"DITTATURE E DEMOCRAZIE NEL MONDO"
25-11-2023 - UNO SGUARDO SUL MONDO di Salvatore Rondello
Dopo cento anni si riaffacciano, sullo scenario politico internazionale ed anche su quello italiano, i fantasmi del passato.
Nel 1923, sulle pagine del quotidiano Il Mondo, Giovanni Amendola definì il sistema totalitario come “promessa del dominio assoluto e dello spadroneggiamento completo ed incontrollato nel campo della vita politica ed amministrativa”.
I regimi totalitari, purtroppo, esistono anche attualmente. Il Plan Condor ha avuto luogo nel quadro della strategia della Guerra Fredda degli Stati Uniti, guidata dalla Dottrina della Sicurezza Nazionale, promuovendo le dittature, con l’obiettivo di sopprimere i settori politici di sinistra, promuovendo un nuovo modello economico incentrato sul garantire benefici crescenti ai settori più conservatori con le maggiori risorse materiali. Nel 2023, il professor Joan Patrice Mc Sherry, sulla base di un documento desecretato dalla CIA il 23 giugno 1976, conferma il rapimento e la tortura di rifugiati cileni e uruguaiani a Buenos Aires. Dal documento emerge che “già all’inizio del 1974, funzionari della sicurezza di Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Bolivia si sono incontrati a Buenos Aires per preparare azioni coordinate contro obiettivi sovversivi.” Il Piano Condor è stato istituito per proteggere le forze sovversive in Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Bolivia. Venne costituito il 25 novembre 1975 in una riunione a Santiago del Cile tra Manuel Contreras, il capo della DINA (polizia segreta cilena), e i capi dei servizi segreti militari di Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay. In realtà questo piano è servito per opprimere le forze democratiche dell’America Latina.
Dopo che a Cuba Fidel Castro instaurò un regime comunista, la preoccupazione degli Stati Uniti fu quella di evitare che altri Paesi dell’America Latina potessero avvicinarsi al regime sovietico.
Poi, con la caduta del muro di Berlino, simbolo della caduta degli oppressivi regimi comunisti, sono arrivate le speranze liberatorie per una diffusione della democrazia nel mondo. Tuttavia, le promesse di universalizzazione del sistema democratico, dopo la caduta della cortina di ferro e la fine dell’apartheid in Sudafrica, non sono state mantenute e le dittature ci sono ancora nel 20% dei paesi del mondo.
Questi dati sono emersi nel rapporto “The Global State of Democracy 2023”, pubblicato dall’organizzazione intergovernativa International Institute for Democracy and Electoral Assistance (IDEA), che misura il livello di pluralismo delle istituzioni governative nel mondo. Nella sua conclusione si evince che, nonostante i progressi, la democrazia si sta indebolendo in tutto il mondo, con poche eccezioni.
L’indice di democrazia di IDEA divide il mondo in 3 blocchi: democrazie; regimi ibridi, che vanno da democrazie autoritarie come la Russia o il Marocco a dittature in via di apertura, come Singapore o l’Etiopia; e ciò che chiama “non democrazie”.
Le dittature militari sono regimi in cui un gruppo di ufficiali detiene il potere, determina chi dirigerà il paese e influenza la politica. Le élite di alto livello e un leader sono i membri della dittatura militare. Queste dittature sono caratterizzate da un governo militare professionalizzato come istituzione. Nei regimi militari, le élite sono indicate come membri della giunta; di solito sono comandanti anziani dell’esercito (e spesso altri ufficiali di alto livello).
Gli esempi di questo tipo di dittatura li troviamo nel XX secolo in paesi come il Cile di Augusto Pinochet, l’Argentina di Jorge Rafael Videla e altri leader, l’Uruguay di Juan María Bordaberry, il Paraguay di Alfredo Stroessner, la Bolivia di Hugo Banzer, il Brasile di Humberto de Alencar Castelo Branco. Anche in Europa va ricordata la dittatura dei colonnelli in Grecia.
Le dittature personaliste sono regimi in cui tutto il potere è nelle mani di un singolo individuo (Hitler, Mussolini, Francisco Franco, etc). Queste dittature differiscono dalle altre forme di dittatura per l’accesso a posizioni politiche chiave, concentrazione dei poteri nella carica, e dipendono molto di più dalla discrezionalità personalista del dittatore. I dittatori personalisti possono essere membri delle forze armate o leader di un partito politico. Tuttavia, né i militari né il partito esercitano il potere indipendentemente dal dittatore. Nelle dittature personaliste, il corpo dell’élite è solitamente composto da amici o parenti stretti del dittatore. Questi individui sono di solito scelti dal dittatore per occupare posti chiave di potere.
