DONALD TRUMP - VINCITORI E VINTI di Giulietta Rovera
24-02-2025 - IL SOCIALISMO NEL MONDO
Rompendo clamorosamente la parola data, una settimana dopo essersi insediato per la seconda volta alla Casa Bianca, Donald Trump dà il via alla cosiddetta “guerra dei dazi”. L'accordo da lui stipulato nel 2020 con Messico e Canada - "l'accordo commerciale più equo, equilibrato e vantaggioso" di sempre - vieta infatti aumenti tariffari oltre quanto concordato. Poiché per il 47° Presidente degli Stati Uniti gli accordi possono essere violati, il 1° febbraio firma tre ordini esecutivi che impongono tariffe del 25 percento su tutti i beni provenienti da Canada e Messico, con un'aliquota del 10 percento sia sulle esportazioni di petrolio canadesi che sui beni cinesi. Sono così colpiti i tre principali partner commerciali degli Stati Uniti: Cina, Canada e Messico. Tutte le tariffe vengono imposte sotto l'autorità dell'International Emergency Economic Powers Act - la legge federale degli Stati Uniti che conferisce al presidente il potere di emanare dazi senza l'approvazione del Congresso. Dazi che rimarranno in vigore fino a quando non verrà bloccata l'entrata negli Stati Uniti degli immigrati e delle droghe illegali. Se i paesi interessati reagiranno, le tariffe aumenteranno. L'autorevole Wall Street Journal ha definito la mossa di Trump “la guerra commerciale più stupida della storia”. Perché tassare i fornitori stranieri significa prezzi più alti e quantità inferiori. Significa aumento dell'inflazione. Significa rafforzamento del dollaro e riduzione della competitività delle esportazioni americane nei mercati globali. Significa rallentare la crescita economica. "Praticamente tutti gli economisti pensano che l'impatto dei dazi sarà negativo per l'America e per il mondo", ha affermato Joseph Stiglitz, vincitore del premio Nobel per le scienze economiche.
Di fronte alla minaccia di tariffe di ritorsione da parte di Cina, Canada e Messico e alle forti perdite in borsa, Donald Trump fa marcia indietro. Dietro concessioni simboliche su droga e immigrazione illegale, accetta infatti di posticipare di un mese i dazi su Canada e Messico. Dazi invece mantenuti nei confronti della Cina, che per ritorsione annuncia un'indagine antitrust su Google, tariffe del 15% su carbone e gas naturale liquefatto e del 10% su petrolio greggio, attrezzature agricole e veicoli di grossa cilindrata provenienti dagli Stati Uniti. Il 10 febbraio Donald Trump annuncia nuove tariffe del 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio che colpiranno "tutti", compresi Messico, Brasile, Corea del Sud, Vietnam e Canada. Soprattutto il Canada, che sarà punito al punto di "cessare di esistere come paese vitale" se non accetterà di diventare il 51° Stato a stelle e strisce.
La raffica di ordini esecutivi firmati da Donald Trump nel breve lasso di tempo dall'inizio del suo nuovo mandato non si limitano a colpire i suoi più stretti alleati. Riguardano tutto e tutti: dagli aiuti esteri al commercio mondiale, dall'ordine di costruire un centro di detenzione per migranti a Guantanamo Bay all'arresto e deportazione degli studenti e altre persone senza cittadinanza statunitense che partecipano a proteste pro-Palestina. Già, la Palestina. La proposta del presidente Trump di trasferire altrove in modo permanente i 2 milioni di abitanti palestinesi della Striscia di Gaza, prenderne il controllo, trasformarla nella "Riviera del Medio Oriente", e ripopolarla con "cittadini del mondo", ossia con chiunque tranne i palestinesi, ha lasciato i più quantomeno esterrefatti e indignati – eccetto ovviamente Netanyahu e l'estrema destra israeliana. Trump ha cercato di mascherare i suoi piani di trasferimento forzato come una sorta di atto umanitario, data la devastazione di Gaza e i pericoli delle munizioni inesplose. A parte il fatto che allontanare con la forza le persone dalla loro patria è un crimine di guerra e un crimine contro l'umanità, violerebbe la recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che sostiene il diritto dei palestinesi all'autodeterminazione. In realtà, incontrando Benjamin Netanyahu - primo premier straniero a fargli visita dopo la sua rielezione - Trump ha già minato il diritto internazionale. La Corte penale internazionale aveva infatti emesso un mandato di arresto del premier israeliano per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. A prendersi i palestinesi, secondo la proposta di Trump, dovranno essere la Giordania, l'Egitto e l'Arabia Saudita: se non accetteranno, verranno privati degli aiuti americani. Però costoro, tutti alleati chiave degli Stati Uniti, non solo respingono l'idea ma premono come prerequisito per uno Stato palestinese. Inoltre, se una tale pulizia etnica diventasse accettabile, Gaza sarebbe solo un primo passo: a subire la stessa sorte potrebbero essere la Cisgiordania occupata e Gerusalemme Est. Per non parlare della cosiddetta popolazione araba di Israele.
