della nostra vita democratica per cui dovrebbe esserlo anche dell'etica repubblicana.
In occasione dell'incontro con la stampa parlamentare per lo scambio degli auguri La Russa, venendo meno ai comportamenti d'uso, ha dato il meglio di sé rompendo una tradizione consona alla carica ricoperta. Nell'occasione ha detto che alle celebrazioni del 25 aprile ci sarà e che quando era ministro della difesa depositò una corona di fiori in ricordo dei caduti per la libertà. Ma il problema non sono i riti formali cui non può esimersi chi ricopre alte cariche dello Stato e siamo sicuri che il 25 aprile La Russa sarà coi fiori, diciamo, all'Altare della Patria. Così come nessuno gli chiede di partecipare al corteo che ogni anno si svolge a Milano; tra l'altro, nessun presidente del Senato, a nostra memoria, vi ha mai partecipato. La motivazione che ha apportato è che, in quel corteo, incontra difficoltà a sfilare anche la Brigata Ebraica: figurarsi quanti ne incontrerebbe lui. Di sicuro ne incontrerebbe. Ma, ci permetta il presidente La Russa, egli ha sbagliato argomento perché, forse, i primi a creare problemi a lui sarebbe proprio chi sfila per la Brigata Ebraica, per le stesse ragioni di cui abbiamo sopra scritto a proposito della visita del presidente Meloni alla Comunità ebraica di Roma. Ma come si concilia il riconoscimento del 25 aprile con il riaffermato personale impegno a “pacificare”, ossia a legittimare chi, invece della lotta per la libertà, scelse quella per soffocarla? Forse nella sua visione significa buttarsi tutto dietro le spalle, ma questo non è possibile, sarebbe un gesto contronatura per la Repubblica che nata per la vittoria dell'antifascismo ed essa sarà forte fino a che tale incontrovertibile dato storico rimarrà vivo, non tanto nella storia, poiché lo è già, ma nella politica ove sembra talora un po' troppo annebbiato. Non si sfugge: Fratelli d'Italia deve fare i conti con la storia, con la storia da cui provengono ;il resto appartiene alla colpevole furberia italica.
Per raddrizzare la barra l'Italia ha bisogno di ricostruire la politica e la propria classe dirigente sul fondamento dell' etica repubblicana. Solo così il problema morale che richiede il suo rinnovamento può essere possibile. Poi, nella dialettica democratica di cui la Costituzione segna i valori, si possono alternare in maturità repubblicana schieramenti diversi alla guida del Paese. Se esistesse la sinistra toccherebbe a essa muovere i primi passi in questa direzione, ma forse, ed è amaro constatarlo, essa non c'è anche perché l'etica repubblicana sembra solo una bella espressione e non la sostanza del nostro essere liberi e democratici.