"IL VENTO ITALIANO" di Paolo Bagnoli
21-02-2023 - EDITORIALE
Al pari di tutti gli altri venti anche quello italiano si sa da dove viene, ma non dove va. Arriva gelido dalla crisi più che trentennale del nostro sistema democratico. Le recenti elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio lo confermano con un'astensione che viaggia in maniera così galoppante finendo per erodere la base di tenuta e di legittimazione della democrazia. Il sistema, così, si sfarina soprattutto per due ragioni: la prima è la mancanza di politica, quella vera che non è governismo e che solo veri partiti possono produrre; la seconda perché con il risultato delle elezioni politiche di settembre, ora confermato e consolidato, non sembra esserci nessuna alternativa alla destra nazionalistica che esprime il governo. Una situazione praticamente strutturale dal momento che, anche se le opposizioni si fossero tutte riunite in un solo fronte alternativo, la destra avrebbe vinto egualmente e pure con largo margine. Da qui ne consegue che l'opposizione in Parlamento avrà poco peso; lo squilibrio del sistema si accentuerà pendendo tutto a destra e, paradossalmente, il fatto di non avere una opposizione politicamente viva non gioverà nemmeno a chi ha la responsabilità del governo. Psicologicamente, poi, ciò si traduce nella convinzione che è inutile andare a votare tanto si sa già chi vincerà.
Il partito del presidente del consiglio dalle prove elettorali è uscito alla grande pur non riprendendo gli stessi voti delle politiche,- anche la Lega ne ha persi in valore assoluto – ma poiché la presenza alle urne è stata solo del 40% è chiaro che il risultato percentuale è cresciuto. Ciò, naturalmente, non risolve le difficoltà che il governo per dati oggettivi, impreparazione e carenza di classe politica adeguata, deve affrontare. E che la paura serpeggi forte sotto le foglie di una facciata che vuole trasmettere sicurezza lo dimostra il refrain sulla durata del governo e sulla compattezza della maggioranza, sul perseguire un programma votato dagli italiani. Alla fine fondare tutto sulla comunicazione metterà a nudo quanto grande sia l'assenza di un'Idea dell'Italia che, se pur vista da destra, abbia la concretezza necessaria per misurarsi con la politica delle cose. La regressione di ruolo in cui ci troviamo in Europa lo dimostra. Il governo Draghi aveva agganciato l'Italia a Francia e Germania nell'apicalità della politica europea. Non è più così e non è certo ricorrendo a toni stizziti che si può sperare di risalire la china. La mancanza di siffatta idea fa sì che la destra – a ciò indotta anche dall'anima geneticamente nazionalistica – identifichi l'Italia con se stessa rifuggendo dal rendersi conto della sua complessità. Si mostra smaniosa soprattutto di cancellare tutto quanto le sa di “rosso” come nel caso delle polemiche accese dal Festival di Sanremo che tutto è diventato fuorché l'occasione principe della canzone italiana. Diventato un grande circo di spettacolo politico esso non ha dato senso alla propria ragione di essere e per questo, caso mai, andava criticato non scaricandoci contro rabbia di valenza storica e una voglia di rivalsa anch'essa storica. Ma anche il Festival è stato l'espressione di cosa produce il vento italiano; il non saper dare senso alle cose è la prima causa di crisi del vivere civile. Lo è soprattutto per la politica poiché mina il fondamentale modello dialogante che è il presupposto stesso della democrazia, dei valori e dei comportamenti che la devono animare costituendone il motore morale indispensabile al suo essere.
La democrazia, così, non appare più un pensiero pensato; quello che esprime la nostra Costituzione che ci è parsa, nella recita di Benigni a Sanremo, più un qualcosa da commemorare che non un ancoraggio a cui tenersi stretti. Naturalmente speriamo di sbagliarci, il tempo lo dirà.
E' chiaro che il vento italiano comincia a far vedere la propria direzione. In uno Stato nel quale, da sempre, la confusione è quasi un elemento costitutivo per cui governare è sempre più complesso e difficile, la tentazione del presidenzialismo diviene più forte e giustificante nell'illusione che tale soluzione, in quanto concepita con intento autoritativo, possa essere la soluzione che ci vuole. Nessuno, peraltro, ci spiega come essa possa andare d'accordo, in uno Stato che non è federale, con l'autonomia differenziata dal momento che, per esempio, il governo riporta nelle sue mani l'esclusiva gestione del PNRR. E poi, diciamolo francamente, passare dalla Repubblica parlamentare a quella presidenziale vorrebbe dire chiudere con il fatto che la Costituzione nasce dalla Resistenza; vorrebbe dire aprire una faglia gigantesca nella storia d'Italia terremotandola sostanzialmente e, con ciò, gridare ai quattro venti che, alla fine, Giorgio Almirante l'aveva vista giusta rendendogli gli onori che, per gli ultimi eredi del neofascismo, la sua figura merita.
