"IL NUOVO ORDINE MONDIALE" di Paolo Bagnoli
26-03-2023 - EDITORIALE
La guerra è tornata e sembra che possa tornare ancora con un coinvolgimento ben più ampio rispetto a quello dovuto all’aggressione all’Ucraina da parte della Russia. Sempre più il conflitto in atto sembra predisporre il motivo di un maggiore tragico confronto armato al di là dello “specifico” russo-ucraino; la visita di Xi Jinping a Mosca lo ha messo sul tavolo. La definizione di un nuovo ordine mondiale è oramai al primo posto dell’agenda internazionale. Come drammaticamente ci insegna la storia, i nuovi ordini mondiali, da che mondo è mondo, si realizzano dopo un conflitto tra le parti in causa. Non averlo tenuto presente alla caduta del comunismo è uno di quegli errori che potremmo pagare caro: sicuramente, è stato un errore compiuto dall’Occidente. Si è superficialmente pensato che, uscita di scena una delle più terribili dittature che il mondo abbia conosciuto finalmente la democrazia, coi suoi buoni principi e i suoi valori, l’avesse avuta vinta una volta per tutte; che il mercato globalizzato ne costituisse l’emblema, che l’evoluzione del mondo verso la libertà fosse oramai inarrestabile. Si è trattato di un peccato di tragica superficialità che non ha tenuto conto, da un lato, della complessità del quadro mondiale e, dall’altro, che il comunismo sovietico non è caduto sconfitto dalla democrazia occidentale, ma per autodissoluzione. L'Occidente è stato a guardare. Tale atteggiamento – in un momento nel quale gli strumenti atlantici di difesa erano in fase di stanca – ha acceso la follia strategica di Putin spinto a rilanciare un disegno da sempre presente nello spirito di chi esercita il potere russo; ossia di fare della Russia una potenza preminente su un continente europeo geopoliticamente considerato nell’ampiezza che va dagli Urali all’Atlantico.
L’attacco all’Ucraina, di conseguenza ha rappresentato un passo quasi doveroso per impedire che, quanto ritenuto in ogni modo inscindibile dalla Russia, scivolasse verso il versante occidentale. In altri termini, che un luogo da sempre tutto dentro lo spirito culturale slavo e una concezione orientale del potere potesse divenire altro. A fronte di ciò l’Occidente si è mobilitato; gli Stati Uniti in testa, l’Europa al fianco, la Nato attore di sintesi e di prima linea. Lo spettro che lo scontro possa evolvere verso l’impiego delle armi nucleari più che una deterrenza pare un rischio concreto poiché ogni guerra si sa come inizia e mai come termina.
In Ucraina si gioca, quindi, una partita di grande portata. Fino a ora la Cina ha tenuto un atteggiamento di cautela. Il fatto che non abbia inviato armi a Mosca ne è la dimostrazione, ma politicamente è scesa ufficialmente in campo dicendo cosa persegue: un nuovo ordine mondiale. Quello uscito dal secondo conflitto mondiale è andato in crisi e poiché, o per una via o per un’altra, a un nuovo ordine prima o poi si arriverà, è chiaro che Pechino non lascerà che sia la Russia a fare da controparte agli Stati Uniti. Hanno ragione coloro che sostengono che se Cina e Usa trovano un accordo la guerra finisce. Xi, tuttavia, non può permettersi che Putin vinca, ma nemmeno che perda e quale possa essere il punto di caduta rimane un rebus. Non ci sarebbe da meravigliarsi se il notorio pragmatismo cinese riuscisse a individuare una ipotesi di soluzione su cui convenire essendo implicito che la Russia, partita per egemonizzare l’Europa, sia di fatto sotto la tutela cinese. Il nuovo ordine non può giocarsi a tre, potrebbe essere a quattro, se l’Europa fosse nelle condizioni di essere un interlocutore, il quale, nell’ambito dell’area occidentale, che non è in discussione, fosse anch’essa protagonista politica del riassetto mondiale. Così, però, non è per il semplice fatto che ne è impossibilitata avendo rinunciato a perseguire un grande disegno dei passi in avanti rispetto agli esordi sono stati compiuti rimanendo, però, bel lontana da quella conformazione politica che la metta nelle condizioni di alzare una voce politica autonoma e autorevole. Ciò significa, ipotizzando un nuovo ordine mondiale fondato sui pilastri rappresentati dalla Cina e dagli Usa, che come la Russia sarà di fatto subalterna alla prima l’Europa lo sarà ai secondi.
