"DARE UNA PATRIA ALL’UMANITA’
19-12-2022 - UNO SGUARDO SUL MONDO di Salvatore Rondello
Il cosmopolitismo ossia il concetto di cittadini del mondo ha origini antichissime. La prima espressione risalirebbe a Diogene di Sinope che si definiva cosmopolita a chi gli chiedeva quale fosse la sua patria.
Nella seconda metà del V secolo a.C. in Grecia, in seguito al decadimento politico della città-stato, si diffuse la filosofia dei sofisti che sostiene la relatività e artificiosità della legge che introduce quelle false differenziazioni politiche tra gli uomini i quali, invece, hanno una comune essenziale caratteristica nella natura. Gli uomini quindi hanno non solo un'uguale costituzione biofisica, come sostiene il sofista Antifonte, ma sono anche accomunati per natura «a una stessa stirpe, a una stessa famiglia, a uno stesso Stato.»
L'ideale del cosmopolitismo, nella forma dell'universalismo, ebbe parziali tentativi di realizzazione con il progetto politico di Alessandro Magno tendente ad unificare i greci e i barbari con la diffusione della koiné ellenistica, la comune lingua franca nel Mar Mediterraneo che avrebbe dovuto portare i diversi popoli ad un'unità non solo di lingua, ma anche di religione e civiltà.
Nell'età imperiale romana, l'ideale della "civitas universalis" appare solo politicamente realizzato con la Constitutio antoniniana di Caracalla (212 d.C.) che concede la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell'Impero.
A queste parziali realizzazioni si contrappone il cosmopolitismo integrale, esteso a tutta l'umanità, propagandato dalla filosofia stoica convinta dell'esistenza di un superiore logos universale presente in tutte le cose, da quelle terrene sino alle stelle, che garantisce così l'unità razionale dell'intero cosmo: «il logos attraversa tutte le cose mescolandosi al grande come ai piccoli astri luminosi».
Esiste dunque un comune sentire, una "simpatia" universale dovuta alla presenza del logos nei particolari individuali che rende così gli uomini tutti uguali nella loro essenziale e comune razionalità, differenti solo nella loro corporeità.
La presenza negli uomini della comune razionalità, emanazione di quella divina, fa pensare a Zenone di Cizio alla possibilità di un progetto politico con la fondazione di uno Stato ideale (Politeia), dove tutti siano sottoposti alla legge della ragione.
Questo ideale politico di una universale legge razionale che ha ormai unito quello che nel cosmopolitismo sofistico era diviso tra legge e natura, arriva integralmente nella cultura romana di Cicerone, che lo mescola a un principio utilitaristico di Seneca (La patria è ovunque vi sia il bene), fino a quella di Marco Aurelio che pensa alla possibilità di realizzare l'Impero come una patria universale: «In quanto Antonino il mio Stato e la mia patria è Roma, in quanto uomo è il mondo».
L'influenza dello stoicismo prosegue nella filosofia cristiana di Tertulliano e Origene fino al III secolo quando il cosmopolitismo assume le coloriture di un universalismo ecumenico con Sant'Agostino che lo trasmetterà al Papato e agli Imperi medioevali.
Dante Alighieri, con il suo saggio politico in latino “De Monarchia” composto nel 1312-1313, approfondisce il discorso sulla monarchia universale in quanto necessaria tutrice del benessere dell’uomo. Nel libro I dimostra, innanzitutto, la necessità di avere un singolo Monarca. Descrive come soltanto un unico Monarca sarebbe in grado di tendere verso il bene comune, in quanto egli soltanto può rappresentare l'insieme degli uomini. Il Monarca è sopra ogni passione, dove invece i singoli cadono. Probabilmente condizionato dalla conoscenza del “buon governo” di Federico II.
Il concetto di cosmopolitismo sembra scomparire nei secoli seguenti con rare eccezioni, come con Erasmo da Rotterdam il quale, coniugando lo stoicismo antico con il cristianesimo, afferma che gli uomini hanno una comune natura sia perché fratelli in Cristo, sia per la loro comune ragione. Egli quindi coerentemente si proclama “civis totius mundi” (cittadino dell'intero mondo) quando rifiuta la cittadinanza di Zurigo che Zuinglio gli offre.
