"ECOLOGIA E ECONOMIA"
20-12-2021 - STORIE&STORIE
Strano destino quello di queste due parole che hanno una etimologia comune. Tutte e due derivano dal greco oikos (ambiente) e letteralmente vogliono dire studio (logos) dell’ambiente e legge (nomos) dell’ambiente. Nonostante questa vicinanza di partenza nel corso dei secoli hanno divaricato il loro significato ed oggi sono il sinonimo di scelte contrapposte.
L’inizio del contrasto fra logos e nomos si può far risalire a Denis Papin e alla sua pentola a pressione (1679), ma è la prima macchina (Thomas Newcomen 1705, migliorata da James Watt e Matthew Boulton, 1769), in grado di trasformare l’energia in lavoro a segnare il punto di non ritorno della loro divaricazione. Il percorso inizia con la combustione delle foreste, ma il vero sviluppo, che porta alla Rivoluzione Industriale, si ha quando il carbone viene utilizzato come fonte energetica in sostituzione del legno, aiutato in questa sua funzione, da circa metà del XIX° secolo, dal petrolio.
I risultati del combinato uso dei combustibili fossili (bisogna aggiungere anche il gas naturale) sono sotto gli occhi di tutti. Certo se non ci fossero stati questi “carburanti” la Rivoluzione Industriale, forse non sarebbe mai decollata o forse avrebbe avuto una gestazione diversa.
Quello che più colpisce è che il sistema economico si è sviluppato lungo binari non proprio in sintonia con lo spirito francescano. Il guadagno immediato, con il potere che ne deriva, ha contrassegnato il cammino del capitalismo con costi umani impressionanti. Non c’è bisogno di molte analisi che richiedano l’uso di sofisticati algoritmi per capire cosa ha significato l’industrializzazione, è sufficiente leggere i libri di Victor Hugo (Les Misérables) o di Charles Dickens (David Copperfield). Oppure leggere i comportamenti dei magnati americani nella seconda metà dell’Ottocento nella descrizione di Matthew Josephson (The robber barons: the great American capitalists, 1861-1901). Altro che mano invisibile di Smithiana memoria (anche se ad onor del vero l’interpretazione di tale frase non appare coerente con quanto scrive Adam Smith, cioè l’economista scozzese non ha mai ritenuto che la mano invisibile corrisponda a un mercato efficiente (Per una corretta interpretazione leggere A. Roncaglia, Il mito della mano invisibile).
Il credere nelle proprietà taumaturgiche dell’autoregolazione del mercato (una bufala funzionale solo a chi detiene il potere) è stato un errore non solo per quanto riguarda le crisi finanziarie, ma soprattutto per la gestione e l’utilizzo delle materie prime. Ha ragione Amartya Sen (Development as freedom) quando critica l’economia mainstream che prende in considerazione solo l’efficienza aziendale ed ignora completamente le diseconomie esterne provocate ed i costi che ne derivano per la società nel suo insieme.
Oramai la situazione ambientale del nostro pianeta è gravemente compromessa, occorre una forte volontà politica per ridurre i danni. L’inquinamento negli ultimi quarant’anni, secondo le stime del Consiglio Europeo, ha provocato, nei paesi EU, danni per circa 43 miliardi euro e più di 85.000 vittime.
Gran parte dell’inquinamento deriva dall’uso dei combustibili fossili, o rapidamente cambiamo le fonti energetiche oppure rapidamente si arriverà ad un punto di non ritorno.
Che la situazione sia drammatica ce lo dice un fatto, la questione ambientale è presente nell’agenda di tutti i capi di stato. Se qualcosa si muoverà o se sarà il solito bla, bla, bla (copyright di Greta Thunberg) lo sapremo presto.
Operare un cambiamento nell’uso delle fonti energetiche, modificare il paradigma economico in pochi anni con tutto quello che ne consegue sul piano sociale e su quello economico è un’impresa titanica. Questa volta la “distruzione creatrice” di schumpeteriana memoria non può manifestarsi gradatamente, ma deve essere immessa rapidamente nel circuito produttivo.