La Cina, temendo di essere dominata dagli Usa, ha iniziato con un protagonismo assai attivo un lavoro di penetrazione politica ed economica - gli affari sono sempre al primo posto - in diversificate aree del mondo. Lo sta facendo in Medio Oriente con l’accordo tra Teheran e Riad cui dovrebbe seguire entro l’anno il summit con i Paesi del Golfo. Con l’Iran, poi, ha appena concluso, partecipe anche la Russia, esercitazioni militari e ha ammesso Teheran nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai; anche qui Mosca è presente e sta valutando l’idea di far entrare anche l’Arabia Saudita. Così, al di là dell’aspetto di partner economico si sta configurando come partner di sicurezza della regione centro-asiatica pure per quelli Stati già sovietici che guardano a Mosca sempre con meno fiducia. Lo fa soprattutto in Africa. Negli ultimi anni ha elargito a vari Paesi più di 160 miliardi di dollari; un po’ dappertutto società cinesi hanno acquistato miniere di litio, praticamente tutte quelle dello Zimbabwe come pure quelle d’oro nella Repubblica Centroafricana ove anche la presenza sovietica è piuttosto massiccia.
Fuori dall’Africa, nel Sud est asiatico, continua a investire in Pakistan e corteggia l’Indonesia, rivaleggiando con gli Usa, per la sua posizione strategica. Infatti, dallo Stretto di Malacca passano grande parte delle forniture energetiche della Cina. Nell’America latina, da tempo, ha coinvolto l’Argentina nella Via della Seta ed è in procinto di vendere a Buenos Aires aerei caccia; Lula sta per recarsi a Pechino poiché la Cina è il primo partner affaristico del Brasile. Inoltre, ha provocato la rottura dei rapporti diplomatici dell’Honduras con Taiwan così come aveva fatto con El Salvador, Panama e Nicaragua. Insomma, dove arriva, porta l’idea che non esiste solo una modernizzazione di tipo occidentale, ma che essa ne rappresenta una ben più avanzata; che non esiste, cioè, un modello unico – quello americano – ma anche uno cinese.
In Africa, non va dimenticato, quanto forte sia pure il protagonismo russo: un terreno adatto per impostare il nuovo ordine mondiale. In Africa, Cina e Russia procedono affiancate; per esempio, qualche mese fa, la flotta del Sud Africa ha fatto esercitazioni con le marine della Russia e della Cina. La Russia, avvalendosi dei vecchi legami nati al tempo dell’Unione Sovietica, ha recuperato uno spazio che lega Libia, Mali, Burkina Faso e Sudan; si sta muovendo verso la Costa d’Avorio e spera di riuscire a penetrare in Ciad. Se il disegno si compisse basta guardare una carta geografica per capire come i russi potrebbero controllare, spezzandolo in due, il continente africano dal Mar Rosso fino al Golfo di Guinea.
Si è detto della Cina e della Russia in Africa ove agiscono senza danneggiarsi a vicenda; però, se si pensa che i cinesi investono grandi somme di denaro in Etiopia, Kenia e Angola si comprende che anche in Africa il nuovo ordine mondiale ha la stessa postura che Xj propone in generale; nel caso africano tramite un nuovo colonialismo.