Elemento di raccordo tra il cosmopolitismo stoico e quello illuministico sono nel Seicento le correnti giusnaturalistiche di Ugo Grozio e Samuel Pufendorf sostenenti una comune origine degli Stati da norme morali e giuridiche stabilite dalla natura.
Anticipazioni dei temi universalistici e illuministici si ritrovano anche nella ripresa seicentesca dello scetticismo pirroniano, nel relativismo storico, nella critica dei libertini alle religioni rivelate, nella diffusione dell'ideale di un'appartenenza degli intellettuali ad una comune "repubblica delle lettere".
Il cosmopolitismo settecentesco, che ha i suoi fondamenti nella comunanza di natura e ragione che stabiliscono un ordine universale del quale fanno spontaneamente parte gli individui, si presenta sotto diversi aspetti: come ripresa del cosmopolitismo culturale antico per cui «Il filosofo non è né francese né inglese né fiorentino, egli è di tutti i paesi» e, poiché l'uomo è «cittadino e abitante del mondo» come spirito di collaborazione e di solidarietà sociale.
Nel cosmopolitismo settecentesco si ritrova la critica del concetto di patria: sia nella Encyclopédie che nel Dictionnaire philosophique la definizione di "cosmopolita" viene infatti lasciata nel generico mentre sotto il termine "patrie", in Voltaire, o "fanatisme du patriote", nell'Encyclopédie, il significato di cosmopolitismo appare più approfondito.
Rousseau condivide l'ideale cosmopolitico che porta alla fratellanza universale, ma non approva “i cosmopoliti, che vogliono cercare lontano, nei loro libri, quei doveri che disdegnano di compiere presso di sé”.
Rousseau è convinto infatti della necessità di un programma pedagogico che istruisca gli uomini a perseguire il cosmopolitismo senza rinnegare un sentimento patriottico nazionale: per questo condanna lo zar Pietro il Grande che tentò la snazionalizzazione dei russi in nome della moderna civiltà occidentale.
Nel corso dell'Ottocento il cosmopolitismo subì una trasformazione radicale a opera del marxismo, che sostenne l'internazionalismo della lotta di classe proletaria: “il movimento operaio rifiuta le divisioni nazionali e intende diffondersi su scala planetaria”.
Nell'ambito della propagazione del cosmopolitismo è da annoverare la Massoneria che fin dai suoi inizi è caratterizzata dagli ideali di tolleranza e universalismo. La sua stessa simbologia vuole rappresentare un sistema di valori universali al di là delle differenze linguistiche nazionali, dal credo religioso, dalla diversa etnia, dalla diversa cultura e dal diverso territorio di origine in netta contrapposizione a qualsiasi ideologia razzista.
Tra i massoni, un rilievo particolare assume Teodoro Moneta (1833-1918), giornalista (direttore del Secolo 1869-1896), garibaldino (impresa dei mille). Nel 1887 fondò L’unione lombarda per la Pace e la Società per la pace e la giustizia internazionale. Nel 1890 con “La Vita Internazionale” la sua indagine ed il suo impegno assunsero una autorevole dimensione cosmopolita che lo proiettò decisamente nello scenario europeo. Nel 1895 divenne il rappresentante italiano nella Commissione del “International Peace Bureau”. Nel 1906 programmò e costruì un Padiglione per la pace alla esposizione internazionale di Milano, durante la quale condusse come Presidente il 15º Congresso Internazionale sulla Pace. Nel 1907 Ernesto Teodoro Moneta ricevette il premio Nobel per la pace insieme al giurista francese Louis Renault. La larghissima produzione di scritti di Moneta, che copre l'arco di un cinquantennio non è stata mai esplorata sistematicamente e risulta oggi in parte addirittura dispersa.
