"LA TURCHIA AL BIVIO"
21-05-2023 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Domenica 14 maggio la Turchia ha tenuto le elezioni presidenziali e parlamentari più importanti della sua storia moderna. In gioco c'è il futuro di una grande potenza regionale che, a seconda del risultato, può avviarsi verso una rinascita democratica o un aumentato autoritarismo. Due i rivali in gara: Recep Taiyyp Erdogan, 69 anni, l'autocrate religioso che ha governato il Paese per due decenni, capo dell’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), e Kemal Kilicdaroglu, 74 anni, capo del partito laico CHP (Partito Popolare Repubblicano). In tutte le precedenti sfide elettorali, Erdogan ha sempre vinto e Kilicdaroglu ha sempre perso. Ma questa volta i sondaggi danno l’eterno perdente in testa. Quali le ragioni della perdita di consensi dell’attuale presidente turco? Durante il suo primo decennio al potere, la Turchia ha beneficiato degli investimenti esteri che hanno contribuito a finanziare la riduzione della povertà e il miglioramento dell'assistenza sanitaria. Ma l'affievolirsi di questo miracolo economico ha alienato parte della base elettorale di Erdogan. Temendo di vedersi sfuggire il potere, nel 2018 ha forzato il passaggio a un forte sistema presidenziale, creando di fatto un moderno sultanato, e ha cambiato il modo in cui i seggi parlamentari sono assegnati a beneficio del suo partito. A incrinare la sua popolarità hanno contribuito la cattiva gestione dell'economia che ha provocato un’inflazione ormai fuori controllo, la tolleranza nei confronti della corruzione endemica, l'intimidazione e l'incarcerazione dei rivali politici, l'indebolimento dell'indipendenza legislativa, giudiziaria e dei media, e la gestione incompetente del terremoto di febbraio, che ha causato 50.000 vittime. Fedele al populismo che ha contribuito a inventare e consapevole del calo dei consensi, in campagna elettorale Erdogan ha promesso di tutto: gas naturale gratuito, Internet più economico, case per le vittime del terremoto, aumento delle pensioni e del salario minimo dei dipendenti pubblici. Evidentemente, le promesse non sono state sufficienti a rassicurare gli 85 milioni di turchi che si stanno dimostrando sempre più insofferenti nei suoi confronti. Anche il suo avversario elettorale, Kemal Kilicdaroglu, un modesto ex funzionario alla guida di una coalizione di laici, nazionalisti, islamisti e curdi, non è stato avaro di promesse. Ha assicurato un governo più tollerante, economicamente più competente, una burocrazia meno corrotta; si è impegnato a salvare il Paese dall'assoluta autocrazia, a ristabilire l'indipendenza della banca centrale e appianare le controversie con la Nato; ha giurato di non discriminare in base alla fede, all'etnia o allo stile di vita. Soprattutto, si è impegnato a rimpatriare i cinque milioni di profughi dalla Siria, l'Afghanistan, l'Iraq e da altri paesi, che si sono rifugiati in Turchia. Da burocrate diventato politico, Kilicdaroglu sembrava mancare del carisma che ha aiutato Erdogan a diventare il leader più longevo nei 100 anni della repubblica turca. Ma da marzo, quando è stato candidato quale leader dell'opposizione alle elezioni presidenziali, ha saputo conquistarsi molti consensi nel Paese, promettendo di essere tutto ciò che Erdogan non è. Sono in molti coloro che si augurano che Erdogan e il suo marchio di nazionalismo islamista diventi storia politica, non ultimi gli alleati Nato della Turchia. Ha fatto il doppio gioco contro l'Ucraina, fornendo a Kiev droni da combattimento e mantenendo legami economici con Mosca, per inciso principale fornitore di energia della Turchia. Il suo blocco dell'ingresso della Svezia nella Nato per la tolleranza di Stoccolma nei confronti dei gruppi curdi ha minato la coesione dell'alleanza. L'affluenza alle urne del 14 maggio intorno al 90%, una delle più alte registrate in un'elezione turca, fa ben sperare in un cambio al timone del Paese. Ma al conteggio dei voti, chi contava sulla scomparsa di Erdogan è rimasto deluso: contro ogni previsione, con il 49,51% dei voti si piazza infatti al primo posto distanziando di 5 punti lo sfidante Kemal Kilicdaroglu, al 44,89%. A sorpresa al terzo posto, con il 5,17% dei voti, Sinan Ogan, rappresentante dell’estrema destra nazionalista. L'uomo forte in carica non solo riconquista la maggioranza in parlamento, ma è a un passo dalla vittoria assoluta. In 20 anni al potere, Erdogan ha mostrato una non comune capacità di sopravvivenza, non solo uscendo vincitore in numerose elezioni, ma anche fronteggiando con successo il tentativo di colpo di stato militare del 2016. Dopo due decenni al potere, è ancora una figura estremamente popolare, per i suoi sostenitori lo statista devoto responsabile di trasformare la Turchia in una potenza globale. Domenica 28 maggio si va al ballottaggio, in un clima teso, minacciato da brogli elettorali, in un Paese dove numerose figure dell'opposizione sono in prigione, e tutte le leve del potere sono in mano all’attuale presidente: giornali, televisione, esercito e magistratura. Se Erdogan avrà successo in questa gara, la Turchia, un membro della Nato di 85 milioni di abitanti all'incrocio strategico tra Asia ed Europa, potrebbe allontanarsi dall'Occidente, avvicinarsi a Vladimir Putin, diventare economicamente più instabile e meno libera. Se viceversa sarà sconfitto, tutti coloro, dall'Ungheria all'India, che sperano di respingere il populismo e la sua minaccia alla tolleranza e allo stato di diritto, saranno incoraggiati. Comunque vada, entro lunedì 29 maggio la Turchia sarà un paese diverso. Parlamento vinto.
Fonte: di Giulietta Rovera