Una partita complessa per gli Usa; certo che la Nato, a seguito della guerra, si è rafforzata e il fronte con l’Unione Europea e i Paesi alleati del Pacifico quali Giappone, Corea del Sud e Australia è ben saldo, ma ci sembra che l’aspetto militare prevalga su quello politico e su quello economico, mai così intrecciati come in questo momento. Ci domandiamo se non sarebbe il caso che l’insieme dei Paesi liberal-democratici aprissero un serio confronto per rimodulare il concetto stesso di Occidente non considerandolo solo in termini di difesa militare, ma avendo a riferimento centrale di riflessione la sostanza dell’essere democratici oggi – operazione utile vista la crisi in cui versa la democrazia nei Paesi liberi ed economicamente sviluppati – per ripensare cosa implichi la “pace” quale concetto politico.
Senza grandi idee e alti ideali il mondo non si cambia. Se si dà per scontato che siano i fatti ad acchiappare il pensiero, la politica si riduce ad affarismo, mercatismo, manipolazione e sfruttamento. In tal caso si finisce per riconfermare la tragedia della storia per cui i nuovi ordini del mondo scaturiscono solo dai conflitti. Oggi, però, a differenza del passato, con le armi nucleari l’uomo, prima del nemico, distrugge se stesso.
L’attacco all’Ucraina, di conseguenza ha rappresentato un passo quasi doveroso per impedire che, quanto ritenuto in ogni modo inscindibile dalla Russia, scivolasse verso il versante occidentale. In altri termini, che un luogo da sempre tutto dentro lo spirito culturale slavo e una concezione orientale del potere potesse divenire altro. A fronte di ciò l’Occidente si è mobilitato; gli Stati Uniti in testa, l’Europa al fianco, la Nato attore di sintesi e di prima linea. Lo spettro che lo scontro possa evolvere verso l’impiego delle armi nucleari più che una deterrenza pare un rischio concreto poiché ogni guerra si sa come inizia e mai come termina.
In Ucraina si gioca, quindi, una partita di grande portata. Fino a ora la Cina ha tenuto un atteggiamento di cautela. Il fatto che non abbia inviato armi a Mosca ne è la dimostrazione, ma politicamente è scesa ufficialmente in campo dicendo cosa persegue: un nuovo ordine mondiale. Quello uscito dal secondo conflitto mondiale è andato in crisi e poiché, o per una via o per un’altra, a un nuovo ordine prima o poi si arriverà, è chiaro che Pechino non lascerà che sia la Russia a fare da controparte agli Stati Uniti. Hanno ragione coloro che sostengono che se Cina e Usa trovano un accordo la guerra finisce. Xi, tuttavia, non può permettersi che Putin vinca, ma nemmeno che perda e quale possa essere il punto di caduta rimane un rebus. Non ci sarebbe da meravigliarsi se il notorio pragmatismo cinese riuscisse a individuare una ipotesi di soluzione su cui convenire essendo implicito che la Russia, partita per egemonizzare l’Europa, sia di fatto sotto la tutela cinese. Il nuovo ordine non può giocarsi a tre, potrebbe essere a quattro, se l’Europa fosse nelle condizioni di essere un interlocutore, il quale, nell’ambito dell’area occidentale, che non è in discussione, fosse anch’essa protagonista politica del riassetto mondiale. Così, però, non è per il semplice fatto che ne è impossibilitata avendo rinunciato a perseguire un grande disegno dei passi in avanti rispetto agli esordi sono stati compiuti rimanendo, però, bel lontana da quella conformazione politica che la metta nelle condizioni di alzare una voce politica autonoma e autorevole. Ciò significa, ipotizzando un nuovo ordine mondiale fondato sui pilastri rappresentati dalla Cina e dagli Usa, che come la Russia sarà di fatto subalterna alla prima l’Europa lo sarà ai secondi.