Veniamo infine all' Ucraina. Il 12 febbraio il Presidente degli Stati Uniti telefona al Presidente della Russia: 90 minuti di conversazione telefonica, che interrompono i tre anni di isolamento imposti dall'Occidente a Vladimir Putin. Oggetto del colloquio: risolvere il problema ucraino. Per aprire le trattative di pace, Putin ha posto come condizione che l'Ucraina riconosca il dominio russo in quattro regioni a est e a sud così come in Crimea, che adotti uno status neutrale e abbandoni qualsiasi ambizione di entrare nella Nato. Prima ancora di arrivare al tavolo delle trattative, Trump ha ceduto alle richieste russe. Non solo, ma ha garantito il leader moscovita che la pace sarà assicurata da "truppe europee ". Che le truppe americane non saranno schierate e nessuna forza europea potrà operare sotto l'ombrello della NATO, il che significa che gli Stati Uniti non saranno obbligati a venire in suo aiuto se attaccata. In parole povere, è chiaro che al presidente degli Stati Uniti non importa chi controlla l'Ucraina orientale, purché gli sia garantita la fornitura di terre rare, elementi chiave utilizzati nell'elettronica, delle quali l'Ucraina è ricca.
Il 18 febbraio a Riad in Arabia Saudita hanno inizio i negoziati bilaterali fra le due grandi potenze. In parole povere, saranno America e Russia -e solo loro - a decidere il futuro dell'Ucraina e il futuro della sicurezza in Europa. Ucraina e Stati europei cessano quindi di essere i soggetti in un futuro piano di pace per diventare oggetti di decisioni prese dalle nuove potenze imperiali. Perché sono proprio le nuove potenze imperiali – Stati Uniti, Russia e Cina – che oggi dettano legge e possono impunemente mostrare i loro obiettivi: espansione territoriale, recupero delle materie prime necessarie al loro sviluppo industriale, revisione dei confini. Per le nuove potenze imperiali Ucraina, Canada, Groenlandia e Taiwan non sono altro che pedine in un mondo dove la forza è un diritto e l'espansione territoriale una conseguenza.
Di fronte alla minaccia di tariffe di ritorsione da parte di Cina, Canada e Messico e alle forti perdite in borsa, Donald Trump fa marcia indietro. Dietro concessioni simboliche su droga e immigrazione illegale, accetta infatti di posticipare di un mese i dazi su Canada e Messico. Dazi invece mantenuti nei confronti della Cina, che per ritorsione annuncia un'indagine antitrust su Google, tariffe del 15% su carbone e gas naturale liquefatto e del 10% su petrolio greggio, attrezzature agricole e veicoli di grossa cilindrata provenienti dagli Stati Uniti. Il 10 febbraio Donald Trump annuncia nuove tariffe del 25% su tutte le importazioni di acciaio e alluminio che colpiranno "tutti", compresi Messico, Brasile, Corea del Sud, Vietnam e Canada. Soprattutto il Canada, che sarà punito al punto di "cessare di esistere come paese vitale" se non accetterà di diventare il 51° Stato a stelle e strisce.