“Secondo alcune stime basate sulle ipotesi del Panel per il cambiamento climatico delle Nazioni Unite (UN IPCC), per avere la metà delle probabilità di rimanere entro un aumento di 2°C entro la fine del secolo, il budget carbonico sarebbe pari a 1.200 miliardi di tonnellate (Gt) di emissioni, rispetto ai 2.910 equivalenti alle riserve di idrocarburi e carbone non ancora estratti, pertanto, il 59 per cento delle riserve sarebbe inutilizzabile. Il budget sarebbe ancora più stringente (pari a 464 Gt) nel caso di un obiettivo di temperatura globale di 1,5°C, rendendo l’80 per cento delle riserve inutilizzabili”. (Banca d’Italia, Banche centrali, rischi climatici e finanza sostenibile, p. 31).
Queste cifre limitate solo alle emissioni di gas serra mostrano, senza dubbio alcuno, il livello della sfida.
Un gran numero di assets relativi alla produzione di energia tradizionale e a settori ad essi strettamente connessi (si pensi all’automotive o alla produzione di acciaio per esempio) è in mano di banche, di investitori istituzionali e di piccoli e medi investitori. Una politica tesa al cambiamento radicale delle fonti energetiche produce un forte depauperamento di questi beni. Le reazioni avverse saranno violente.
La perdita diretta di valore delle azioni e delle obbligazioni sarebbe devastante, in poco tempo tenderebbe a zero, questo avrebbe un effetto immediato non solo per una crisi delle borse ma anche quella del sistema bancario. Le imprese non sarebbero in grado di rientrare dai prestiti, garantiti da titoli e obbligazioni, le banche non sarebbero in grado di restituire i soldi ai correntisti, il capitale proprio delle banche è intorno al 7% del volume degli affari. In questo quadro la crisi investirebbe, con gravi danni sociali, ogni comparto.
Il risultato è che le politiche ambientali sarebbero molto blande e non in grado di aggredire il problema.
Questo quadro altamente fosco è quello che si verificherebbe se fosse il mercato, come cercano di farci credere, a determinare gli equilibri economici ottimali.
L’inizio del contrasto fra logos e nomos si può far risalire a Denis Papin e alla sua pentola a pressione (1679), ma è la prima macchina (Thomas Newcomen 1705, migliorata da James Watt e Matthew Boulton, 1769), in grado di trasformare l’energia in lavoro a segnare il punto di non ritorno della loro divaricazione. Il percorso inizia con la combustione delle foreste, ma il vero sviluppo, che porta alla Rivoluzione Industriale, si ha quando il carbone viene utilizzato come fonte energetica in sostituzione del legno, aiutato in questa sua funzione, da circa metà del XIX° secolo, dal petrolio.
I risultati del combinato uso dei combustibili fossili (bisogna aggiungere anche il gas naturale) sono sotto gli occhi di tutti. Certo se non ci fossero stati questi “carburanti” la Rivoluzione Industriale, forse non sarebbe mai decollata o forse avrebbe avuto una gestazione diversa.
Quello che più colpisce è che il sistema economico si è sviluppato lungo binari non proprio in sintonia con lo spirito francescano. Il guadagno immediato, con il potere che ne deriva, ha contrassegnato il cammino del capitalismo con costi umani impressionanti. Non c’è bisogno di molte analisi che richiedano l’uso di sofisticati algoritmi per capire cosa ha significato l’industrializzazione, è sufficiente leggere i libri di Victor Hugo (Les Misérables) o di Charles Dickens (David Copperfield). Oppure leggere i comportamenti dei magnati americani nella seconda metà dell’Ottocento nella descrizione di Matthew Josephson (The robber barons: the great American capitalists, 1861-1901). Altro che mano invisibile di Smithiana memoria (anche se ad onor del vero l’interpretazione di tale frase non appare coerente con quanto scrive Adam Smith, cioè l’economista scozzese non ha mai ritenuto che la mano invisibile corrisponda a un mercato efficiente (Per una corretta interpretazione leggere A. Roncaglia, Il mito della mano invisibile).