L’impegno di Teodoro Moneta non fu vano. Successivamente, dopo la prima guerra mondiale, con la firma del trattato di Versailles, nel 1919 si costituì la Società delle Nazioni sciolta nel 1946 a seguito del suo fallimento dovuto allo scoppio della seconda guerra mondiale ed alla costituzione nel 1945 dell’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite.
Nel Novecento, soprattutto tra le due guerre mondiali, il cosmopolitismo venne recuperato nella sua versione culturale, come atteggiamento proprio dell'intellettuale libero da ogni pregiudizio patriottico.
Oggi al cosmopolitismo è subentrata la globalizzazione, che, se vorrebbe rappresentare l'interdipendenza dei processi economici e politici, in realtà è una riduzione delle vocazioni universalistiche che sono limitate all'omogeneizzazione del mercato mondiale.
Attualmente, la globalizzazione dei mercati economici, in assenza di una autorevole organizzazione che possa governarli, ha determinato il fallimento del neoliberismo come teoria economica in grado di autoregolamentare l’economia ed i mercati. Il fallimento di questa politica economica fu previsto, sin all’inizio, da alcuni economisti tra cui Paolo Sylos Labini.
Adesso, riproporre la cultura del cosmopolitismo è necessario per il bene dell’umanità. Infatti, non si intravedono percorsi migliori per raggiungere la pace duratura e la piena attuazione dei diritti universali dell’uomo. Il concetto di fratellanza tra i diversi popoli della terra è un punto fondamentale. Inoltre, dall’attuazione del pensiero cosmopolita, si potrebbero affrontare con efficacia risolutiva le problematiche che oggi affliggono l’umanità e che sono ancora senza risposta: guerre, inquinamenti del pianeta, economia selvaggia basata su nuove tecnologie, povertà in aumento. Questi sono i principali fattori che alimentano nuovi e continui disagi sociali per l’umanità con molteplici effetti negativi ampiamente diffusi, che diventano nel tempo corrosive delle democrazie e della libertà. In breve, dare una nuova Patria all’Umanità dovrebbe essere il faro acceso per illuminare i nuovi lavori dell’Internazionale Socialista presieduta da Pedro Sanchez.
Nella seconda metà del V secolo a.C. in Grecia, in seguito al decadimento politico della città-stato, si diffuse la filosofia dei sofisti che sostiene la relatività e artificiosità della legge che introduce quelle false differenziazioni politiche tra gli uomini i quali, invece, hanno una comune essenziale caratteristica nella natura. Gli uomini quindi hanno non solo un'uguale costituzione biofisica, come sostiene il sofista Antifonte, ma sono anche accomunati per natura «a una stessa stirpe, a una stessa famiglia, a uno stesso Stato.»
L'ideale del cosmopolitismo, nella forma dell'universalismo, ebbe parziali tentativi di realizzazione con il progetto politico di Alessandro Magno tendente ad unificare i greci e i barbari con la diffusione della koiné ellenistica, la comune lingua franca nel Mar Mediterraneo che avrebbe dovuto portare i diversi popoli ad un'unità non solo di lingua, ma anche di religione e civiltà.
Nell'età imperiale romana, l'ideale della "civitas universalis" appare solo politicamente realizzato con la Constitutio antoniniana di Caracalla (212 d.C.) che concede la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell'Impero.
A queste parziali realizzazioni si contrappone il cosmopolitismo integrale, esteso a tutta l'umanità, propagandato dalla filosofia stoica convinta dell'esistenza di un superiore logos universale presente in tutte le cose, da quelle terrene sino alle stelle, che garantisce così l'unità razionale dell'intero cosmo: «il logos attraversa tutte le cose mescolandosi al grande come ai piccoli astri luminosi».
Esiste dunque un comune sentire, una "simpatia" universale dovuta alla presenza del logos nei particolari individuali che rende così gli uomini tutti uguali nella loro essenziale e comune razionalità, differenti solo nella loro corporeità.