La raffica di ordini esecutivi firmati da Donald Trump nel breve lasso di tempo dall'inizio del suo nuovo mandato non si limitano a colpire i suoi più stretti alleati. Riguardano tutto e tutti: dagli aiuti esteri al commercio mondiale, dall'ordine di costruire un centro di detenzione per migranti a Guantanamo Bay all'arresto e deportazione degli studenti e altre persone senza cittadinanza statunitense che partecipano a proteste pro-Palestina. Già, la Palestina. La proposta del presidente Trump di trasferire altrove in modo permanente i 2 milioni di abitanti palestinesi della Striscia di Gaza, prenderne il controllo, trasformarla nella "Riviera del Medio Oriente", e ripopolarla con "cittadini del mondo", ossia con chiunque tranne i palestinesi, ha lasciato i più quantomeno esterrefatti e indignati – eccetto ovviamente Netanyahu e l'estrema destra israeliana. Trump ha cercato di mascherare i suoi piani di trasferimento forzato come una sorta di atto umanitario, data la devastazione di Gaza e i pericoli delle munizioni inesplose. A parte il fatto che allontanare con la forza le persone dalla loro patria è un crimine di guerra e un crimine contro l'umanità, violerebbe la recente sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che sostiene il diritto dei palestinesi all'autodeterminazione. In realtà, incontrando Benjamin Netanyahu - primo premier straniero a fargli visita dopo la sua rielezione - Trump ha già minato il diritto internazionale. La Corte penale internazionale aveva infatti emesso un mandato di arresto del premier israeliano per crimini di guerra e crimini contro l'umanità. A prendersi i palestinesi, secondo la proposta di Trump, dovranno essere la Giordania, l'Egitto e l'Arabia Saudita: se non accetteranno, verranno privati degli aiuti americani. Però costoro, tutti alleati chiave degli Stati Uniti, non solo respingono l'idea ma premono come prerequisito per uno Stato palestinese. Inoltre, se una tale pulizia etnica diventasse accettabile, Gaza sarebbe solo un primo passo: a subire la stessa sorte potrebbero essere la Cisgiordania occupata e Gerusalemme Est. Per non parlare della cosiddetta popolazione araba di Israele.
Veniamo infine all' Ucraina. Il 12 febbraio il Presidente degli Stati Uniti telefona al Presidente della Russia: 90 minuti di conversazione telefonica, che interrompono i tre anni di isolamento imposti dall'Occidente a Vladimir Putin. Oggetto del colloquio: risolvere il problema ucraino. Per aprire le trattative di pace, Putin ha posto come condizione che l'Ucraina riconosca il dominio russo in quattro regioni a est e a sud così come in Crimea, che adotti uno status neutrale e abbandoni qualsiasi ambizione di entrare nella Nato. Prima ancora di arrivare al tavolo delle trattative, Trump ha ceduto alle richieste russe. Non solo, ma ha garantito il leader moscovita che la pace sarà assicurata da "truppe europee ". Che le truppe americane non saranno schierate e nessuna forza europea potrà operare sotto l'ombrello della NATO, il che significa che gli Stati Uniti non saranno obbligati a venire in suo aiuto se attaccata. In parole povere, è chiaro che al presidente degli Stati Uniti non importa chi controlla l'Ucraina orientale, purché gli sia garantita la fornitura di terre rare, elementi chiave utilizzati nell'elettronica, delle quali l'Ucraina è ricca.
Il 18 febbraio a Riad in Arabia Saudita hanno inizio i negoziati bilaterali fra le due grandi potenze. In parole povere, saranno America e Russia -e solo loro - a decidere il futuro dell'Ucraina e il futuro della sicurezza in Europa. Ucraina e Stati europei cessano quindi di essere i soggetti in un futuro piano di pace per diventare oggetti di decisioni prese dalle nuove potenze imperiali. Perché sono proprio le nuove potenze imperiali – Stati Uniti, Russia e Cina – che oggi dettano legge e possono impunemente mostrare i loro obiettivi: espansione territoriale, recupero delle materie prime necessarie al loro sviluppo industriale, revisione dei confini. Per le nuove potenze imperiali Ucraina, Canada, Groenlandia e Taiwan non sono altro che pedine in un mondo dove la forza è un diritto e l'espansione territoriale una conseguenza.
Fonte: di Giulietta Rovera