"POPULISMO E ANTIPOLITICA"
21-02-2023 - STORIE&STORIE
Sempre più spesso nelle sacre aule dei palazzi istituzionali, quelli in cui si prendono decisioni e si legifera per il supremo interesse del Paese, si è assistito a spettacoli non degni di quella che dovrebbe essere la politica nella sua vera essenza del termine. Pensiamo, ad esempio, al giorno dell’elezione di Ignazio La Russa a Presidente del Senato. Allorquando il neo Presidente si è avvicinato in Aula a Silvio Berlusconi, seduto sui banchi del suo partito, dopo un breve scambio di battute, il Cavaliere ha sbattuto i pugni sul banco mandandolo persino a quel paese con un gesto inequivocabile.
Certo con l’ingresso nell’arena politica del Movimento Cinque Stelle sono apparse le prime avvisaglie di comportamenti inappropriati e irrispettosi delle istituzioni come l’esibizione di apriscatole nel corso della seduta parlamentare a simboleggiare la volontà di aprire dall’interno i Palazzi di potere, e dall’adozione di un linguaggio spesso offensivo e volgare. Il fenomeno si è implementato con la forte crescita di consensi, attestati dalle elezioni nazionali del 4 marzo 2018, alle forze antiestablishment o “neopopuliste”, prime fra tutti il M5S, che dopo aver provato a demolire ciò che restava delle ideologie del Novecento – “Il Movimento 5 Stelle – affermava Beppe Grillo – non è né di Destra né di Sinistra” – ha definito la propria offerta politica partendo con un marcato antagonismo binario fra “noi”, il “popolo puro” e “loro”, le élite politiche, economiche, finanziarie e le caste “corrotte”. Una rappresentazione dell’altro, del nemico, che si fa spazio grazie alla paura, soprattutto di quella relativa alla violazione della propria identità e della condizione ricorrente dell’esistenza esposte a continue sfide.
Il M5S, al pari della Lega, un partito che con la guida di Salvini ha intrapreso un percorso verso un populismo sovranista e identitario, è riuscito a rappresentare il sentimento dilagante di insoddisfazione, insicurezza, incertezza e per questo è stato premiato nelle urne. Gli elettori, finanche quelli più informati, secondo l’approccio della “group theory od democracy”, effettuano le proprie scelte non sulla base delle preferenze per le issue, ma secondo la loro identità sociale, che è in grado di modellare il modo di pensare e il proprio collocamento nel sistema partitico.
L’antipolitica tuttavia è stata utilizzata non solo come leva per l’acquisizione di consensi trasversali ma anche, nonostante l’assunzione di responsabilità di governo, come bussola di una linea politica-istituzionale in contrasto con i principi democratici. L’ex Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al varo del governo “gialloverde”, nel suo discorso di fiducia al Senato, ha apertamente rimarcato il proprio populismo, autoproclamandosi “avvocato del popolo” e dichiarando che “se il populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano queste qualificazioni”.
La politica si è svuotata progressivamente del senso più nobile, è stata per certi aspetti sottomessa ad altre sfere – si è arrivati persino a sostenere il primato della tecnocrazia – strumentalizzando il malcontento al fine del consenso e del voto di un elettorato volatile, che si è progressivamente allontanato dalle forme convenzionali di coinvolgimento democratico. Il populismo, patologia della democrazia, con la perdita di autorevolezza delle Assemblee Parlamentari, il declino dei partiti e dei corpi intermedi, è riuscito poi a rapportarsi con l’opinione pubblica attraverso un uso delle piattaforme digitali che ha accentuato la polarizzazione. Per i leader populisti la rete è il luogo privilegiato di radicalizzazione delle proposte elaborate ovviamente in chiave populista.
Cambiano i contesti politici, si succedono nuovi attori protagonisti e oggi permane la sfida di individuare un antidoto al populismo.
Certo con l’ingresso nell’arena politica del Movimento Cinque Stelle sono apparse le prime avvisaglie di comportamenti inappropriati e irrispettosi delle istituzioni come l’esibizione di apriscatole nel corso della seduta parlamentare a simboleggiare la volontà di aprire dall’interno i Palazzi di potere, e dall’adozione di un linguaggio spesso offensivo e volgare. Il fenomeno si è implementato con la forte crescita di consensi, attestati dalle elezioni nazionali del 4 marzo 2018, alle forze antiestablishment o “neopopuliste”, prime fra tutti il M5S, che dopo aver provato a demolire ciò che restava delle ideologie del Novecento – “Il Movimento 5 Stelle – affermava Beppe Grillo – non è né di Destra né di Sinistra” – ha definito la propria offerta politica partendo con un marcato antagonismo binario fra “noi”, il “popolo puro” e “loro”, le élite politiche, economiche, finanziarie e le caste “corrotte”. Una rappresentazione dell’altro, del nemico, che si fa spazio grazie alla paura, soprattutto di quella relativa alla violazione della propria identità e della condizione ricorrente dell’esistenza esposte a continue sfide.
Il M5S, al pari della Lega, un partito che con la guida di Salvini ha intrapreso un percorso verso un populismo sovranista e identitario, è riuscito a rappresentare il sentimento dilagante di insoddisfazione, insicurezza, incertezza e per questo è stato premiato nelle urne. Gli elettori, finanche quelli più informati, secondo l’approccio della “group theory od democracy”, effettuano le proprie scelte non sulla base delle preferenze per le issue, ma secondo la loro identità sociale, che è in grado di modellare il modo di pensare e il proprio collocamento nel sistema partitico.
L’antipolitica tuttavia è stata utilizzata non solo come leva per l’acquisizione di consensi trasversali ma anche, nonostante l’assunzione di responsabilità di governo, come bussola di una linea politica-istituzionale in contrasto con i principi democratici. L’ex Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al varo del governo “gialloverde”, nel suo discorso di fiducia al Senato, ha apertamente rimarcato il proprio populismo, autoproclamandosi “avvocato del popolo” e dichiarando che “se il populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano queste qualificazioni”.
La politica si è svuotata progressivamente del senso più nobile, è stata per certi aspetti sottomessa ad altre sfere – si è arrivati persino a sostenere il primato della tecnocrazia – strumentalizzando il malcontento al fine del consenso e del voto di un elettorato volatile, che si è progressivamente allontanato dalle forme convenzionali di coinvolgimento democratico. Il populismo, patologia della democrazia, con la perdita di autorevolezza delle Assemblee Parlamentari, il declino dei partiti e dei corpi intermedi, è riuscito poi a rapportarsi con l’opinione pubblica attraverso un uso delle piattaforme digitali che ha accentuato la polarizzazione. Per i leader populisti la rete è il luogo privilegiato di radicalizzazione delle proposte elaborate ovviamente in chiave populista.
Cambiano i contesti politici, si succedono nuovi attori protagonisti e oggi permane la sfida di individuare un antidoto al populismo.
Fonte: di Loredana Nuzzolese