Il credere nelle proprietà taumaturgiche dell’autoregolazione del mercato (una bufala funzionale solo a chi detiene il potere) è stato un errore non solo per quanto riguarda le crisi finanziarie, ma soprattutto per la gestione e l’utilizzo delle materie prime. Ha ragione Amartya Sen (Development as freedom) quando critica l’economia mainstream che prende in considerazione solo l’efficienza aziendale ed ignora completamente le diseconomie esterne provocate ed i costi che ne derivano per la società nel suo insieme.
Oramai la situazione ambientale del nostro pianeta è gravemente compromessa, occorre una forte volontà politica per ridurre i danni. L’inquinamento negli ultimi quarant’anni, secondo le stime del Consiglio Europeo, ha provocato, nei paesi EU, danni per circa 43 miliardi euro e più di 85.000 vittime.
Gran parte dell’inquinamento deriva dall’uso dei combustibili fossili, o rapidamente cambiamo le fonti energetiche oppure rapidamente si arriverà ad un punto di non ritorno.
Che la situazione sia drammatica ce lo dice un fatto, la questione ambientale è presente nell’agenda di tutti i capi di stato. Se qualcosa si muoverà o se sarà il solito bla, bla, bla (copyright di Greta Thunberg) lo sapremo presto.
Operare un cambiamento nell’uso delle fonti energetiche, modificare il paradigma economico in pochi anni con tutto quello che ne consegue sul piano sociale e su quello economico è un’impresa titanica. Questa volta la “distruzione creatrice” di schumpeteriana memoria non può manifestarsi gradatamente, ma deve essere immessa rapidamente nel circuito produttivo.
“Secondo alcune stime basate sulle ipotesi del Panel per il cambiamento climatico delle Nazioni Unite (UN IPCC), per avere la metà delle probabilità di rimanere entro un aumento di 2°C entro la fine del secolo, il budget carbonico sarebbe pari a 1.200 miliardi di tonnellate (Gt) di emissioni, rispetto ai 2.910 equivalenti alle riserve di idrocarburi e carbone non ancora estratti, pertanto, il 59 per cento delle riserve sarebbe inutilizzabile. Il budget sarebbe ancora più stringente (pari a 464 Gt) nel caso di un obiettivo di temperatura globale di 1,5°C, rendendo l’80 per cento delle riserve inutilizzabili”. (Banca d’Italia, Banche centrali, rischi climatici e finanza sostenibile, p. 31).
Queste cifre limitate solo alle emissioni di gas serra mostrano, senza dubbio alcuno, il livello della sfida.
Un gran numero di assets relativi alla produzione di energia tradizionale e a settori ad essi strettamente connessi (si pensi all’automotive o alla produzione di acciaio per esempio) è in mano di banche, di investitori istituzionali e di piccoli e medi investitori. Una politica tesa al cambiamento radicale delle fonti energetiche produce un forte depauperamento di questi beni. Le reazioni avverse saranno violente.
La perdita diretta di valore delle azioni e delle obbligazioni sarebbe devastante, in poco tempo tenderebbe a zero, questo avrebbe un effetto immediato non solo per una crisi delle borse ma anche quella del sistema bancario. Le imprese non sarebbero in grado di rientrare dai prestiti, garantiti da titoli e obbligazioni, le banche non sarebbero in grado di restituire i soldi ai correntisti, il capitale proprio delle banche è intorno al 7% del volume degli affari. In questo quadro la crisi investirebbe, con gravi danni sociali, ogni comparto.
Il risultato è che le politiche ambientali sarebbero molto blande e non in grado di aggredire il problema.
Questo quadro altamente fosco è quello che si verificherebbe se fosse il mercato, come cercano di farci credere, a determinare gli equilibri economici ottimali.
In realtà una condizione necessaria ma non sufficiente è quella di avere uno scenario completo delle difficoltà che si prospettano e degli strumenti necessari per evitare, soprattutto, drammi sociali.
L’altro punto che completa il precedente è la necessità di un potere politico democratico con una forte investitura popolare.
Sarebbe l’ora che apparisse qualcuno in grado di riavvicinare, democraticamente, il logos ed il nomos.
L’altro punto che completa il precedente è la necessità di un potere politico democratico con una forte investitura popolare.
Sarebbe l’ora che apparisse qualcuno in grado di riavvicinare, democraticamente, il logos ed il nomos.
Fonte: di ENNO GHIANDELLI