La presenza negli uomini della comune razionalità, emanazione di quella divina, fa pensare a Zenone di Cizio alla possibilità di un progetto politico con la fondazione di uno Stato ideale (Politeia), dove tutti siano sottoposti alla legge della ragione.
Questo ideale politico di una universale legge razionale che ha ormai unito quello che nel cosmopolitismo sofistico era diviso tra legge e natura, arriva integralmente nella cultura romana di Cicerone, che lo mescola a un principio utilitaristico di Seneca (La patria è ovunque vi sia il bene), fino a quella di Marco Aurelio che pensa alla possibilità di realizzare l'Impero come una patria universale: «In quanto Antonino il mio Stato e la mia patria è Roma, in quanto uomo è il mondo».
L'influenza dello stoicismo prosegue nella filosofia cristiana di Tertulliano e Origene fino al III secolo quando il cosmopolitismo assume le coloriture di un universalismo ecumenico con Sant'Agostino che lo trasmetterà al Papato e agli Imperi medioevali.
Dante Alighieri, con il suo saggio politico in latino “De Monarchia” composto nel 1312-1313, approfondisce il discorso sulla monarchia universale in quanto necessaria tutrice del benessere dell’uomo. Nel libro I dimostra, innanzitutto, la necessità di avere un singolo Monarca. Descrive come soltanto un unico Monarca sarebbe in grado di tendere verso il bene comune, in quanto egli soltanto può rappresentare l'insieme degli uomini. Il Monarca è sopra ogni passione, dove invece i singoli cadono. Probabilmente condizionato dalla conoscenza del “buon governo” di Federico II.
Il concetto di cosmopolitismo sembra scomparire nei secoli seguenti con rare eccezioni, come con Erasmo da Rotterdam il quale, coniugando lo stoicismo antico con il cristianesimo, afferma che gli uomini hanno una comune natura sia perché fratelli in Cristo, sia per la loro comune ragione. Egli quindi coerentemente si proclama “civis totius mundi” (cittadino dell'intero mondo) quando rifiuta la cittadinanza di Zurigo che Zuinglio gli offre.
Elemento di raccordo tra il cosmopolitismo stoico e quello illuministico sono nel Seicento le correnti giusnaturalistiche di Ugo Grozio e Samuel Pufendorf sostenenti una comune origine degli Stati da norme morali e giuridiche stabilite dalla natura.
Anticipazioni dei temi universalistici e illuministici si ritrovano anche nella ripresa seicentesca dello scetticismo pirroniano, nel relativismo storico, nella critica dei libertini alle religioni rivelate, nella diffusione dell'ideale di un'appartenenza degli intellettuali ad una comune "repubblica delle lettere".
Il cosmopolitismo settecentesco, che ha i suoi fondamenti nella comunanza di natura e ragione che stabiliscono un ordine universale del quale fanno spontaneamente parte gli individui, si presenta sotto diversi aspetti: come ripresa del cosmopolitismo culturale antico per cui «Il filosofo non è né francese né inglese né fiorentino, egli è di tutti i paesi» e, poiché l'uomo è «cittadino e abitante del mondo» come spirito di collaborazione e di solidarietà sociale.
Nel cosmopolitismo settecentesco si ritrova la critica del concetto di patria: sia nella Encyclopédie che nel Dictionnaire philosophique la definizione di "cosmopolita" viene infatti lasciata nel generico mentre sotto il termine "patrie", in Voltaire, o "fanatisme du patriote", nell'Encyclopédie, il significato di cosmopolitismo appare più approfondito.
Rousseau condivide l'ideale cosmopolitico che porta alla fratellanza universale, ma non approva “i cosmopoliti, che vogliono cercare lontano, nei loro libri, quei doveri che disdegnano di compiere presso di sé”.
Rousseau è convinto infatti della necessità di un programma pedagogico che istruisca gli uomini a perseguire il cosmopolitismo senza rinnegare un sentimento patriottico nazionale: per questo condanna lo zar Pietro il Grande che tentò la snazionalizzazione dei russi in nome della moderna civiltà occidentale.