A volte è difficile distinguere tra dittature pure e dure, semidittature, dittature e sistemi democratici solo formali ma per nulla reali. Alcuni rapporti stimano che ci sono 51 dittature i cui principi e le cui pratiche corrispondono alla definizione del termine e che un totale di 107 paesi sui 195 riconosciuti dall’ONU non godono di piene libertà e diritti fondamentali. Freedom House stima che circa il 60% della popolazione mondiale, circa 4 miliardi di persone, più di un quarto delle quali in Cina, sono governate in modo autoritario, autocratico e dispotico.
Marocco e Giordania, al contrario, sono due monarchie che si sono aperte a formule democratiche e, anche se con molte limitazioni e restrizioni, non possono più essere considerate dittature. Su posizioni di assolutismo totalitario troviamo il ricco emirato asiatico del Brunei, guidato dal sultano Hassanal Bolkiah, e la monarchia colorata e corrotta dello Swaziland, dove la voracità poligama dello stravagante re Mswati III rivaleggia con il suo dispotismo e la severità del suo governo.
Il settimanale britannico The Economist ogni anno fa una classificazione sullo stato di salute di 167 Paesi del mondo, dividendo i governi in democrazie piene, imperfette, regimi ibridi e autoritarismi.
Dal recente rapporto pubblicato dall’Economist , le Democrazie piene sarebbero solo 24. La Norvegia è confermata al primo posto come migliore governo al mondo con un punteggio globale di 9.81/10. Confermata anche la Nuova Zelanda al secondo posto, mentre l’Islanda ha superato la Svezia nell’occupazione del terzo gradino del podio (dopo il cambio di governo passato dai socialdemocratici alla destra). Seguono e completano la top ten Finlandia, Danimarca, Svizzera, Irlanda, Paesi Bassi e Taiwan.
Se guardiamo la popolazione mondiale, appena l’8% per cento vive in questi 24 Paesi. Resta invece invariato il numero degli autoritarismi, 59 in totale.
Nel caso della Russia, il governo di Putin registra il più grande declino democratico tra tutti i paesi. Scendendo di 22 posizioni dalla classifica precedente si classifica al 146esimo posto. A livello globale, i tre paesi con il punteggio peggiore sono l’Afghanistan, il Myanmar e la Corea del Nord.
L’Italia, in questa classificazione si trova nella categoria delle Democrazie imperfette occupando la 34esima posizione globale, in calo di tre posti rispetto al 2021, con un punteggio di 7,69. Secondo l’indicatore dell’Economist saremmo avanti dal punto di vista del processo elettorale e del pluralismo (9.58, - però sorge il dubbio che forse non è stata valutata sufficientemente la legge elettorale in vigore, ma anche i dati di una ridotta partecipazione degli elettori al voto), ma è molto meno adeguata dal punto di vista del funzionamento del governo (6.79).
Il democracy index del prestigioso giornale inglese è una media ponderata basata sulle risposte a 60 domande, ognuna delle quali ha due o tre alternative di risposte consentite. Molte delle risposte sono “valutate da esperti”; il report non indica il tipo di esperti, né il loro numero, né se gli esperti sono impiegati nel The Economist o ad esempio se studiosi indipendenti, né la nazionalità degli esperti. Alcune risposte sono fornite dall’esame dell’opinione pubblica emergente da sondaggi nei rispettivi paesi. Nel caso di paesi per i quali manchi un sondaggio, questo viene ricavato da paesi simili e la valutazione degli esperti viene usata per chiarire i punti oscuri.
Per ciascuno dei 60 quesiti, gli esperti assegnano una valutazione di 1 (corrispondente alla risposta “sì”) o 0 (“no”), oppure, in alcuni casi è ammesso anche lo 0,5 (per risposte non nette). Oltre alla valutazione degli esperti, si tengono in considerazione sondaggi nazionali o regionali certificati e parametri come la partecipazione elettorale. Ogni macro categoria, alla fine, riceve un punteggio da zero a dieci e in base alla media dei voti ottenuta si stila la classifica. I risultati dell’indice vengono poi utilizzati per posizionare i Paesi in uno dei 4 tipi di regime democratico: “democrazia piena” (punteggio superiore a 8), “democrazia imperfetta” (tra 6 e 8), “regime ibrido” (tra 4 e 6) e “regime autoritario” (4 punti o inferiore).