La Cina, temendo di essere dominata dagli Usa, ha iniziato con un protagonismo assai attivo un lavoro di penetrazione politica ed economica - gli affari sono sempre al primo posto - in diversificate aree del mondo. Lo sta facendo in Medio Oriente con l’accordo tra Teheran e Riad cui dovrebbe seguire entro l’anno il summit con i Paesi del Golfo. Con l’Iran, poi, ha appena concluso, partecipe anche la Russia, esercitazioni militari e ha ammesso Teheran nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai; anche qui Mosca è presente e sta valutando l’idea di far entrare anche l’Arabia Saudita. Così, al di là dell’aspetto di partner economico si sta configurando come partner di sicurezza della regione centro-asiatica pure per quelli Stati già sovietici che guardano a Mosca sempre con meno fiducia. Lo fa soprattutto in Africa. Negli ultimi anni ha elargito a vari Paesi più di 160 miliardi di dollari; un po’ dappertutto società cinesi hanno acquistato miniere di litio, praticamente tutte quelle dello Zimbabwe come pure quelle d’oro nella Repubblica Centroafricana ove anche la presenza sovietica è piuttosto massiccia.
Fuori dall’Africa, nel Sud est asiatico, continua a investire in Pakistan e corteggia l’Indonesia, rivaleggiando con gli Usa, per la sua posizione strategica. Infatti, dallo Stretto di Malacca passano grande parte delle forniture energetiche della Cina. Nell’America latina, da tempo, ha coinvolto l’Argentina nella Via della Seta ed è in procinto di vendere a Buenos Aires aerei caccia; Lula sta per recarsi a Pechino poiché la Cina è il primo partner affaristico del Brasile. Inoltre, ha provocato la rottura dei rapporti diplomatici dell’Honduras con Taiwan così come aveva fatto con El Salvador, Panama e Nicaragua. Insomma, dove arriva, porta l’idea che non esiste solo una modernizzazione di tipo occidentale, ma che essa ne rappresenta una ben più avanzata; che non esiste, cioè, un modello unico – quello americano – ma anche uno cinese.
In Africa, non va dimenticato, quanto forte sia pure il protagonismo russo: un terreno adatto per impostare il nuovo ordine mondiale. In Africa, Cina e Russia procedono affiancate; per esempio, qualche mese fa, la flotta del Sud Africa ha fatto esercitazioni con le marine della Russia e della Cina. La Russia, avvalendosi dei vecchi legami nati al tempo dell’Unione Sovietica, ha recuperato uno spazio che lega Libia, Mali, Burkina Faso e Sudan; si sta muovendo verso la Costa d’Avorio e spera di riuscire a penetrare in Ciad. Se il disegno si compisse basta guardare una carta geografica per capire come i russi potrebbero controllare, spezzandolo in due, il continente africano dal Mar Rosso fino al Golfo di Guinea.
Si è detto della Cina e della Russia in Africa ove agiscono senza danneggiarsi a vicenda; però, se si pensa che i cinesi investono grandi somme di denaro in Etiopia, Kenia e Angola si comprende che anche in Africa il nuovo ordine mondiale ha la stessa postura che Xj propone in generale; nel caso africano tramite un nuovo colonialismo.
Una partita complessa per gli Usa; certo che la Nato, a seguito della guerra, si è rafforzata e il fronte con l’Unione Europea e i Paesi alleati del Pacifico quali Giappone, Corea del Sud e Australia è ben saldo, ma ci sembra che l’aspetto militare prevalga su quello politico e su quello economico, mai così intrecciati come in questo momento. Ci domandiamo se non sarebbe il caso che l’insieme dei Paesi liberal-democratici aprissero un serio confronto per rimodulare il concetto stesso di Occidente non considerandolo solo in termini di difesa militare, ma avendo a riferimento centrale di riflessione la sostanza dell’essere democratici oggi – operazione utile vista la crisi in cui versa la democrazia nei Paesi liberi ed economicamente sviluppati – per ripensare cosa implichi la “pace” quale concetto politico.
Senza grandi idee e alti ideali il mondo non si cambia. Se si dà per scontato che siano i fatti ad acchiappare il pensiero, la politica si riduce ad affarismo, mercatismo, manipolazione e sfruttamento. In tal caso si finisce per riconfermare la tragedia della storia per cui i nuovi ordini del mondo scaturiscono solo dai conflitti. Oggi, però, a differenza del passato, con le armi nucleari l’uomo, prima del nemico, distrugge se stesso.