Nel corso dell'Ottocento il cosmopolitismo subì una trasformazione radicale a opera del marxismo, che sostenne l'internazionalismo della lotta di classe proletaria: “il movimento operaio rifiuta le divisioni nazionali e intende diffondersi su scala planetaria”.
Nell'ambito della propagazione del cosmopolitismo è da annoverare la Massoneria che fin dai suoi inizi è caratterizzata dagli ideali di tolleranza e universalismo. La sua stessa simbologia vuole rappresentare un sistema di valori universali al di là delle differenze linguistiche nazionali, dal credo religioso, dalla diversa etnia, dalla diversa cultura e dal diverso territorio di origine in netta contrapposizione a qualsiasi ideologia razzista.
Tra i massoni, un rilievo particolare assume Teodoro Moneta (1833-1918), giornalista (direttore del Secolo 1869-1896), garibaldino (impresa dei mille). Nel 1887 fondò L’unione lombarda per la Pace e la Società per la pace e la giustizia internazionale. Nel 1890 con “La Vita Internazionale” la sua indagine ed il suo impegno assunsero una autorevole dimensione cosmopolita che lo proiettò decisamente nello scenario europeo. Nel 1895 divenne il rappresentante italiano nella Commissione del “International Peace Bureau”. Nel 1906 programmò e costruì un Padiglione per la pace alla esposizione internazionale di Milano, durante la quale condusse come Presidente il 15º Congresso Internazionale sulla Pace. Nel 1907 Ernesto Teodoro Moneta ricevette il premio Nobel per la pace insieme al giurista francese Louis Renault. La larghissima produzione di scritti di Moneta, che copre l'arco di un cinquantennio non è stata mai esplorata sistematicamente e risulta oggi in parte addirittura dispersa.
L’impegno di Teodoro Moneta non fu vano. Successivamente, dopo la prima guerra mondiale, con la firma del trattato di Versailles, nel 1919 si costituì la Società delle Nazioni sciolta nel 1946 a seguito del suo fallimento dovuto allo scoppio della seconda guerra mondiale ed alla costituzione nel 1945 dell’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite.
Nel Novecento, soprattutto tra le due guerre mondiali, il cosmopolitismo venne recuperato nella sua versione culturale, come atteggiamento proprio dell'intellettuale libero da ogni pregiudizio patriottico.
Oggi al cosmopolitismo è subentrata la globalizzazione, che, se vorrebbe rappresentare l'interdipendenza dei processi economici e politici, in realtà è una riduzione delle vocazioni universalistiche che sono limitate all'omogeneizzazione del mercato mondiale.
Attualmente, la globalizzazione dei mercati economici, in assenza di una autorevole organizzazione che possa governarli, ha determinato il fallimento del neoliberismo come teoria economica in grado di autoregolamentare l’economia ed i mercati. Il fallimento di questa politica economica fu previsto, sin all’inizio, da alcuni economisti tra cui Paolo Sylos Labini.
Adesso, riproporre la cultura del cosmopolitismo è necessario per il bene dell’umanità. Infatti, non si intravedono percorsi migliori per raggiungere la pace duratura e la piena attuazione dei diritti universali dell’uomo. Il concetto di fratellanza tra i diversi popoli della terra è un punto fondamentale. Inoltre, dall’attuazione del pensiero cosmopolita, si potrebbero affrontare con efficacia risolutiva le problematiche che oggi affliggono l’umanità e che sono ancora senza risposta: guerre, inquinamenti del pianeta, economia selvaggia basata su nuove tecnologie, povertà in aumento. Questi sono i principali fattori che alimentano nuovi e continui disagi sociali per l’umanità con molteplici effetti negativi ampiamente diffusi, che diventano nel tempo corrosive delle democrazie e della libertà. In breve, dare una nuova Patria all’Umanità dovrebbe essere il faro acceso per illuminare i nuovi lavori dell’Internazionale Socialista presieduta da Pedro Sanchez.
Fonte: di Salvatore Rondello