Dagli indici delle quattro categorie mostrate nel report, viene poi calcolata la media che fornisce il democracy index della nazione. Infine, l’indice decide la classificazione della nazione in questo modo:
- Democrazie complete (punteggio di 8-10): sono nazioni dove le libertà civili e politiche di base non solo sono rispettate, ma anche rinforzate da una cultura politica che contribuisce alla prosperità dei principi democratici. Queste nazioni hanno un valido sistema di pesi e contrappesi di governo, una magistratura indipendente le cui decisioni vengono imposte, governi che funzionano in maniera adeguata e media che sono diversificati e indipendenti. Queste nazioni hanno problemi limitati nell’ingranaggio democratico;
- Democrazie imperfette (punteggio da 6 a 7.99): sono nazioni dove le elezioni sono libere e le libertà civili di base sono rispettate, ma possono avere dei problemi (ad esempio violazione della libertà d’informazione). Nondimeno, queste nazioni hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, inclusi una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione nella vita politica, e problemi nel funzionamento del governo.
- Regimi ibridi (punteggio da 4 a 5.99): sono nazioni dove avvengono puntualmente significative irregolarità nelle elezioni che non sono quindi libere. Queste nazioni comunemente hanno governi che mettono pressione all’opposizione, una magistratura non indipendente e una corruzione estesa, pressione sui media, debole principio di legalità e falle più pronunciate delle democrazie imperfette nel campo della cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione politica e problemi nel funzionamento del governo.
- Regimi autoritari (punteggio inferiore a 4): sono nazioni dove il pluralismo politico è assente o è estremamente limitato. Queste nazioni sono spesso dittature assolute, possono avere qualche istituzione convenzionale propria di una democrazia ma di scarsa rilevanza; le violazioni e gli abusi sulle libertà civili sono all’ordine del giorno, le elezioni (se ci sono) non sono assolutamente libere, i media sono spesso controllati dallo Stato o da gruppi associati al regime, la magistratura non è indipendente, la censura è onnipresente e sopprime ogni critica che interessi il governo.
Secondo l’Economist, nel 2021 a vivere in una democrazia è il 46% della popolazione mondiale, ma il dato è in calo rispetto all’anno prima con la prospettiva di un trend negativo.
A mio modesto parere, per misurare ancora più correttamente una democrazia andrebbero aggiunti o presi in considerazione altri tre indicatori relativi alla distribuzione della ricchezza, alla distribuzione del potere e all’attuazione della democrazia economica.
Nel 1923, sulle pagine del quotidiano Il Mondo, Giovanni Amendola definì il sistema totalitario come “promessa del dominio assoluto e dello spadroneggiamento completo ed incontrollato nel campo della vita politica ed amministrativa”.
I regimi totalitari, purtroppo, esistono anche attualmente. Il Plan Condor ha avuto luogo nel quadro della strategia della Guerra Fredda degli Stati Uniti, guidata dalla Dottrina della Sicurezza Nazionale, promuovendo le dittature, con l’obiettivo di sopprimere i settori politici di sinistra, promuovendo un nuovo modello economico incentrato sul garantire benefici crescenti ai settori più conservatori con le maggiori risorse materiali. Nel 2023, il professor Joan Patrice Mc Sherry, sulla base di un documento desecretato dalla CIA il 23 giugno 1976, conferma il rapimento e la tortura di rifugiati cileni e uruguaiani a Buenos Aires. Dal documento emerge che “già all’inizio del 1974, funzionari della sicurezza di Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Bolivia si sono incontrati a Buenos Aires per preparare azioni coordinate contro obiettivi sovversivi.” Il Piano Condor è stato istituito per proteggere le forze sovversive in Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Bolivia. Venne costituito il 25 novembre 1975 in una riunione a Santiago del Cile tra Manuel Contreras, il capo della DINA (polizia segreta cilena), e i capi dei servizi segreti militari di Argentina, Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay. In realtà questo piano è servito per opprimere le forze democratiche dell’America Latina.
Dopo che a Cuba Fidel Castro instaurò un regime comunista, la preoccupazione degli Stati Uniti fu quella di evitare che altri Paesi dell’America Latina potessero avvicinarsi al regime sovietico.
Poi, con la caduta del muro di Berlino, simbolo della caduta degli oppressivi regimi comunisti, sono arrivate le speranze liberatorie per una diffusione della democrazia nel mondo. Tuttavia, le promesse di universalizzazione del sistema democratico, dopo la caduta della cortina di ferro e la fine dell’apartheid in Sudafrica, non sono state mantenute e le dittature ci sono ancora nel 20% dei paesi del mondo.