Il partito del presidente del consiglio dalle prove elettorali è uscito alla grande pur non riprendendo gli stessi voti delle politiche,- anche la Lega ne ha persi in valore assoluto – ma poiché la presenza alle urne è stata solo del 40% è chiaro che il risultato percentuale è cresciuto. Ciò, naturalmente, non risolve le difficoltà che il governo per dati oggettivi, impreparazione e carenza di classe politica adeguata, deve affrontare. E che la paura serpeggi forte sotto le foglie di una facciata che vuole trasmettere sicurezza lo dimostra il refrain sulla durata del governo e sulla compattezza della maggioranza, sul perseguire un programma votato dagli italiani. Alla fine fondare tutto sulla comunicazione metterà a nudo quanto grande sia l'assenza di un'Idea dell'Italia che, se pur vista da destra, abbia la concretezza necessaria per misurarsi con la politica delle cose. La regressione di ruolo in cui ci troviamo in Europa lo dimostra. Il governo Draghi aveva agganciato l'Italia a Francia e Germania nell'apicalità della politica europea. Non è più così e non è certo ricorrendo a toni stizziti che si può sperare di risalire la china. La mancanza di siffatta idea fa sì che la destra – a ciò indotta anche dall'anima geneticamente nazionalistica – identifichi l'Italia con se stessa rifuggendo dal rendersi conto della sua complessità. Si mostra smaniosa soprattutto di cancellare tutto quanto le sa di “rosso” come nel caso delle polemiche accese dal Festival di Sanremo che tutto è diventato fuorché l'occasione principe della canzone italiana. Diventato un grande circo di spettacolo politico esso non ha dato senso alla propria ragione di essere e per questo, caso mai, andava criticato non scaricandoci contro rabbia di valenza storica e una voglia di rivalsa anch'essa storica. Ma anche il Festival è stato l'espressione di cosa produce il vento italiano; il non saper dare senso alle cose è la prima causa di crisi del vivere civile. Lo è soprattutto per la politica poiché mina il fondamentale modello dialogante che è il presupposto stesso della democrazia, dei valori e dei comportamenti che la devono animare costituendone il motore morale indispensabile al suo essere.
La democrazia, così, non appare più un pensiero pensato; quello che esprime la nostra Costituzione che ci è parsa, nella recita di Benigni a Sanremo, più un qualcosa da commemorare che non un ancoraggio a cui tenersi stretti. Naturalmente speriamo di sbagliarci, il tempo lo dirà.
E' chiaro che il vento italiano comincia a far vedere la propria direzione. In uno Stato nel quale, da sempre, la confusione è quasi un elemento costitutivo per cui governare è sempre più complesso e difficile, la tentazione del presidenzialismo diviene più forte e giustificante nell'illusione che tale soluzione, in quanto concepita con intento autoritativo, possa essere la soluzione che ci vuole. Nessuno, peraltro, ci spiega come essa possa andare d'accordo, in uno Stato che non è federale, con l'autonomia differenziata dal momento che, per esempio, il governo riporta nelle sue mani l'esclusiva gestione del PNRR. E poi, diciamolo francamente, passare dalla Repubblica parlamentare a quella presidenziale vorrebbe dire chiudere con il fatto che la Costituzione nasce dalla Resistenza; vorrebbe dire aprire una faglia gigantesca nella storia d'Italia terremotandola sostanzialmente e, con ciò, gridare ai quattro venti che, alla fine, Giorgio Almirante l'aveva vista giusta rendendogli gli onori che, per gli ultimi eredi del neofascismo, la sua figura merita.
Questo vento non sembra incontrare nessun ostacolo. Se questo dovesse essere il PD, viste le dinamiche del Congresso prossimo, Fratelli d'Italia può dormire sonni tranquilli considerato che fino a questo momento non è emersa un'idea politica degna di questo nome, ma solo slogan e vaghe parole d'ordine. Come ci dicono i dati elettorali con la grande affermazione del partito dell'astensione, il PD non chiama nessuno alla lotta, non accende né entusiasmi né speranze, non invita a riscattare le tante sconfitte, delusioni ed errori. Clamoroso che non presenti nessun progetto per fare l'opposizione che interpreta come un'amara attesa per riconquistare il governo. Intossicato dal tarlo del governismo non lo sfiora la questione di riconquistare l'Italia alla politica democratica. E, come sappiamo, lo si può fare anche dall'opposizione. Certo, tessendo lodi ingiustificate a Giorgia Meloni quali quelle di Stefano Bonaccini e di Walter Veltroni, il PD l'opposizione sembra farla a se stesso.