"IL MANIFESTO DI BENVENUTO E CIANCA, PER IL SOCIALISMO LIBERALE NELLA SINISTRA ITALIANA"
PER IL SOCIALISMO LIBERALE NELLA SINISTRA ITALIANA"
26-09-2022 - LA NECESSITA' DEL SOCIALISMO
Il politicismo e la lotta per il potere dominano la dialettica tra simulacri di partiti, che parlano solo di “campi larghi”, alleanze elettoralistiche, candidature alla premiership, senza identità e proposte programmatiche oltre il contingente in grado di guardare al futuro, mentre il sindacalismo confederale appare diviso tra la riproposizione del modello conflittuale e di quello collaborazionista, entrambi distanti dalla cultura del riformismo sociale europeo, espresso dalle socialdemocrazie sino al crollo del Muro di Berlino
Sembra così, che si debba avverare quel “pessimismo della ragione” che Gramsci contrapponeva all’”ottimismo della volontà”.
Ma negli ultimi giorni la vita pubblica italiana ci ha offerto una bella pagina di autentico riformismo, occasione di un dibattito sereno sui mali della società e dell’economia italiane nel contesto nazionale e in quello globale.
Giorgio Benvenuto, uno dei leader storici del sindacalismo italiano, e Marco Cianca, autorevole opinionista, hanno scritto “Lavoro e Libertà. Un manifesto per il riscatto, la dignità, la partecipazione” pubblicato su “La rivoluzione democratica. Giornale socialista di idee e critica politica”, in cui affrontano i temi della precarizzazione del lavoro e della drammatica riduzione dei diritti sociali, a fronte dei vertiginosi processi di accumulazione capitalistica prodotti dall’economia 4.0, con i fenomeni del dumping sociale, della crisi salariale e delle politiche welfaristiche, dell’abbandono del lavoro, dello sfruttamento degli immigrati, del ritorno del paternalismo datoriale, dell’inadeguatezza dell’azione delle forze politiche della sinistra, a fronte della straordinaria predicazione sociale di Papa Francesco, vox clamantis in deserto nell’orgia mercatistica generata da una globalizzazione, che, già in crisi dopo la bolla dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers e poi con la pandemia, sembra schiantarsi sul muro della prospettiva di una nuova divisione in blocchi militari ed economici, quello Occidentale e quello Euroasiatico, che l’invasione russa dell’Ucraina sta generando.
Scrivono Benvenuto e Cianca: “Purtroppo, stiamo tornando al clima della prima industrializzazione, con forme selvagge di sfruttamento, di umiliazione, di sicurezza negata. Chi tiene il conto delle morti bianche? Con l’aggravante che nell’Ottocento il nascente movimento socialista e le prime leghe si battevano come leoni per cambiare le cose, mentre oggi i partiti della sinistra e i sindacati giocano tutto in difesa, pensando che piccoli risultati in una miseranda ridistribuzione delle ricchezze possano avallare la formazione di tesori stratosferici”. La proposta che viene dal Manifesto non è certamente di palingenesi sociale, ma di un riformismo dalle radici antiche aggiornate al nostro tempo, quelle della rivalorizzazione del lavoro e dei suoi diritti.
Si deve registrare, purtroppo, l’assenza di una forza di sinistra in grado di affrontare le drammatiche contraddizioni sociali del nostro tempo, contestando il nuovo dogma secondo cui il passaggio al postmoderno, al globale, debba trasfigurare sino a renderle neutre e fungibili, destra e sinistra.
L’idea prevalente nella sinistra italiana non può essere quella di una forza politica senza ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario è nelle primarie viste come strumento di un plebiscitarismo che “incorona” il capo e il cui “nemico” è il conflitto sociale, relegato negli scantinati della Storia. Già, quel conflitto sociale che consentì al movimento operaio, base politica e sociale della sinistra nel Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di redistribuirne la ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò “il capitalismo va tosato e non ucciso”.
Nella sinistra europea ed internazionale non mancano fermenti: i socialisti spagnoli di Pedro Sanchez e quelli portoghesi di Antonio Costa al governo dei rispettivi Paesi con un programma dai forti connotati sociali, al socialismo americano di Berny Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez e lo stesso ruolo da protagonista della politica francese di Jean-Luc Mélenchon con un programma che vede al centro, la questione sociale e quella ecologica.
Si tratta di un ventaglio di posizioni che pone al centro i diritti sociali, il lavoro e il contrasto al potere della finanza globale.
C’è l’esigenza in Italia di guardare ad esse, per ricostruire la fondamentale dialettica democratica tra schieramenti alternativi, partendo dai contenuti e non dalle sigle, espungendo il politicismo e affrontando la vera grande questione dei nostri giorni: la diseguaglianza.
Per questo servono all’Italia la tradizione e la cultura del socialismo riformista e liberale, per misurarsi con le degenerazioni della politica leaderistica “prigioniera” del mercato.