Questi dati sono emersi nel rapporto “The Global State of Democracy 2023”, pubblicato dall’organizzazione intergovernativa International Institute for Democracy and Electoral Assistance (IDEA), che misura il livello di pluralismo delle istituzioni governative nel mondo. Nella sua conclusione si evince che, nonostante i progressi, la democrazia si sta indebolendo in tutto il mondo, con poche eccezioni.
L’indice di democrazia di IDEA divide il mondo in 3 blocchi: democrazie; regimi ibridi, che vanno da democrazie autoritarie come la Russia o il Marocco a dittature in via di apertura, come Singapore o l’Etiopia; e ciò che chiama “non democrazie”.
Le dittature militari sono regimi in cui un gruppo di ufficiali detiene il potere, determina chi dirigerà il paese e influenza la politica. Le élite di alto livello e un leader sono i membri della dittatura militare. Queste dittature sono caratterizzate da un governo militare professionalizzato come istituzione. Nei regimi militari, le élite sono indicate come membri della giunta; di solito sono comandanti anziani dell’esercito (e spesso altri ufficiali di alto livello).
Gli esempi di questo tipo di dittatura li troviamo nel XX secolo in paesi come il Cile di Augusto Pinochet, l’Argentina di Jorge Rafael Videla e altri leader, l’Uruguay di Juan María Bordaberry, il Paraguay di Alfredo Stroessner, la Bolivia di Hugo Banzer, il Brasile di Humberto de Alencar Castelo Branco. Anche in Europa va ricordata la dittatura dei colonnelli in Grecia.
Le dittature personaliste sono regimi in cui tutto il potere è nelle mani di un singolo individuo (Hitler, Mussolini, Francisco Franco, etc). Queste dittature differiscono dalle altre forme di dittatura per l’accesso a posizioni politiche chiave, concentrazione dei poteri nella carica, e dipendono molto di più dalla discrezionalità personalista del dittatore. I dittatori personalisti possono essere membri delle forze armate o leader di un partito politico. Tuttavia, né i militari né il partito esercitano il potere indipendentemente dal dittatore. Nelle dittature personaliste, il corpo dell’élite è solitamente composto da amici o parenti stretti del dittatore. Questi individui sono di solito scelti dal dittatore per occupare posti chiave di potere.
A volte è difficile distinguere tra dittature pure e dure, semidittature, dittature e sistemi democratici solo formali ma per nulla reali. Alcuni rapporti stimano che ci sono 51 dittature i cui principi e le cui pratiche corrispondono alla definizione del termine e che un totale di 107 paesi sui 195 riconosciuti dall’ONU non godono di piene libertà e diritti fondamentali. Freedom House stima che circa il 60% della popolazione mondiale, circa 4 miliardi di persone, più di un quarto delle quali in Cina, sono governate in modo autoritario, autocratico e dispotico.
Marocco e Giordania, al contrario, sono due monarchie che si sono aperte a formule democratiche e, anche se con molte limitazioni e restrizioni, non possono più essere considerate dittature. Su posizioni di assolutismo totalitario troviamo il ricco emirato asiatico del Brunei, guidato dal sultano Hassanal Bolkiah, e la monarchia colorata e corrotta dello Swaziland, dove la voracità poligama dello stravagante re Mswati III rivaleggia con il suo dispotismo e la severità del suo governo.
Il settimanale britannico The Economist ogni anno fa una classificazione sullo stato di salute di 167 Paesi del mondo, dividendo i governi in democrazie piene, imperfette, regimi ibridi e autoritarismi.
Dal recente rapporto pubblicato dall’Economist , le Democrazie piene sarebbero solo 24. La Norvegia è confermata al primo posto come migliore governo al mondo con un punteggio globale di 9.81/10. Confermata anche la Nuova Zelanda al secondo posto, mentre l’Islanda ha superato la Svezia nell’occupazione del terzo gradino del podio (dopo il cambio di governo passato dai socialdemocratici alla destra). Seguono e completano la top ten Finlandia, Danimarca, Svizzera, Irlanda, Paesi Bassi e Taiwan.
Se guardiamo la popolazione mondiale, appena l’8% per cento vive in questi 24 Paesi. Resta invece invariato il numero degli autoritarismi, 59 in totale.
Nel caso della Russia, il governo di Putin registra il più grande declino democratico tra tutti i paesi. Scendendo di 22 posizioni dalla classifica precedente si classifica al 146esimo posto. A livello globale, i tre paesi con il punteggio peggiore sono l’Afghanistan, il Myanmar e la Corea del Nord.
