"OMBRE D'EUROPA"
18-12-2022 - STORIE&STORIE
Lo storico Guido Crainz è appena uscito in libreria con un nuovo lavoro, Ombre d’Europa pubblicato da Donzelli in cui rilegge, alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina e della guerra che ne è seguita, la storia d’Europa successiva al 1989.
L’autore si propone di rintracciare le origini della crisi che investe il continente tra rigurgiti nazionalisti, uso pubblico della storia e memorie divise. Alla fine degli anni Ottanta, la situazione era profondamente cambiata rispetto ai tempi in cui l’integrazione europea aveva potuto giovarsi dei frutti dei Trente glorieuses che avevano portato all’aumento dell’occupazione e allo sviluppo del welfare. Erano ancora i tempi del compromesso socialdemocratico che tramonterà tra gli anni del primo shock petrolifero e le avvisaglie delle politiche neoliberiste thatcheriane in cui il feticcio del mercato sembrava aver trovato riparo in un pensiero unico che dettava la linea anche alle forze della sinistra.
Il processo d’integrazione mostra già qualche sintomo di stanchezza nel 2005 quando nei referendum per l’approvazione del Trattato costituzionale europeo in Francia si ha una spaccatura, praticamente a metà, del paese e il Trattato viene respinto, seppure con un margine minimo. Lo stesso esito ha il referendum indetto nei Paesi Bassi. Altri paesi rimandano sine die le procedure di ratifica. Alla fine, il Trattato viene abbandonato.
Nel 2004, infine, entrano nell’Unione europea i paesi baltici, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, la Polonia e l’Ungheria. Nel tempo, inizia, prima in silenzio, poi sempre più rumorosamente un confronto tra le memorie conflittuali dei paesi fondatori e quelle dei paesi ex-comunisti. David Bidussa scrive che – così facendo - si riconfigura lo stesso significato valoriale dell’Europa unita, dal quale «discende un conflitto culturale e simbolico in cui le destre tendono a far coincidere il concetto di Europa con lotta al comunismo, e le sinistre con lotta al fascismo». Ormai all’interno dell’Unione europea convivono due universi con due memorie separate e non comunicanti di cui sarà emblema la risoluzione del Parlamento europeo del 2019 sulla ‘importanza di una memoria europea per il futuro europeo’. Alcuni prestigiosi intellettuali provenienti dall’Europa orientale avevano rilevato per tempo, come un sensibile sismografo, che tra le forze che si opponevano ai regimi comunisti c’erano anche elementi che si richiamavano a tendenze nazionalistiche che poi sarebbero emerse in tutta la loro virulenza approfittando anche della fragilità delle istituzioni democratiche di quei paesi. A questo si sommava il sentimento di rimpianto per quel poco di garanzie che il sistema filosovietico riusciva ad assicurare ai suoi cittadini nello stesso momento storico in cui anche i paesi dell’Europa occidentale subivano i primi contraccolpi dei processi di globalizzazione.
I nazionalismi, a loro volta, avevano la necessità di legittimarsi di fronte alle opinioni pubbliche nazionali con la conseguenza che i leader di questi schieramenti si proponevano di rileggere la storia del proprio paese attraverso le lenti deformanti del sentimento nazionale.
Crainz rileva opportunamente come gli anni della transizione nell’Europa orientale hanno coinciso con l’acme del processo di identificazione tra democrazia liberale e economia neo liberale mentre, dopo la fine della seconda guerra mondiale, era successo esattamente il contrario quando l’affermarsi della democrazia si coniugò con lo sviluppo del welfare cementando così l’adesione dei paesi dell’Europa occidentale ai principi democratici.
La riflessione che chiude la prima parte di questo libro, quella più specificamente dedicata all’Europa, invoca – giustamente a parere di chi scrive – la nascita di una sfera pubblica europea che sia in grado di annullare o quantomeno contrastare le narrazioni tossiche di cui si nutrono i profili più illiberali presenti nelle nostre società.
L’autore si propone di rintracciare le origini della crisi che investe il continente tra rigurgiti nazionalisti, uso pubblico della storia e memorie divise. Alla fine degli anni Ottanta, la situazione era profondamente cambiata rispetto ai tempi in cui l’integrazione europea aveva potuto giovarsi dei frutti dei Trente glorieuses che avevano portato all’aumento dell’occupazione e allo sviluppo del welfare. Erano ancora i tempi del compromesso socialdemocratico che tramonterà tra gli anni del primo shock petrolifero e le avvisaglie delle politiche neoliberiste thatcheriane in cui il feticcio del mercato sembrava aver trovato riparo in un pensiero unico che dettava la linea anche alle forze della sinistra.
Il processo d’integrazione mostra già qualche sintomo di stanchezza nel 2005 quando nei referendum per l’approvazione del Trattato costituzionale europeo in Francia si ha una spaccatura, praticamente a metà, del paese e il Trattato viene respinto, seppure con un margine minimo. Lo stesso esito ha il referendum indetto nei Paesi Bassi. Altri paesi rimandano sine die le procedure di ratifica. Alla fine, il Trattato viene abbandonato.
Nel 2004, infine, entrano nell’Unione europea i paesi baltici, la Repubblica Ceca e la Slovacchia, la Polonia e l’Ungheria. Nel tempo, inizia, prima in silenzio, poi sempre più rumorosamente un confronto tra le memorie conflittuali dei paesi fondatori e quelle dei paesi ex-comunisti. David Bidussa scrive che – così facendo - si riconfigura lo stesso significato valoriale dell’Europa unita, dal quale «discende un conflitto culturale e simbolico in cui le destre tendono a far coincidere il concetto di Europa con lotta al comunismo, e le sinistre con lotta al fascismo». Ormai all’interno dell’Unione europea convivono due universi con due memorie separate e non comunicanti di cui sarà emblema la risoluzione del Parlamento europeo del 2019 sulla ‘importanza di una memoria europea per il futuro europeo’. Alcuni prestigiosi intellettuali provenienti dall’Europa orientale avevano rilevato per tempo, come un sensibile sismografo, che tra le forze che si opponevano ai regimi comunisti c’erano anche elementi che si richiamavano a tendenze nazionalistiche che poi sarebbero emerse in tutta la loro virulenza approfittando anche della fragilità delle istituzioni democratiche di quei paesi. A questo si sommava il sentimento di rimpianto per quel poco di garanzie che il sistema filosovietico riusciva ad assicurare ai suoi cittadini nello stesso momento storico in cui anche i paesi dell’Europa occidentale subivano i primi contraccolpi dei processi di globalizzazione.
I nazionalismi, a loro volta, avevano la necessità di legittimarsi di fronte alle opinioni pubbliche nazionali con la conseguenza che i leader di questi schieramenti si proponevano di rileggere la storia del proprio paese attraverso le lenti deformanti del sentimento nazionale.
Crainz rileva opportunamente come gli anni della transizione nell’Europa orientale hanno coinciso con l’acme del processo di identificazione tra democrazia liberale e economia neo liberale mentre, dopo la fine della seconda guerra mondiale, era successo esattamente il contrario quando l’affermarsi della democrazia si coniugò con lo sviluppo del welfare cementando così l’adesione dei paesi dell’Europa occidentale ai principi democratici.
La riflessione che chiude la prima parte di questo libro, quella più specificamente dedicata all’Europa, invoca – giustamente a parere di chi scrive – la nascita di una sfera pubblica europea che sia in grado di annullare o quantomeno contrastare le narrazioni tossiche di cui si nutrono i profili più illiberali presenti nelle nostre società.
Fonte: di Andrea Becherucci