Il Manifesto di Benvenuto e Cianca costituisce riformismo autentico, che deve consentire alla sinistra italiana un’adesione piena alla cultura politica del socialismo liberale, con un orizzonte valoriale e programmatico, che abbia al centro il lavoro, l’equità sociale, lo sviluppo del Mezzogiorno, i diritti civili, la partecipazione democratica dei cittadini.
Sembra così, che si debba avverare quel “pessimismo della ragione” che Gramsci contrapponeva all’”ottimismo della volontà”.
Ma negli ultimi giorni la vita pubblica italiana ci ha offerto una bella pagina di autentico riformismo, occasione di un dibattito sereno sui mali della società e dell’economia italiane nel contesto nazionale e in quello globale.
Giorgio Benvenuto, uno dei leader storici del sindacalismo italiano, e Marco Cianca, autorevole opinionista, hanno scritto “Lavoro e Libertà. Un manifesto per il riscatto, la dignità, la partecipazione” pubblicato su “La rivoluzione democratica. Giornale socialista di idee e critica politica”, in cui affrontano i temi della precarizzazione del lavoro e della drammatica riduzione dei diritti sociali, a fronte dei vertiginosi processi di accumulazione capitalistica prodotti dall’economia 4.0, con i fenomeni del dumping sociale, della crisi salariale e delle politiche welfaristiche, dell’abbandono del lavoro, dello sfruttamento degli immigrati, del ritorno del paternalismo datoriale, dell’inadeguatezza dell’azione delle forze politiche della sinistra, a fronte della straordinaria predicazione sociale di Papa Francesco, vox clamantis in deserto nell’orgia mercatistica generata da una globalizzazione, che, già in crisi dopo la bolla dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers e poi con la pandemia, sembra schiantarsi sul muro della prospettiva di una nuova divisione in blocchi militari ed economici, quello Occidentale e quello Euroasiatico, che l’invasione russa dell’Ucraina sta generando.
Scrivono Benvenuto e Cianca: “Purtroppo, stiamo tornando al clima della prima industrializzazione, con forme selvagge di sfruttamento, di umiliazione, di sicurezza negata. Chi tiene il conto delle morti bianche? Con l’aggravante che nell’Ottocento il nascente movimento socialista e le prime leghe si battevano come leoni per cambiare le cose, mentre oggi i partiti della sinistra e i sindacati giocano tutto in difesa, pensando che piccoli risultati in una miseranda ridistribuzione delle ricchezze possano avallare la formazione di tesori stratosferici”. La proposta che viene dal Manifesto non è certamente di palingenesi sociale, ma di un riformismo dalle radici antiche aggiornate al nostro tempo, quelle della rivalorizzazione del lavoro e dei suoi diritti.
Si deve registrare, purtroppo, l’assenza di una forza di sinistra in grado di affrontare le drammatiche contraddizioni sociali del nostro tempo, contestando il nuovo dogma secondo cui il passaggio al postmoderno, al globale, debba trasfigurare sino a renderle neutre e fungibili, destra e sinistra.
L’idea prevalente nella sinistra italiana non può essere quella di una forza politica senza ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario è nelle primarie viste come strumento di un plebiscitarismo che “incorona” il capo e il cui “nemico” è il conflitto sociale, relegato negli scantinati della Storia. Già, quel conflitto sociale che consentì al movimento operaio, base politica e sociale della sinistra nel Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di redistribuirne la ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò “il capitalismo va tosato e non ucciso”.
Nella sinistra europea ed internazionale non mancano fermenti: i socialisti spagnoli di Pedro Sanchez e quelli portoghesi di Antonio Costa al governo dei rispettivi Paesi con un programma dai forti connotati sociali, al socialismo americano di Berny Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez e lo stesso ruolo da protagonista della politica francese di Jean-Luc Mélenchon con un programma che vede al centro, la questione sociale e quella ecologica.
Si tratta di un ventaglio di posizioni che pone al centro i diritti sociali, il lavoro e il contrasto al potere della finanza globale.
C’è l’esigenza in Italia di guardare ad esse, per ricostruire la fondamentale dialettica democratica tra schieramenti alternativi, partendo dai contenuti e non dalle sigle, espungendo il politicismo e affrontando la vera grande questione dei nostri giorni: la diseguaglianza.
Per questo servono all’Italia la tradizione e la cultura del socialismo riformista e liberale, per misurarsi con le degenerazioni della politica leaderistica “prigioniera” del mercato.
Il Manifesto di Benvenuto e Cianca costituisce riformismo autentico, che deve consentire alla sinistra italiana un’adesione piena alla cultura politica del socialismo liberale, con un orizzonte valoriale e programmatico, che abbia al centro il lavoro, l’equità sociale, lo sviluppo del Mezzogiorno, i diritti civili, la partecipazione democratica dei cittadini.
Fonte: di Maurizio Ballistreri