L’Italia, in questa classificazione si trova nella categoria delle Democrazie imperfette occupando la 34esima posizione globale, in calo di tre posti rispetto al 2021, con un punteggio di 7,69. Secondo l’indicatore dell’Economist saremmo avanti dal punto di vista del processo elettorale e del pluralismo (9.58, - però sorge il dubbio che forse non è stata valutata sufficientemente la legge elettorale in vigore, ma anche i dati di una ridotta partecipazione degli elettori al voto), ma è molto meno adeguata dal punto di vista del funzionamento del governo (6.79).
Il democracy index del prestigioso giornale inglese è una media ponderata basata sulle risposte a 60 domande, ognuna delle quali ha due o tre alternative di risposte consentite. Molte delle risposte sono “valutate da esperti”; il report non indica il tipo di esperti, né il loro numero, né se gli esperti sono impiegati nel The Economist o ad esempio se studiosi indipendenti, né la nazionalità degli esperti. Alcune risposte sono fornite dall’esame dell’opinione pubblica emergente da sondaggi nei rispettivi paesi. Nel caso di paesi per i quali manchi un sondaggio, questo viene ricavato da paesi simili e la valutazione degli esperti viene usata per chiarire i punti oscuri.
Per ciascuno dei 60 quesiti, gli esperti assegnano una valutazione di 1 (corrispondente alla risposta “sì”) o 0 (“no”), oppure, in alcuni casi è ammesso anche lo 0,5 (per risposte non nette). Oltre alla valutazione degli esperti, si tengono in considerazione sondaggi nazionali o regionali certificati e parametri come la partecipazione elettorale. Ogni macro categoria, alla fine, riceve un punteggio da zero a dieci e in base alla media dei voti ottenuta si stila la classifica. I risultati dell’indice vengono poi utilizzati per posizionare i Paesi in uno dei 4 tipi di regime democratico: “democrazia piena” (punteggio superiore a 8), “democrazia imperfetta” (tra 6 e 8), “regime ibrido” (tra 4 e 6) e “regime autoritario” (4 punti o inferiore).
Dagli indici delle quattro categorie mostrate nel report, viene poi calcolata la media che fornisce il democracy index della nazione. Infine, l’indice decide la classificazione della nazione in questo modo:
- Democrazie complete (punteggio di 8-10): sono nazioni dove le libertà civili e politiche di base non solo sono rispettate, ma anche rinforzate da una cultura politica che contribuisce alla prosperità dei principi democratici. Queste nazioni hanno un valido sistema di pesi e contrappesi di governo, una magistratura indipendente le cui decisioni vengono imposte, governi che funzionano in maniera adeguata e media che sono diversificati e indipendenti. Queste nazioni hanno problemi limitati nell’ingranaggio democratico;
- Democrazie imperfette (punteggio da 6 a 7.99): sono nazioni dove le elezioni sono libere e le libertà civili di base sono rispettate, ma possono avere dei problemi (ad esempio violazione della libertà d’informazione). Nondimeno, queste nazioni hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, inclusi una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione nella vita politica, e problemi nel funzionamento del governo.
- Regimi ibridi (punteggio da 4 a 5.99): sono nazioni dove avvengono puntualmente significative irregolarità nelle elezioni che non sono quindi libere. Queste nazioni comunemente hanno governi che mettono pressione all’opposizione, una magistratura non indipendente e una corruzione estesa, pressione sui media, debole principio di legalità e falle più pronunciate delle democrazie imperfette nel campo della cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione politica e problemi nel funzionamento del governo.
- Regimi autoritari (punteggio inferiore a 4): sono nazioni dove il pluralismo politico è assente o è estremamente limitato. Queste nazioni sono spesso dittature assolute, possono avere qualche istituzione convenzionale propria di una democrazia ma di scarsa rilevanza; le violazioni e gli abusi sulle libertà civili sono all’ordine del giorno, le elezioni (se ci sono) non sono assolutamente libere, i media sono spesso controllati dallo Stato o da gruppi associati al regime, la magistratura non è indipendente, la censura è onnipresente e sopprime ogni critica che interessi il governo.
Secondo l’Economist, nel 2021 a vivere in una democrazia è il 46% della popolazione mondiale, ma il dato è in calo rispetto all’anno prima con la prospettiva di un trend negativo.
A mio modesto parere, per misurare ancora più correttamente una democrazia andrebbero aggiunti o presi in considerazione altri tre indicatori relativi alla distribuzione della ricchezza, alla distribuzione del potere e all’attuazione della democrazia economica.
Fonte: di Salvatore Rondello